Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10623 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 22/04/2021), n.10623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO CARLA – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11836-2019 proposto da:

BARAVALLE ELENA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSIO ARIOTTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA, (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 479/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 05/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’1 1/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott.

GABRIELLA MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Torino, in accoglimento del gravame del MIUR, ha rideterminato il quantum dovuto a B.E., in virtù di condanna generica al pagamento delle differenze di retribuzione maturate in forza di plurimi contratti a termine prima dell’immissione in ruolo quale docente, e condannato il Ministero al pagamento di Euro 17.245,49 oltre interessi legali;

a fondamento della decisione, la Corte di merito ha osservato come non fosse condivisibile la lettura della sentenza di condanna generica passata in cosa giudicata (sentenza n. 45 del 2016 del Tribunale di Torino) resa dal giudice di primo grado;

per la Corte di appello, la pronuncia definitiva sull’an aveva riconosciuto il diritto alla progressione stipendiale, in relazione ai periodi di insegnamento relativi agli anni scolastici dal 2000/2001 al 2010/2011, e non dall’anno scolastico 1986/1987;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione B.E., sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;

ha resistito, con controricorso, il Ministero;

la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è denunciata la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per “decisione su motivo rilevato d’ufficio” e – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – la nullità della sentenza;

secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe posto a fondamento della propria decisione, una questione non più riproposta in sede di appello (e relativa ai contratti da prendere in considerazione ai fini della determinazione del quantum), così violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non trattandosi di questione rilevabile d’ufficio;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 12 disp. att. c.p.c., per violazione del giudicato esterno, costituito dalla sentenza n. 46/2016 (rectius: dalla sentenza n. 45/2016);

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotta motivazione illogica e/o insufficiente in relazione all’interpretazione della sentenza n. 45/2016;

i motivi possono trattarsi congiuntamente, presentando analoghi profili di inammissibilità per difetto di specificità;

la ricorrente imputa al giudice di appello, da un lato, di aver violato il principio del tantum devolutum quantum appellatum e, dall’altro, di aver erroneamente interpretato il giudicato sull’an;

tutte le censure, però, sono sviluppate in violazione degli oneri di deduzione e specificazione imposti dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., n. 4;

la giurisprudenza di questa Corte (tra le ultime, Cass. n. 20924 del 2019), infatti, è consolidata nell’affermare che, anche qualora vengano dedotti errores in procedendo, come quelli prospettati, rispetto ai quali la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);

la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base degli errori denunciati e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, perchè la Corte di Cassazione, anche quale giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367 del 2014; Cass. n. 21226 del 2010);

dal riportato principio di diritto discende che, per lo scrutinio della censura afferente ai limiti entro i quali il giudice d’appello avrebbe potuto pronunciare, era necessaria la riproduzione, in ricorso, dell’atto di appello, quanto meno nelle parti essenziali a reggere le critiche; del pari, per valutare l’erronea interpretazione del giudicato esterno, era necessaria la trascrizione, in ricorso, della sentenza passata in cosa giudicata (in argomento, per tutte, v. Cass. n. 21560 del 2011). Nella fattispecie, la pronuncia del Tribunale di Torino n. 45 del 2016 è solo localizzata in atti (v. pag. 5 ultimo e penultimo rigo del ricorso in cassazione); viceversa, unitamente alla sua riproduzione, nelle parti salienti, andava anche riprodotto il relativo ricorso introduttivo, che la sentenza impugnata pure richiama ai fini della interpretazione del giudicato (v. pag. 6, rigo 11 e ss);

la carente specificazione di tali atti conduce alla declaratoria di inammissibilità del ricorso;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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