Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10620 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17119-2008 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

STAZIONE DI MONTE MARIO 9, presso lo studio dell’avvocato GULLO

ALESSANDRA, rappresentata e difesa dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA, giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1651/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/12/2007 R.G.N. 2754/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 11-1-2001 la Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello proposto da B.G. avverso la sentenza del 21- 6-1999 del Tribunale di Brindisi, che aveva respinto la domanda di assegno di invalidità ex L. n. 222 del 1984 avanzata dalla predetta nei confronti dell’INPS con ricorso del 20-11-1997.

Con sentenza n. 14140 del 2004, la Corte di Cassazione, adita dalla soccombente assicurata, cassava la detta sentenza di appello e rinviava la controversia alla Corte di Appello di Bari.

La B. riassumeva il giudizio riproponendo le doglianze già formulate avverso la sentenza di primo grado e chiedendo l’accoglimento della domanda.

L’INPS si costituiva e resisteva.

La Corte d’Appello di Bari, rinnovate le indagini peritali, all’esito, con sentenza depositata il 17-12-2007, in parziale accoglimento della domanda condannava l’INPS a pagare alla B. l’assegno di invalidità ex L. n. 222 del 1984 dal 1-10-2005 oltre accessori di legge, compensando le spese di ogni grado e fase.

Per la cassazione di tale sentenza la B. ha proposto ricorso con due motivi.

L’INPS ha depositato procura in calce al ricorso avversario notificato ed ha partecipato alla discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, in sostanza si duole che la Corte d’Appello di Bari avrebbe omesso di valutare la rilevanza, rispetto all’attività bracciantile svolta, dell’ipertensione, della sindrome del tunnel carpale bilaterale, nonchè delle malattie di interesse gastroenterologico ed ortopedico, non considerando i rilievi contenuti nell’appello.

Con il secondo motivo, denunciando violazione della L. n. 222 del 1984, art. 1 e vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di merito non avrebbe altresì considerato i rilievi di parte, contenuti nella memoria del 15-10-2007, riguardanti le carenze nella indagine valutativa con riferimento al periodo precedente la data ritenuta di insorgenza del diritto (1-10-2005), in relazione all’accertamento della incapacità di lavoro specifica.

I detti motivi, connessi fra loro, non meritano accoglimento.

I giudici di rinvio, in ossequio al dictum della sentenza di questa Corte n. 14140/2004 (che ha cassato la sentenza della Corte di Lecce per insufficienza di motivazione e per violazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c., a fronte della ulteriore documentazione sanitaria, di data successiva alla sentenza di primo grado, prodotta dalla assicurata in sede di gravame), all’esito della disposta rinnovazione dell’esame peritale, sulla scorta delle risultanze della CTU, hanno accertato che “all’epoca dell’istanza amministrativa (giugno 1995) la B. soffriva di una ipertensione borderline, senza danno d’organo, inquadrabile, quindi, nel primo stadio OMS; allora, d’altro canto, era modesta l’incidenza funzionale dell’ulcera duodenale, in trattamento farmacologico, e dell’artrosi cervicale, nè tale concorso è divenuto più rilevante in seguito; tale complessiva situazione di salute della B. è rimasta sostanzialmente stazionaria per circa un decennio”, nel quale “non è stata superata la soglia legale di invalidità pari a due terzi del normale, nè vi è stato rischio di usura abnorme, tanto la complessiva percentuale di incapacità lavorativa era lontana da detta soglia” (pur tenendosi conto delle attività medio-pesanti svolte – “magliaia e operaia agricola sino al 1994”).

In seguito, però, come hanno accertato i giudici di rinvio, sulla scorta della CTU, si è verificata ed è stata documentata “un’evoluzione dell’ipertensione arteriosa in senso peggiorativo” per la prima volta associata al “danno d’organo consistente nella cardiopatia classificata in seconda classe N.Y.H.A”, che ha comportato una riduzione della capacità di lavoro della B. a meno di un terzo con certezza dall’ottobre del 2005.

Nel contempo la Corte di Bari ha valutato attentamente anche le deduzioni ulteriori della B. ed i rilevi espressi sulle risultanze della CTU, affermando che gli stessi “da un lato senza il supporto di riscontri strumentali nè di accertamenti sanitari probanti, tentano di attribuire alle citate infermità minori una incidenza funzionale significativa, dall’altro, amplificano eccessivamente i fattori di rischio e di usura correlati al lavoro bracciantile, dimenticando che di usura abnorme può discutersi, come componente integrativa del giudizio medico-legale di invalidità, soltanto se la riduzione della capacità di lavoro si attesti nel pressi della soglia legale”.

Tale motivazione, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, risulta, quindi, non solo aderente al dictum della citata sentenza di questa Corte, ma anche del tutto esauriente e priva di lacune o vizi logici, in quanto fondata sulla attenta valutazione di tutte le malattie riscontrate e sulla loro relativa incidenza sulla capacità di lavoro specifica, nella progressiva evoluzione delle stesse, ed in particolare di quella principale (l’ipertensione con progressivo danno cardiaco), senza trascurare affatto il carattere usurante della attività e considerando, altresì, espressamente anche i rilievi di parte rivolti alla CTU. Per il resto le censure della ricorrente si risolvono in un “mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice” (v. fra le altre Cass. 17-4-2004 n. 7341, Cass. 28-10-2003 n. 16223, Cass. 25-6-2004 n. 11894).

Il ricorso va pertanto respinto.

Sulle spese non si provvede, ratione temporis, in base al testo originario dell’art. 152 disp. att. c.p.c., vigente anteriormente al D.L. n. 269 del 2003, conv. in L. n. 326 del 2003, essendo la nuova disciplina applicabile ai soli ricorsi conseguenti a fasi di merito introdotte in epoca posteriore all’entrata in vigore dell’indicato Decreto Legge (2-10-2003) (v. Cass. 30-3-2004 n. 6324, Cass. 12-12- 2005 n. 27323).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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