Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10627 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. I, 04/06/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 04/06/2020), n.10627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3494/2019 proposto da:

H.F., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Roberto Denti, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO depositato il 9/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto in data 9 dicembre 2018 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da H.F. ( M.), cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria;

il Tribunale in particolare, fissata l’udienza di comparizione delle parti con espressa indicazione dell’assenza di necessità di ripetere l’audizione: i) riteneva non credibile il racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di aver lasciato il paese per sfuggire alla vendetta di un cult avversario a quello di cui era stato costretto a far parte, dopo aver preso parte a una missione conclusasi con tre omicidi); ii) rilevava che il medesimo non aveva allegato il rischio di essere sottoposto in caso di rimpatrio a condanna a morte o a un trattamento inumano o degradante; iii) osservava che nell’Edo State non erano presenti situazioni di criticità che raggiungessero una soglia di violenza diffusa e indiscriminata tale da consentire la concessione della protezione sussidiaria; iv) constatava che il richiedente asilo non aveva prodotto alcuna documentazione che attestasse un suo inserimento sociale e lavorativo, escludendo poi all’esito di una valutazione comparativa delle cure che il medesimo avrebbe ricevuto nel paese di accoglienza e in quello di provenienza rispetto alla malattia da cui era affetto – l’esistenza di ragioni di vulnerabilità che potessero giustificare l’accesso alla protezione umanitaria;

2. per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso H.F. ( M.) prospettando tre motivi di doglianza;

l’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 10, lett. a) e comma 11 e art. 111 Cost., a causa dell’omessa audizione del ricorrente avanti al Tribunale adito: il Tribunale, pur in assenza della video registrazione del colloquio tenutosi dinnanzi alla Commissione territoriale, non avrebbe proceduto a una nuova audizione del ricorrente, con la conseguente nullità del decreto pronunciato per inidoneità del procedimento così adottato a realizzare lo scopo del pieno dispiegamento del principio del contraddittorio;

3.2 il motivo è infondato;

in vero nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio (Cass. 17717/2018);

ciò tuttavia non significa che si debba anche necessariamente dar corso in maniera automatica all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49) in presenza di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”;

il Tribunale investito del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale può infatti esimersi dall’audizione del richiedente asilo se a questi sia stata data la facoltà di renderla avanti alla Commissione territoriale e il giudicante – cui siano stati resi disponibili il verbale dell’audizione ovvero la videoregistrazione e la trascrizione del colloquio attuata secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 1, nonchè l’intera documentazione acquisita, di cui all’art. 35-bis, comma 8, D.Lgs. cit. – debba respingere la domanda, per essere la stessa manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo svoltosi avanti alla Commissione, oltre che dagli atti del giudizio trattato avanti al Tribunale medesimo (Cass. 2817/2019, Cass. 5973/2019);

l’obbligo di audizione deve quindi essere valutato – come è stato precisato dalla decisione della Corte giustizia sopra richiamata – alla stregua dell’intera procedura di esame della domanda di protezione (par. 42) e sulla base del potere del giudice di esaminare l’intera documentazione, che a suo giudizio può ritenere esaustiva (par. 44), potendosi ritenere che la possibilità di omettere lo svolgimento di un’udienza corrisponda all’interesse, tanto degli Stati membri che dei richiedenti, che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo (par. 44 ultimo periodo);

la mancata audizione del richiedente asilo in sede di udienza di comparizione non si presta quindi a censure di sorta, dovendosi escludere che le norme nazionali ed Europee in materia prevedano un obbligo per il giudice di merito di procedere in maniera automatica all’audizione del ricorrente quand’anche la stessa sia del tutto inutile ai fini del decidere (come nel caso di specie, dove, a dire del Tribunale, il timore di fare rientro in patria sarebbe “legato a eventi” non solo inverosimili ma anche “meramente ipotetici sforniti di qualsiasi tratto di concretezza”);

4.1 il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14: il Tribunale avrebbe omesso di considerare il rischio per il ricorrente di subire la pena di morte per aver preso parte a una spedizione punitiva culminata con un omicidio, tenuto conto del racconto del migrante, da giudicarsi coerente e verosimile; nel contempo non sarebbe condivisibile la constatazione relativa all’assenza di una situazione di violenza generalizzata;

4.2 il motivo è nel suo complesso inammissibile;

4.2.1 il ricorrente assume che il Tribunale avrebbe mal considerato il pericolo, in caso di rimpatrio, di essere ucciso per vendetta ovvero di subire una condanna a morte, seppur legalmente inflitta, per aver partecipato a una spedizione punitiva che aveva condotto a un omicidio;

il decreto impugnato tuttavia, pur prendendo in esame il racconto del migrante e “la missione di uccidere qualcuno” non fa il minimo cenno alla questione della pena di morte quale possibile pena per l’omicidio, che dalla lettura della decisione non risulta fosse stata posta dal ricorrente;

nè dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, risulta che il richiedente asilo, nel corso del giudizio di merito, avesse allegato nè di poter essere incriminato per la partecipazione a una “missione”, nè di poter subire una condanna alla pena capitale (tanto che il giudice di merito sottolinea, a pag. 6, che “nel caso in esame il sig. H. non ha indicato tali rischi” – cioè il rischio di condanna a morte o di trattamento inumano o degradante – “che paiono del tutto estranei alla di lui storia personale”);

sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013);

4.2.2 il giudice di merito si è ispirato ai criteri di legge laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante, ha rilevato come previsto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c – che il racconto offerto dal richiedente asilo non risultava plausibile in diversi punti sotto il profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata nè si armonizzava con le informazioni relative al paese di origine;

una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;

si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito;

censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019);

4.2.3 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame informazioni aggiornate sulla situazione esistente nell’Edo State;

la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale facendo leva su diverse fonti (che non risulta peraltro che siano state portate all’attenzione del giudice di primo grado), malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

5.1 il terzo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, in quanto il Tribunale avrebbe omesso di compiere un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva del richiedente asilo con riferimento al paese di origine, onde verificare se il rimpatrio avrebbe potuto determinare, per una persona affetta da una grave malattia (epatite B), la privazione di una assistenza sanitaria diffusa e di qualità;

oltre a ciò il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, in tesi di parte ricorrente, avrebbe comportato da un lato l’inaccettabile negazione della differenza fra le condizioni di vita nel paese di accoglienza e quelle del paese di origine, con cui il migrante non aveva legami da anni, dall’altro la ricollocazione del medesimo in un contesto a cui egli risultava estraneo e foriero di gravissimi rischi per la sua incolumità fisica;

il giudice di merito avrebbe dovuto invece riconoscere che il panorama socio-politico esistente nel paese di provenienza del ricorrente e la sua vicenda personale consentivano di ravvisare seri motivi per riconoscere la protezione umanitaria;

5.2 il motivo è inammissibile;

5.2.1 vero è che il Tribunale era chiamato a valutare, secondo il regime applicabile ratione temporis, la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass., Sez. U. 29459/2019, Cass. 4455/2018);

il che tuttavia presupponeva che il migrante allegasse e dimostrasse, oltre alle ragioni che l’avevano spinto ad allontanarsi dal paese di origine, la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, dato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018);

nel caso di specie il Tribunale tuttavia ha constatato che “il sig. H. non produce alcuna documentazione sul suo avvenuto inserimento sociale e lavorativo e neppure relativa a un percorso di formazione e istruzione”;

5.2.2 è altrettanto vero che la vulnerabilità del richiedente può anche essere conseguenza di una seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute adeguatamente allegata e dimostrata, in quanto la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona, come quello alla salute, e al contempo di essere posti nella condizione di integrarsi nel paese ospitante anche attraverso un’attività lavorativa (Cass. 2558/2020);

il Tribunale tuttavia ha ritenuto, all’esito di un’analisi delle fonti internazionali sulla profilassi dell’epatite B in Nigeria e prendendo in esame le specifiche caratteristiche della patologia da cui è affetto il migrante, che un rimpatrio non avrebbe impedito il ricorso a cure adeguate e compromesso le sue condizioni di salute;

5.2.3 a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

6. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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