Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10627 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 22/04/2021), n.10627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20613-2019 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

ROSACCIO, 53, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BATTAGLIA,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA, 29, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA

GIANNICO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1474/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Roma ha rigettato la domanda volta all’accertamento della irripetibilità della somma di Euro 7.053,28 richiesta in restituzione dall’INPS, con provvedimento del novembre 2016, a titolo di indebito sul trattamento pensionistico erogato (cumulo di due pensioni) in favore del ricorrente in epigrafe;

la Corte territoriale ha ritenuto che un precedente provvedimento, del maggio del 2016, con cui l’Istituto aveva riconosciuto il credito, avesse natura provvisoria e non definitiva sicchè il credito era ripetibile ed era stato richiesto nel termine di legge; ha osservato, inoltre, come la circolare n. 31 del 2006, invocata dalla parte a fondamento della domanda, non fosse stata neppure allegata;

ha proposto ricorso per cassazione G.M., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese l’INPS, con controricorso;

la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame di un fatto decisivo, in relazione alla L. n. 412 del 1991, art. 13. Le censure investono la decisione nella parte in ha ritenuto il provvedimento del 2016 avente carattere provvisorio;

il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità per plurimi profili;

ricorre nella fattispecie una pronuncia cd. “doppia conforme”;

ai sensi ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, allorquando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado (pronuncia c.d. doppia conforme) il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 – 2 – 3 e 4;

in ogni caso, il motivo, da un lato, difetta di specificità (per non essere nè riprodotto in ricorso, nè localizzato negli atti processuali il documento oggetto delle censure), dall’altro, non indica, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo del predetto art. 360 c.p.c., n.5, il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo, secondo gli enunciati di Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014 e Cass. n. 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici);

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52, comma 2, non sussistendo alcun comportamento doloso della ricorrente;

il secondo motivo di ricorso è infondato;

divenuto, oramai, definitivo l’accertamento reso dalla Corte di appello in ordine alla natura provvisoria del provvedimento di riconoscimento del credito emesso nel maggio 2016, difetta uno dei presupposti costitutivi del diritto alla ripetizione ovvero quello del pagamento in base ad un provvedimento formale e definitivo;

le disposizioni che regolano la fattispecie sono contenute nella L. n. 88 del 1989, art. 52, e nella L. n. 412 del 1991, art. 13;

la L. n. 88 del 1989, art. 52, comma 2, stabilisce che le somme erogate indebitamente a titolo previdenziale non sono ripetibili, se non in presenza di dolo dell’interessato;

la L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, formulato come norma di interpretazione autentica, ma in realtà innovativo (Corte Cost. 10 febbraio 1993, n. 39), integra tale regola, stabilendo che la ripetibilità di cui all’art. 52, comma 2, riguarda le somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all’interessato e che risulti viziato da “errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore” salvo il dolo nella percezione ovvero l'”omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato” di fatti che egli fosse tenuto a comunicare e non siano già a conoscenza di essi;

come già osservato da questa Corte (Cass. n. 14517 del 2020 che richiama Cass. n. 17417 del 2016), complessivamente, la regola che deriva dalla combinazione delle predette disposizioni è quella per cui la irripetibilità dell’indebito pensionistico I.N.P.S. è subordinata a quattro condizioni: a) il pagamento delle somme in base a formale, definitivo provvedimento b) la comunicazione del provvedimento all’interessato c) l’errore, di qualsiasi natura, imputabile all’ente erogatore; d) la insussistenza del dolo dell’interessato, cui è parificata quoad effectum la omessa o incompleta segnalazione di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione che non siano già conosciuti dall’ente competente;

in mancanza di una (qualunque) delle indicate condizioni, opera la regola della ripetibilità e non la speciale disciplina del citato art. 52;

la sentenza impugnata è, dunque, immune dal vizio denunciato;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione della circolare n.31 del 2006 con cui l’INPS avrebbe stabilito la sanatoria per il pensionato che abbia utilizzato gli importi indebitamente percepiti per soddisfare esigenze primarie di vita;

anche il terzo motivo è inammissibile;

in disparte il rilievo che la violazione di circolari della PA (atti interni, privi di natura normativa) non è deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3 (Cass. n. 19697 del 2018, Cass. n. 16644 del 2015), le censure, a tacer d’altro, soffrono degli stessi limiti di ammissibilità del primo motivo: la circolare INPS di cui si assume la violazione non è nè trascritta, nè depositata in atti;

tali omissioni si pongono in violazione degli oneri imposti dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., n. 4 (v., con riferimento ai decreti ministeriali, Cass. n. 25995 del 2015);

sulla base delle svolte argomentazioni, il ricorso va, complessivamente, rigettato;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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