Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10626 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. I, 04/06/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 04/06/2020), n.10626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 238/2019 proposto da:

M.Y., elettivamente domiciliato in Roma, P.za Apollodoro

n. 26, presso lo studio dell’avvocato Antonio Filardi, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Antonella Zotti giusta

procura speciale in alce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2757/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto dal cittadino bangladese M.Y. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli recante il diniego delle forme di protezione (internazionale e umanitaria) richieste.

2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a due motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, nonchè art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

4. Con il secondo mezzo ci si duole, sotto il profilo dell'”omesso esame circa un fatto decisivo”, che “il Tribunale partenopeo ha omesso di valutare la situazione in cui versa il Bangladesh”, quale risulta dal rapporto Amnesty International 2017-2018.

5. Va preliminarmente rilevato come non sia stata censurata la prima ratio decidendi della decisione impugnata, relativa al difetto dei “requisiti di specificità dei motivi di appello (art. 342 c.p.c.) perchè non spiegano in relazione a quale dei presupposti dello status di rifugiato (…) o a quale dei presupposti della protezione sussidiaria nelle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (…) sia riconducibile la storia personale del richiedente”.

6. Con riguardo al primo motivo, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui deve ritenersi “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3” (ex multis, Cass. 17717/2018).

6.1. Di recente è stato altresì affermato che “in tema di protezione internazionale è inammissibile il ricorso per cassazione munito di una procura speciale alle liti (nella specie apposta su foglio separato e materialmente congiunto all’atto) priva della data di rilascio, nonchè della correlata certificazione da parte del difensore, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, non potendosi verificare il conferimento della stessa in epoca successiva alla comunicazione del decreto impugnato” (Cass. 2342/2020, 1043/2020).

7. Il secondo motivo è inammissibile anche con riguardo alla protezione umanitaria, non solo perchè rivolto alla pronuncia del tribunale (piuttosto che della corte d’appello) ma anche perchè la relativa censura motivazionale non rispetta il paradigma del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis), che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. 17247/2006, 18587/2014), qui non rispettati.

7.1. Invero, il ricorrente non ha assolto l’onere di indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018).

7.2. Va peraltro ricordato come la protezione umanitaria possa essere riconosciuta solo in presenza di “”seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020); al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, pur ribadendo (cfr. Cass. 4455/2018) che “l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, hanno tuttavia aggiunto che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; 630/2020).

7.3. Ai fini di una simile verifica – effettuabile dal giudice anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi – risulta dunque “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019).

7.4. Sennonchè, nulla di tutto ciò emerge dal motivo in disamina.

8. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, senza necessità di statuizione sulle spese processuali, in assenza di difese delle parti intimate.

9. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Sez. U., 23535/2019).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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