Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10617 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10617 Anno 2016
Presidente: MIGLIUCCI EMILIO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso 30255-2011 proposto da:
BELLANTONI

LIBERO

SALVATORE

BLLLRS22A22I537E,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO
10/A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO
FOSCHIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato
DOMENICO MALARA;
– ricorrente contro

DIOCESANO
SOSTENTAMENTO CLERO REGGIO
(3o

ret
ftCALABRIA 92004710809, IN PESONA DEL PRESANTE LEGALE
ISTITUTO

RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 23/05/2016

BALDO

DEGLI

UBALDI

43/B,

lo

presso

studio

dell’avvocato ANDREA MANFRONI, rappresentato e difeso
dall’avvocato DOMENICO OTTAVIO SICLARI;
– controricorrente nonchè contro

– intimati –

avverso la sentenza n. 348/2010 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 25/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/04/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO
ORILLA;
udito l’Avvocato Malata Domenico difensore del
ricorrente che si riporta alle difese in atti
chiedendone l’acoglimento;
udito l’Avv. Siclari Domenico Ottavio difensore dei
controricorrenti che ha chiesto raccoglimento delle
difese in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

BELLANTONI DOMENICO, BELLANTONI ROCCO PACE;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto 3.7.2002 Libero Salvatore Bellantoni convenne
davanti al Tribunale di Reggio Calabria l’Istituto Diocesano per
il Sostentamento del Clero per far accertare il suo diritto di

proprietà, per avvenuta usucapione, su un terreno sito in
Castagnarella di melia di San Roberto, individuato come p.11a 55
del foglio 3 e formalmente intestato all’ente ecclesiastico.
Il convenuto si oppose alla pretesa e, in via
riconvenzionale; domandò il risarcimento del danno, da liquidarsi
in separata sede, per gli impedimenti frapposti dal Bellantoni
all’accesso al fondo per procedere al taglio e alla vendita del
bosco. Il giudizio venne iscritto al n. 1938/02.
In data 26.7.2002 l’Istituto,

dichiarandosi

proprietario

delle particelle 54,55,60,62,64,67 e 141, convenne a sua volta
in giudizio il Bellantoni ed altri due soggetti (tali Domenico
Bellantoni e Rocco Pace Bellantoni) lamentando che il primo,
colono delle particelle (54,62,64 e 67), aveva impedito il
passaggio ad altri coloni sui fondi sui quali egli però non
vantava alcun diritto e pertanto chiese che venisse dichiarata
l’esistenza di servitù di passaggio sui terreni detenuti dal
convenuto e dai familiari e che le costruzioni ivi edificate dal
Bellantoni erano di proprietà dell’istante.
I convenuti contestarono la domanda e Libero Salvatore
Bellantoni chiese in via riconvenzionale l’attribuzione ai sensi
dell’art. 938 cc del suolo eventualmente occupato con un

3

capannone da lui realizzato.
Riuniti i due procedimenti, assunta prova per testi e
disposta consulenza tecnica, con sentenza 6.7.2007 l’adito
Tribunale:
rigettò la domanda di usucapione proposta da

a)

Bellantoni;
b)

accolse la domanda di ripristino della stradella

proposta dall’Istituto diocesano, ordinando al Bellantoni la
consegna di copia delle chiavi del cancello ivi posto a confine
tra la p.11a 62 e la strada Melia-Scilla;
c)

dichiarò che il capannone realizzato sulla predetta

particella era di proprietà dell’ente;
d)

respinse la domanda ex art. 938 cc avanzata da

Bellantoni;
e) condannò il Bellantoni al risarcimento dei danni subiti
dall’Istituto, da liquidarsi in separata sede, nonché al
pagamento delle spese processuali;
f) compensò le spese tra l’Istituto e gli altri convenuti.
2

La Corte d’Appello di Reggio Calabria con sentenza

depositata il 25.10.2010, in parziale accoglimento dell’appello
proposto da Libero Salvatore Bellantoni, ha annullato la
statuizione sub b) del dispositivo inerente l’accoglimento della
domanda di ripristino del passaggio sulle stradelle poste
servizio del fondo Castagnarella compensando per un quinto le
spese di lite, poste per il resto a carico dell’appellante.
4

Per quanto ancora interessa in questa sede, la Corte
d’Appello ha così motivato la propria decisione:

il Bellantoni non aveva provato il possesso utile

all’usucapione,

emergendo anzi dagli atti del processo

(deposizioni testimoniali e documenti) la prova contraria;
la condanna generica al risarcimento danni per

impedimento allo sfruttamento economico del bosco a causa degli
ostacoli frapposti dal Bellantoni al passaggio si giustificava
per una serie di circostanze

(quali l’esistenza di un

procedimento possessorio promosso dall’Istituto e installazione
di un cancello apposto nel luogo denunziato, che potenzialmente
costituisce ostacolo all’accesso da parte del personale
dell’Istituto);

non sussistevano ragioni tali da giustificare la

sospensione in attesa della definizione del giudizio di
affrancazione tenuto conto della parziale alterità dei fondi e
della natura delle domande azionate;

il Tribunale aveva correttamente accertato che il

manufatto ricade per la maggior parte all’interno della
particella 62 di proprietà dell’appellato, derivandone ex lege
l’acquisto della proprietà per accessione ai sensi dell’art. 934
cc e non essendo provata, neppure in via presuntiva, la buona
fede del Bellantoni ai fini di una diversa conclusione a norma
dell’invocato art. 938 cc.
3

Contro tale decisione ricorre per cassazione il
5

Bellantoni sulla base di quattro motivi a cui resiste con
controricorso l’Istituto.
Le altre parti non hanno svolto difese neppure in questa
sede.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378
cpc allegando le pronunce di primo e secondo grado che avevano
deciso il giudizio sull’affrancazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1

Preliminarmente, vanno esaminate le eccezioni di

inammissibilità del ricorso formulate dal controricorrente per
mancanza di valida ed efficace procura speciale e per mancata
formulazione dei motivi nel rispetto delle prescrizioni di cui
all’art. 366 bis cpc.
Entrambe le eccezioni sono prive di fondamento.
Partendo dalla seconda, è sufficiente rilevare che la
pubblicazione della sentenza impugnata (avvenuta in data
25.10.2010) è successiva all’entrata in vigore della legge che
ha abrogato l’art. 366 bis cpc (legge 18 giugno 2009 n. 69
entrata in vigore il 4.7.2009). Quindi, nel caso di specie il
ricorso non era soggetto alle prescrizioni della norma ormai
abrogata.
Quanto ai requisiti della procura speciale rilasciata al
difensore ai fini della proposizione del ricorso, questa Corte
ha affermato che ai fini dell’ammissibilità del ricorso per
cassazione, sotto il profilo dell’art. 365 cod. proc. civ., è
6

necessario che lo stesso sia sottoscritto da avvocato iscritto
nell’apposito albo speciale, munito di mandato a margine o in
calce all’atto, o comunque a questo allegato, rilasciato dopo la
pubblicazione della sentenza impugnata e prima della

notificazione del ricorso stesso, senza, tuttavia, che sia
prescritto che di tale iscrizione venga fatta espressa menzione
nel ricorso (v. Sez. 2, Sentenza n. 15338 del 13/09/2012; Rv.
623807; Sez. 3, Sentenza n. 11533 del 16/11/1998 Rv. 520724).
Nel caso di specie, come è agevole constatare, la procura
risulta rilasciata in calce al ricorso per cassazione e
l’indicazione degli estremi della sentenza impugnata, unitamente
al timbro di congiunzione dell’ufficiale giudiziario addetto
alla Corte d’Appello, dimostrano il rilascio dopo la
pubblicazione

della

sentenza

impugnata

e

prima

della

notificazione. Inoltre, l’avv. Domenico Malara risulta
regolarmente iscritto all’albo dei cassazionisti (circostanza
peraltro neppure mai contestata dal controricorrente).
1 bis Venendo all’esame dei motivi di ricorso, col primo

di essi si denunzia il vizio di contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Analizzando stralci di deposizioni dei testi escussi nonché la
documentazione prodotta, il Bellantoni ritiene provato il
possesso ultraventennale dell’immobile utile all’usucapione e
pertanto si duole del rigetto, da parte della Corte di Appello,
della domanda da lui proposta.
7

Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a
sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione

conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del
merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e
valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti,

\à]

salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue
che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può
legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento
del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del
mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio,
ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente

adottate,

tale

da

non

consentire
8

l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a
base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477
del 09/08/2007

Rv.

598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del

27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del

07/01/2014 Rv. 629382).
Nel caso di specie, si è certamente al di fuori di tale
ipotesi estrema: la Corte d’Appello ha ravvisato la mancanza di
una prova rassicurante ed incontrovertibile circa l’esercizio di
un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà
innanzitutto dall’esame delle deposizioni dei testi indicati
dallo stesso appellante (di cui ha sintetizzato il contenuto);
ha altresì precisato che, anche a voler prescindere dalle
deposizioni dei testi Umberto Creazzo e Salvatore Giuseppe
Bellantoni (indicati dall’Istituto Diocesano), il primo giudice
aveva correttamente evidenziato una serie di altri elementi
sintomatici della consapevolezza del Bellantoni circa l’alterità
del bene reclamato e di una condotta dell’Istituto tutt’altro
che inerte, e quindi la compatibilità del comportamento
dell’appellante con un rapporto di colonia (contratto di vendita
di taglio del bosco e giudizio possessorio del 1974; richieste
di acquisto del fondo in questione in data 5 aprile e 8 agosto
2000 con cui Bellantoni riconosceva espressamente l’altrui
proprietà qualificandosi come colono).
Come si vede, trattasi di un percorso argomentativo
esauriente

e

privo di vizi logici, nonché giuridicamente
9

corretto perché, come ripetutamente affermato in giurisprudenza,
per la configurabilità del possesso

“ad usucapionem”,

necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non
interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa,

per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere
corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno
“ius in re aliena”, un potere di fatto, corrispondente al
diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale
di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione
della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una
indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta
all’inerzia del titolare del diritto (Sez. 2, Sentenza n. 8662
del 12/04/2010 Rv. 612341 non massimata; Sez. 2, Sentenza n.
18392 del 24/08/2006 Rv. 592054; Sez. 2, Sentenza n. 25922 del
29/11/2005 Rv. 585434; Sez. 2, Sentenza n. 11000 del 09/08/2001
Rv. 548945, Sez. 2, Sentenza n. 4436 del 11/05/1996 Rv. 497564;
Sez. 2, Sentenza n. 10652 del 13/12/1994 Rv. 489158). Né è
denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del
giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti
dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta
fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso
legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Sez. 2, Sentenza n.
8662/2010 cit.; Sez. 2, Sentenza n. 4903 del 31/07/1980 Rv.
408739; Sez. 3, Sentenza n. 4454 del 05/10/1978 Rv. 394117).
Piuttosto,

la

censura

del

ricorrente,

lungi
IO

dall’evidenziare

quell’insanabile

contrasto

tra

le

argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a
base della decisione, si limita, attraverso il richiamo alle
“stralci”

e neppure in forma

integrale: pagg. 27 e ss) semplicemente a proporre una
alternativa ricostruzione delle risultanze processuali,
sollecitando una sorta di terzo grado di giudizio, in questa
sede assolutamente precluso.
2 Col secondo motivo si denunzia ai sensi dell’art. 360 n.
4 cpc, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112
cpc. A suo dire, il rigetto della domanda di ripristino del
passaggio sulle stradelle poste a servizio del fondo
Castagnarella doveva necessariamente comportare il rigetto della
domanda generica di risarcimento danni per impossibilità di
sfruttamento economico del bosco, per come disposto al punto e)
del dispositivo della sentenza di primo grado, domanda
cronologicamente precedente a quella risarcitoria avanzata in
via riconvenzionale nel primo giudizio (1938/2002) e fondata sui
medesimi presupposti (procedimento possessorio del dicembre 1974
e impedimento frapposto al passaggio di due coloni). Il
ricorrente analizza poi l’ordine seguito dal Tribunale nella
trattazione delle questioni e, dal fatto che la domanda
risarcitoria sia stata trattata dopo quella principale di cui al
secondo atto di citazione, deduce che nella sentenza di primo

deposizioni (peraltro per

grado non vi era nessun riferimento specifico alla domanda
riconvenzionale di cui al procedimento 1938/2002, rilevando
altresì la mancanza di appello incidentale o riproposizione
della domanda da parte dell’Istituto.
motivo

che

investe

in

sostanza

il

tema

Il

dell’interpretazione della domanda giudiziale – è infondato.
L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce
operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio,
risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in
sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed
adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza
che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della
sua formulazione letterale nonché del contenuto sostanziale, in
relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza
essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla
parte stessa (tra le varie, v. Sez. 3, Sentenza n. 14751 del
26/06/2007 Rv. 597467; Sez. L, Sentenza n. 5491 del 14/03/2006
(Rii. 590044; più di recente, Sez. 3, Sentenza n. 9011 del
06/05/2015 Rv. 635266).
Nel caso in esame, la censura non attinge affatto la
motivazione ma ravvisa – attraverso un ragionamento estremamente
formalistico e improntato ad una visione del tutto personale un vizio di ultrapetizione sulla domanda risarcitoria che invece
risultava regolarmente proposta nel primo giudizio n. 1938/02
dall’Istituto in via riconvenzionale e che è stata accolta dalla
12

Corte di merito con motivazione immune da vizi logici attraverso
il richiamo (v. pag. Il) a circostanze potenzialmente dannose
(presenza di un cancello,

“che potenzialmente

costituisce un

ostacolo al passaggio da parte del personale dell’Istituto”).
Col terzo motivo il Bellantoni denunzia ai sensi

3

dell’art. 360 n. 4 cpc, la nullità della sentenza per violazione
dell’art. 278 cpc nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc la
violazione dell’art. 2697 cc.
Con tale censura, proposta in subordine rispetto a quanto
dedotto in precedenza, il ricorrente richiama i presupposti
necessari ai fini di una pronuncia di condanna generica e,
analizzando il materiale istruttorio preso in esame dalla Corte
d’Appello (deposizione dei testi Creazzo e Salvatore Giuseppe
Bellantoni) rileva che nessun accertamento in concreto è stato
acquisito agli atti di causa in relazione al fatto illecito del
Bellantoni, connesso anche ad un potenziale danno per
l’Istituto, con la sola eccezione del procedimento possessorio
di oltre trenta anni fa, né tantomeno è stato accertato per il
periodo successivo alcun nesso di causalità tra la condotta
dell’odierno ricorrente e il danno denunciato, cioè il mancato
sfruttamento del bosco.
Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, ai fini
della condanna generica al risarcimento del danno, sia essa
oggetto di autonomo giudizio, ovvero di quello che prosegue per
13

la determinazione del ‘quantum’, è sufficiente l’esistenza
potenziale del danno – in base ad un accertamento anche di
probabilità o di verosimiglianza che dovrà poi essere
determinato, o anche escluso dal giudice della liquidazione (v.

tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 6190 del 17/04/2003 (v.
562271; Sez. 2, Sentenza n. 17297 del 31/07/2006 Rv. 592075;
Sez. 2, Sentenza n. 4511 del 21/05/1997 Rv. 504572).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, come già esposto
nella trattazione del precedente motivo, ha ravvisato nella
apposizione del cancello una potenziale dannosità per l’idoneità
del manufatto a ostacolare l’accesso al personale dell’Istituto:
motivazione indubbiamente succinta, ma congrua e come tale
inattaccabile dalla critica del ricorrente che, lungi dal
dimostrare le asserite violazioni di legge, si risolve ancora
una volta in una alternativa ricostruzione di risultanze
processuali.
4 Col quarto ed ultimo motivo il Bellantoni denunzia, ai
sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, la nullità del procedimento in
riferimento alla mancata applicazione dell’art. 295 cpc
dolendosi del rigetto dell’istanza di sospensione del giudizio
iscritto al n. 2379/2002 in attesa della definizione di quello
di affrancazione pendente davanti alla sezione agraria del
Tribunale, potendosi – a suo dire – ravvisare un contrasto di
giudicati in caso di accoglimento della domanda di affrancazione
con conseguente acquisto della proprietà del capannone ex art.
14

934 cc da parte del Bellantoni e di declaratoria, in questo
giudizio, del diritto di proprietà dello stesso capannone a
favore dell’Istituto, sempre per accessione.
Con la memoria ex art. 378 ha prodotto le sentenze di

primo e secondo grado a lui favorevoli in ordine alla domanda di
affrancazione (sentenza del Tribunale di Reggio Calabria – sez.
specializzata per le controversie agrarie depositata il
24.2.2012 e la recente sentenza della Corte d’Appello di Reggio
Calabria sez. Specializzata Agraria, depositata il 16.3.2016).
Il motivo è infondato.
Va premessa l’assoluta autonomia tra il giudizio di
accertamento dell’acquisto per usucapione della particella 55 e
quello di affrancazione riguardante altre particelle (nel caso
di specie, le 54,62,64 e 67).
Quanto ai rapporti tra il giudizio di affrancazione e
quello (riunito al precedente) in cui è stato accertato, tra
l’altro, l’acquisto della proprietà, per accessione ex art. 934
cc, con riferimento al capannone insistente per la maggior parte
all’interno della p.11a 62 (v. sentenza impugnata pag. 14),
nessuna ipotesi di pregiudizialità o conflitto di giudicati è
ipotizzabile.
In tema di acquisto della proprietà per accessione, questa
Corte ha più volte affermato che la proprietà della costruzione
eseguita dal terzo sul fondo altrui, con materiali propri, si
acquista ipso iure al momento dell’incorporazione e per effetto
15

di questa al proprietario del suolo (v. Sez. 2, Sentenza n.
13215 del 06/06/2006 Rv. 590668; Sez. 2, Sentenza n. 11742 del
15/05/2013 Rv. 626227; Sez. 2, Sentenza n. 2746 del 12/05/1979
Rv. 399060).

La pronuncia meramente dichiarativa dell’acquisto per
accessione, avvenuto a favore dell’Ente Ecclesiastico al momento
dell’incorporazione (pronuncia emessa dal Tribunale e confermata
dalla Corte d’Appello Di Reggio Calabria con la sentenza del
25.10.2010 oggi impugnata) non potrà, dunque, influire sulla
successiva sentenza che, con efficacia di giudicato, disponga
l’affrancazione con effetto ex tunc, cioè dalla data di
notificazione della domanda (v. sulla decorrenza
dell’affrancazione, Sez. 2, Sentenza n. 1375 del 14/02/1997 Rv.
502430; Sez. 2, Sentenza n. 2552 del 25/07/1972 Rv. 360070; Sez.
2, Sentenza n. 534 del 05/03/1970 tutte in tema di enfiteusi, ma
la regola è valida ovviamente anche per gli altri rapporti
rientranti tra quelli per i quali è previsto il diritto
potestativo di affranco).
Pertanto, qualora dovesse formarsi il giudicato sulla
sentenza 340/2015 della Corte d’Appello di Reggio Calabria sez.
Specializzata Agraria, depositata il 16.3.2016 le sorti della
particella 62 (l’unica che qui interessa) saranno diverse e con
effetto dalla domanda di affrancazione.
In conclusione il ricorso va respinto e il ricorrente, per
il principio della soccombenza, va condannato al pagamento delle
16

spese di questo grado di giudizio.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in C. 3.200,00 di

Così deciso in Roma il 13.4.2016.

cui e. 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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