Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10621 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10621 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: CORRENTI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso 16880-2011 proposto da:

LEZZA

GIOVANNA

LZZGNN28D48C677I,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANGELO EMO 106, presso lo
studio dell’avvocato CIRO CASTALDO, rappresentata e
difesa dall’avvocato MICHELE BOCCIA;
– ricorrente contro

2016
806

MUTONE

CARMINE

MTNCMN46007H933X,

elettivamente

domiciliato in ROMA, V.DEI MILLE 41, presso lo studio
dell’avvocato PASQUALE AVITABILE, rappresentato e
difeso dagli avvocati MARIA GRAZIA RESCIGNO, ANNA

\3\\

Data pubblicazione: 23/05/2016

SARAPPA;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1050/2011 della CORTE D’APPELLO

di NAPOLI, depositata il 30/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/04/2016 dal Consigliere Dott. VINCENZO
CORRENTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Noia chiedendone la condanna al saldo del corrispettivo per la
realizzazione e posa in opera degli infissi interni ed esterni di un
immobile abitativo, affidatagli in appalto dalla convenuta.
Quest’ultima si costituì deducendo di aver interamente versato il
corrispettivo pattuito; lamentò inoltre che le opere appaltate
presentavano difformità donde le erano derivati danni patrimoniali,
per il risarcimento dei quali spiegò domanda riconvenzionale.
Il tribunale, ritenute fondate (per quanto di ragione) tanto la domanda
attorea quanto la pretesa risarcitoria della committente, compensati
sino alla concorrenza i rispettivi debiti e crediti delle parti, condannò
la Lezza al pagamento dell’importo di € 252,00.
2. Giovanna Lezza appellò la sentenza; propose appello incidentale il
Mutane.
La Corte d’Appello di Napoli respinse l’appello principale ed accolse
parzialmente quello incidentale, rideterminando il credito del Mutone
in € 4.642,37.
A fondamento della decisione, la corte rilevò anzitutto che quasi tutti i
pagamenti effettuati dalla committente non potevano essere computati
in conto corrispettivo, avendo riguardato la fornitura di materie prime
da parte di soggetti terzi; ciò in assenza della prova di un accordo di
delegazione in forza del quale la committente doveva estinguere i
debiti dell’ appaltatore con i suoi fornitori.
Quanto poi alle difformità dell’opera, la corte accolse l’eccezione di
decadenza sollevata dal Mutone, rilevando che non constavano
denunzie anteriori al deposito della comparsa di risposta in primo

1. Carmine Mutone convenne Giovanna Lezza innanzi al tribunale di

grado, avvenuto ben oltre il sessantesimo giorno successivo alla
scoperta dei vizi.
Infine, e quanto ad alcuni pagamenti mediante assegno che il tribunale

avviso, osservando che si trattava in realtà di assegni emessi dal
procuratore della committente e girati a terzi, estranei al rapporto
contrattuale, che poi li avevano cambiati in denaro al Mutone; e
ritenne che tanto non costituisse valida prova della riferibilità del
pagamento al corrispettivo dei lavori.
3. La Lezza ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro
motivi. Il Mutone ha depositato controricorso e successiva memoria
ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del
ricorso, che appare conforme ai canoni di specificità ed
autosufficienza.
5. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione di legge e
vizio di motivazione, dolendosi del fatto che la corte d’appello ha
escluso dal computo degli acconti sul corrispettivo dell’appalto i
pagamenti che essa aveva effettuato in favore di alcuni fornitori, sul
rilievo del difetto di prova dell’esistenza di un accordo di delegazione
col Mutone circa il relativo pagamento.
Assume che tale decisione sarebbe erronea, ovvero sorretta da
motivazione contraddittoria, poiché dopo aver accertato che i
pagamenti erano stati effettuati per l’acquisto di legname, viti e
ferramenta utilizzati per le opere appaltate la corte non ha tenuto conto
del disposto di cui all’art. 1658 c.c., a mente del quale spetta
all’appaltatore fornire la materia necessaria a compiere l’opera, se non
è diversamente stabilito dalla convenzione o dagli usi.

aveva computato in acconto sul corrispettivo, la corte fu di contrario

In tal senso richiama il contratto di appalto, che prevedeva un
corrispettivo riferito “agli infissi completi e finiti in ogni parte e pronti
all’uso”, nonché il versamento di un acconto all’atto della

legname necessario alla costruzione delle opere”.
Rileva infine, quanto alla prova dell’accordo di delegazione, che
quest’ultimo non richiede oneri formali e può pacificamente
perfezionarsi anche per comportamento concludente, quale doveva
intendersi lo stesso fatto del pagamento da parte sua dei fornitori dopo
che l’appaltatore aveva ritirato il materiale.
5.111 motivo non è fondato.
Avuto riguardo al cennato contenuto del contratto, va richiamata la
giurisprudenza di questa stessa sezione (v. seni. n. 468 del 2014), che
in linea con un orientamento più risalente (v. Cass. n. 4882/81; Cass.
n. 800/1966)- ha affermato che “ai sensi dell’art. 1658 c.c. si presume
che l’appaltatore fornisca “la materia”, presumendosi, quindi, che il
corrispettivo dell’appalto includa anche il costo dei materiali; ove,
invece, i materiali siano forniti dal committente, si presume che il
corrispettivo dell’appalto attenga al solo “lavoro” svolto
dall’appaltatore, e ciò implica che il committente abbia “venduto” a
quest’ultimo i materiali utilizzati nell’esecuzione dell’opera”; occorre
pertanto che il committente “adempia all’onere probatorio, a suo
carico, di aver “venduto” o fornito i materiali all’appaltatore, così da
superare la presunzione che il corrispettivo dell’appalto riguardasse
la sola prestazione di esecuzione di un’opera”.
In linea con tale impostazione, cui la corte territoriale si è attenuta con
motivazione esente da vizi logici, la ricorrente avrebbe dovuto dar la
prova dell’esistenza dell’accordo di delegazione invocato, in base al
quale- a suo dire- l’appaltatore acquistava e ritirava la merce,

sottoscrizione da utilizzarsi “esclusivamente per l’acquisto del

delegandola poi al relativo pagamento presso i fornitori; né tale prova
può sussistere nel semplice fatto del pagamento, cui la ricorrente
attribuisce carattere “delegato

per facta concludentia” senza

6. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt.
1188 e 1657 c.c., nonché vizio di motivazione, in relazione al rigetto
per intervenuta decadenza della propria domanda di garanzia per le
difformità delle opere appaltate.
Evidenzia, al riguardo, che la corte territoriale ha rilevato che le
difformità erano state denunziate oltre il sessantesimo giorno
successivo alla loro scoperta; ed assume che tale decisione sarebbe
errata poiché — come pure acclarato dal giudice d’appello – le
difformità erano emerse in corso d’opera, dal che doveva dedursi che
si trattava di difformità riconosciute dall’appaltatore e che la relativa
denunzia non era necessaria, secondo quanto disposto dall’art. 1667,
comma 2, c.c..
6.2 D motivo non è fondato.
Com’è noto, con riguardo alle difformità riconosciute dall’appaltatore,
la relativa garanzia spetta al committente senza che questi sia tenuto al
rispetto di alcun termine soltanto laddove l’opera non sia stata
accettata; ciò in quanto, ai sensi dell’art. 1667, comma 1, c.c.,
l’accettazione comporta la liberazione dalla garanzia medesima (in
termini, fra le altre, Cass. n. 14584/2004).
La ricorrente non ha tuttavia allegato, né tantomeno provato, di non
aver accettato l’opera, onde conservare il diritto alla garanzia per le
difformità ed i vizi al di là del termine di decadenza cui all’art. 1667,
comma 2, c.c..
7. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt.
1188 e 1657 c.c., nonché vizio di motivazione, lamentando che la

minimamente evidenziare i dati obiettivi sui cui fonda tale assunto.

corte d’appello avrebbe erroneamente escluso dal computo degli
acconti sul corrispettivo alcuni pagamenti da lei effettuati mediante
assegni girati a terzi estranei al rapporto e da costoro cambiati in

In tal senso richiama le risultanze istruttorie che hanno comprovato
l’incasso delle somme portate dai titoli da parte dell’appaltatore;
circostanza, questa, che assume riferibile unicamente al contratto di
appalto in essere fra le parti, sostenendo che spettava all’appaltatore
fornire la prova della diversa giustificazione causale degli incassi.
7.111 motivo non è fondato.
La corte d’appello- con motivazione congrua ed esente da vizi logiciha evidenziato che la semplice prova dell’avvenuto incasso dei titoli in
questione da parte dell’appaltatore non consente di riferire
l’operazione al rapporto causale invocato dalla ricorrente, potendo in
sé trovare giustificazione in un diverso rapporto di debito, in
mancanza di qualsiasi fattura quietanzata in riscontro degli assegni.
Tale statuizione- ed il conseguente rilievo del difetto probatorio in
danno del debitore che assume d’aver adempiuto — è conforme alla
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “il principio in base al
quale, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di
aver corrisposto una somma di denaro idonea all’estinzione del
medesimo, spetta al creditore, il quale sostenga che il pagamento sia
da imputare all’estinzione di un debito diverso, allegare e provare di
quest’ultimo l’esistenza, nonché la sussistenza delle condizioni
necessarie per la dedotta diversa imputazione, non può trovare
applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l’estinzione del
debito fatto valere in giudizio per effetto dell’emissione di
più assegni bancari, atteso che, implicando tale emissione la
presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la

denaro all’appaltatore.

nascita di un’obbligazione cartolare, resta a carico del debitore
convenuto l’onere di superare tale presunzione, dimostrando il
collegamento tra il precedente debito azionato ed il successivo debito

del pagamento degli assegni” (cfr. Cass. n. 3008/2012).

8. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente assume che la corte
d’appello avrebbe omesso di prendere in considerazione la
dichiarazione dell’appaltatore, contenuta nella comparsa di
costituzione in appello ed avente valenza confessoria, d’aver ricevuto
in acconto l’importo complessivo di £ 12.500.000, scomputando così
dalla somma da questi pretesa l’inferiore importo di £ 11.000.000.
8.1 Anche tale motivo non è fondato.
La corte d’appello è pervenuta alla determinazione dell’ammontare
esatto degli acconti all’esito di una valutazione analitica delle
risultanze istruttorie- ed in particolare dei pagamenti asseritamente
effettuati dalla committente- esposta in termini logici ed esenti da
censure.
Al riguardo, la ricorrente si duole dell’omessa valutazione di un dato
probatorio avente valore legale, quale la dichiarazione dell’appaltatore
nella comparsa di risposta in appello, che qualifica come confessione
giudiziale.
Detta comparsa risulta sottoscritta personalmente dal solo difensore
del Mutane, il quale si è limitato a porre la propria firma in calce alla
procura alle liti.
In proposito, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte
(cfr. Cass. n. 6192/2014; Cass. n. 10607/2010) in base al quale le
dichiarazioni contenute negli atti processuali possono assumere il
carattere proprio della confessione giudiziale spontanea purché
sottoscritte dalla parte personalmente, con modalità tali da rivelare

cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto

inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche ammissioni dei
fatti sfavorevoli così espresse; non ha pertanto efficacia confessoria la
mera sottoscrizione della procura apposta a margine o in calce all’atto

giuridicamente distinto dal contenuto espositivo dell’atto cui accede; e
la dichiarazione può al più fornire elementi indiziari di giudizio.
Pertanto, la dichiarazione invocata dalla ricorrente non riveste il
valore probatorio attribuitole, apparendo, per contro, corretta e
coerente con l’apprezzamento delle risultanze probatorie la
determinazione del giudice d’appello in punto all’ammontare degli
acconti detraibili.
9. Il ricorso va pertanto complessivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 2.200,00,
di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di
legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 14 aprile 2016.

recante la dichiarazione, in quanto la procura è elemento

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