Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10625 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. I, 04/06/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 04/06/2020), n.10625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35018/2018 proposto da:

K.Y., elettivamente domiciliato in Napoli Via G. Porzio N.

4, Centro Dir. Is. F12, Int. 23/24, presso lo studio dell’avvocato

Di Rosa Clementina, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3159/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Napoli, pubblicata il 26 giugno 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da K.Y. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale di Napoli. La nominata Corte ha negato che l’appellante potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi del ricorso per cassazione possono riassumersi come segue.

Primo motivo: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017. E’ lamentata, in assenza della videoregistrazione dell’audizione svoltasi innanzi alla Commissione territoriale, la mancata fissazione dell’udienza di comparizione avanti alla Corte di appello di Napoli, nonostante la formale istanza.

Secondo motivo: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7,8, 14, ovvero in materia di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria. Viene in sostanza dedotto che la domanda di protezione internazionale del richiedente basata sugli atti persecutori e sulla fattispecie del danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, dovesse trovare accoglimento: a tal fine viene richiamata la vicenda personale dell’istante, sia il quadro politico che emergerebbe dalle COI (Country of Origin Information) che erano state prodotte.

Terzo motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Vi si deduce che, accertata la condizione di peculiare vulnerabilità, oggettiva e soggettiva, del richiedente, era evidente la violazione e falsa applicazione della richiamata disposizione.

Quarto motivo: omesso esame di un fatto storico; contraddittorietà e illogicità della motivazione. L’istante censura “l’omessa valutazione dell’effettiva situazione socio-politica del paese di origine in termini di instabilità e insicurezza, così come emerge dalle fonti internazionali, oltre che della peculiare situazione di vulnerabilità oggettiva e soggettiva”; viene lamentato che il giudice del merito abbia omesso un’adeguata e approfondita valutazione delle COI prodotte e richiamate, oltre che di tutte quelle informazioni rinvenibili a seguito dell’istruzione ufficiosa che era doverosa; è lamentato infine che la motivazione risulterebbe “viziata in termini di contraddittorietà, illogicità e mera apparenza”.

2. – Il primo motivo è infondato.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, è stato introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017. In forza dell’art. 21 del detto decreto la detta disposizione di applica alle cause e ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore di esso, mentre alle cause e ai procedimenti giudiziari introdotti anteriormente alla scadenza di detto termine si continuano ad applicare le disposizioni prima vigenti. Si legge nella sentenza impugnata che il giudizio di primo grado fu introdotto con ricorso depositato il 17 giugno 2015. Indipendentemente da ogni ulteriore rilievo, le prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, non sono quindi applicabili al giudizio di merito introdotto dall’odierno istante.

Il secondo motivo va pure disatteso.

Della domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato la Corte di merito non si occupa; era quindi onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, allegare l’avvenuta deduzione della questione che riguardava detta forma di protezione innanzi al giudice di merito e indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430). Peraltro, proprio in quanto nessuna statuizione è stata resa sullo status di rifugiato, in presenza di un motivo di appello che investisse la domanda avente un tale oggetto il ricorrente avrebbe dovuto censurare la sentenza per omessa pronuncia: ciò che non è accaduto.

Il ricorrente fa poi questione della protezione sussidiaria senza affrontare, se non in modo affatto generico (per il che la censura è sul punto inammissibile), il tema della presenza, nel proprio paese di origine (Senegal), di una minaccia grave derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale: adduce, piuttosto, la presenza, nello Stato da cui proviene, di decessi, torture e maltrattamenti in carcere, di detenzioni arbitrarie, oltre che della violazione di diritti fondamentali, come quello di riunirsi e quello di esprimersi liberamente. Ebbene, con riguardo alle fattispecie tipizzate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503): nella fattispecie il ricorrente, però, nemmeno spiega la ragione per la quale sarebbe esposto a un tale rischio.

Il terzo motivo è infondato.

L’istante rivendica il diritto alla protezione umanitaria facendo generico riferimento alla situazione del paese di origine, omettendo con ciò di considerare che la situazione di vulnerabilità che dà titolo a tale forma di protezione deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, sempre in motivazione).

Pure da respingere è il quarto motivo.

Per quanto in precedenza osservato, l’accertamento della situazione del paese di origine è priva di decisività avendo riguardo alle domande dirette al riconoscimento dello status di rifugiato, alla protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e alla lett. b) e alla protezione umanitaria. Con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 14 cit., lett. c), la Corte di merito ha ampiamente dato conto della situazione del paese di origine del richiedente, negando che il Senegal, e in particolare il territorio da cui proviene lo stesso K., sia interessato a una condizione “solo lontanamente riconducibile” a quella, di violenza indiscriminata, idonea a porre in concreto pericolo la vita del cittadino per il solo fatto della sua presenza nel territorio (pag. 5 della sentenza). Nè sul punto potrebbe ravvisarsi un vizio della motivazione, giacchè l’anomalia motivazionale suscettibile di essere fatta oggi valere col ricorso per cassazione deve risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

3. – Il ricorso è dunque respinto.

4. – Nulla deve disporsi in punto di spese processuali.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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