Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10617 del 03/05/2010

Cassazione civile sez. un., 03/05/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 03/05/2010), n.10617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29386/2005 proposto da:

M.A. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FARNESINA 269, presso lo studio dell’avvocato

D’URBANO ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO

SALVATORE, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCO DI SICILIA S.P.A., CURATELA DEL FALLIMENTO R.C.R.;

– intimati –

sul ricorso 524/2006 proposto da:

BANCO DI SICILIA S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FONTANELLA BORGHESE 69/72, presso lo studio dell’avvocato VOLTAGGIO

ANTONIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLA

RENATO, per delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.A., CURATELA FALLIMENTO R.C.R. S.N.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 416/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 22/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/02/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

uditi gli avvocati Emidio STRACCIA per delega dell’avvocato Salvatore

Mauro, Antonio VOLTAGGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

M.A., in qualità di creditore chirografario cambiario di C.F., promosse un procedimento di espropriazione immobiliare nei confronti del proprio debitore, provvedendo a dare avviso del procedimento all’unico creditore ipotecario, la RCR, in quanto l’immobile era risultato gravato da un’ipoteca volontaria. Nel procedimento esecutivo intervenne, peraltro, non solo il creditore ipotecario regolarmente avvisato ai sensi dell’art. 498 cod. proc. civ., ma anche il Banco di Sicilia, in forza d’ipoteca di primo grado iscritta sull’immobile mediante l’indicazione di una particella catastale peraltro errata.

Nel procedere alla vendita forzata del bene, il giudice dell’esecuzione respinse l’istanza di assegnazione diretta del ricavato formulata dal Banco di Sicilia ai sensi del R.D.L. n. 646 del 1905, art. 55, predisponendo un progetto di distribuzione che non riconosceva all’istituto di credito la qualità di creditore privilegiato per avere l’inesatta identificazione del subalterno catastale determinato la assoluta incertezza sull’identificazione del bene (e la conseguente invalidità dell’iscrizione).

Il Banco di Sicilia propose opposizione al progetto di distribuzione.

Si costituì M.A., spiegando domanda riconvenzionale volta alla declaratoria, ex art. 2841 c.c., della invalidità e inefficacia delle ipoteche iscritte tanto in favore dell’opponente quanto della RCR, nelle more fallita.

Il tribunale di Ascoli Piceno dichiarò inammissibile l’opposizione del Banco.

L’impugnazione proposta dall’istituto di credito fu accolta dalla corte di appello di Ancona, che dichiarò l’illegittimità del piano di riparto predisposto dal giudice dell’esecuzione immobiliare.

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il M., riproponendo le proprie difese in punto d’invalidità dell’iscrizione ipotecaria.

Il controricorrente Banco di Sicilia deduce, in limine, l’inammissibilità del ricorso per tardività, dicendo ricomprese nell’ambito dei procedimenti attinenti agli incidenti cognitivi in sede d’esecuzione forzata (esclusi dall’applicabilità, ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 92 e della L. n. 742 del 1969, art. 3, della sospensione feriale dei termini) anche le controversie in sede distributiva (altro profilo d’inammissibilità dedotto dal resistente attiene poi al difetto d’interesse del ricorrente che, in quanto chirografario per la sorte capitale del credito, sarebbe rimasto fuori dalla distribuzione del ricavato anche senza l’operatività della prelazione ipotecaria contestata).

Alla luce delle riferite doglianze d’inammissibilità, il ricorrente ha formulato istanza, ai sensi dell’art. 376 cod. proc. civ., comma 2, ed art. 139 disp. att. cod. proc. civ., affinchè fosse rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all’applicabilità della sospensione dei termini feriali ad una controversia avente ad oggetto l’opposizione ad un piano di riparto del ricavato del giudice dell’esecuzione, ravvisandosi, in subiecta materia, un contrasto tra le sezioni semplici di questa corte per effetto: della pronuncia n. 232 9 del 2006 della prima sezione – predicativa della applicabilità della sospensione dei termini feriali al reclamo proposto avverso il decreto del giudice delegato avente ad oggetto il progetto di ripartizione dell’attivo della procedura concorsuale – nella cui motivazione si era fatto espresso riferimento alle controversie distributive disciplinate dall’art. 512 cod. proc. civ., al fine di escluderne la riconducibilità al regime derogatorio della sospensione feriale dei termini previsto nel R.D. n. 12 del 1941, art. 92 e L. n. 742 del 1969, art. 3, per le opposizioni all’esecuzione;

– della pronuncia n. 1331 del 2006 della terza sezione che, viceversa, aveva ritenuto non applicabile la sospensione de qua a tutti gli incidenti cognitivi del procedimento esecutivo, con espressa inclusione delle controversie previste dall’art. 512 cod. proc. civ..

Diritto

IN DIRITTO

1 – Il quadro normativo.

L’esame della questione sottoposta al giudizio di queste sezioni unite postula una breve ricognizione del quadro normativo rilevante in parte qua: accanto all’art. 512 cod. proc. civ. e alle disposizioni del procedimento esecutivo che ne costituiscono il necessario corollario applicativo, difatti, spiegano altresì influenza, ai fini del decidere, alcune norme della legge fallimentare che hanno ad oggetto le forme di opposizione al progetto di ripartizione dell’attivo formulato all’interno della procedura concorsuale, in quanto una delle due pronunce di questa corte segnalata quale fonte del denunciato contrasto ha ad oggetto proprio un’opposizione al piano di riparto – non senza considerare che tanto le norme oggetto del procedimento esecutivo quanto quelle della procedura fallimentare hanno subito rilevanti modifiche a causa dei recenti interventi legislativi, onde l’esigenza tanto di accertare se si pongano, in concreto, problemi di diritto intertemporale, quanto (e soprattutto) di verificare quale delle due soluzioni astrattamente predicabili nella fattispecie risulti maggiormente coerente con il novellato impianto normativo.

La vicenda esecutiva in esame riguarda un procedimento che si apre e perviene alla fase distributiva nel vigore del regime processuale antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 80 del 2005.

L’art. 512 c.p.c., nella vecchia formulazione, disponeva che, se, in sede di distribuzione, sorge controversia tra creditori concorrenti o tra creditori e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell’esecuzione provvede all’istruzione della causa, se è competente; altrimenti rimette le parti davanti al giudice competente a norma dell’art. 17, fissando un termine perentorio per la riassunzione.

A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 3, lett. e), n. 9 della novella del 2005, la norma oggi recita: se in sede di distribuzione, sorge controversia tra i creditori concorrenti, o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa, la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c., comma 2.

Il giudice può, con l’ordinanza di cui al primo comma, sospendere, in tutto od in parte, la distribuzione della somma ricavata.

L’analisi comparata delle due norme mostra come, nel sistema processuale ante-riforma, qualsiasi censura riguardante il progetto di distribuzione del ricavato determinasse un procedimento a cognizione piena, non formalmente qualificato come opposizione all’esecuzione ma certamente a quest’ultimo assimilabile quanto a struttura del procedimento e (incontestato) assoggettamento al doppio grado di giudizio, mentre, nell’attuale formulazione, si prevede una fase endoprocessuale che si chiude con l’ordinanza del giudice dell’esecuzione cui spetta il compito di dirimere le contestazione sollevate dalle parti al progetto distributivo (a tale fase ne segue una, meramente eventuale, conseguente all’impugnazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione che si svolge nelle forme del novellato art. 617 cod. proc. civ.).

Non ignora la corte che, secondo l’unanime opinione della dottrina processualcivilistica, con la locuzione “procedimento esecutivo pendente” si è soliti riferirsi esclusivamente alla fase endoprocedimentale riguardante le scansioni proprie dell’esecuzione forzata. Nella fase di ripartizione dell’attivo, la nuova norma può, conseguentemente, trovare applicazione solo se il progetto distributivo non è definito dal giudice dell’esecuzione, mentre è irrilevante, ai fini del regime processuale applicabile, la pendenza di un incidente di cognizione sull’esistenza o l’entità del credito o sull’esistenza dei diritti di prelazione.

L’incidente cognitivo oggetto del presente procedimento può, in conclusione, ritenersi assoggettato all’art. 512 cod. proc. civ., vecchia formulazione (l’assunto, come si vedrà meglio in seguito, non è priva di rilevanza pratica, dal momento che proprio la non riconducibilità al modello processuale dell’opposizione agli atti esecutivi – o all’esecuzione – del giudizio con il quale si contesta il progetto di ripartizione dell’attivo da parte del giudice delegato costituisce il fondamento per l’applicazione della sospensione feriale dei termini in una delle due sentenze oggetto del contrasto).

Le norme della legge fallimentare che meritano considerazione sono l’art. 26 (nella vecchia e nuova formulazione), l’art. 36 bis, introdotto dal D.Lgs n. 5 del 2006, art. 110 nella formulazione ante- riforma ed in quella attuale.

La disposizione più rilevante ai fini della soluzione della questione di diritto sottoposta all’esame della corte è quella di cui all’art. 36 bis, a mente del quale tutti i termini processuali previsti nell’art. 26 (reclami avverso i provvedimenti del giudice delegato) e 36 (reclami avverso i provvedimenti del curatore e del Comitato dei creditori) non sono soggetti alla sospensione feriale.

L’intervento del legislatore ha così codificato l’opera di estensione della deroga alla sospensione feriale dei termini processuali in materia di reclami avverso i provvedimenti del giudice delegato, in ordine ai quali l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di questa corte aveva già escluso l’applicabilità della sospensione de qua, sia pure con riferimento a fattispecie di reclamo diverse (quali il reclamo avverso il provvedimento di liquidazione dell’attivo), ritenendola invece applicabile in ordine a istanze o subprocedimenti non aventi natura giuridica di reclamo ai sensi della L. Fall., art. 26, antevigente (ove era stabilito che si applica la sospensione feriale dei termini all’istanza del fallito rivolta all’esame ed estrazione copia del fascicolo fallimentare).

Quanto ai rapporti tra la formulazione attuale della L. Fall., art. 26 e quella anteriore alla novella, la differenza di maggior rilievo si coglie esclusivamente nella procedimentalizzazione dettagliata del rimedio impugnatorio nell’attuale norma, che risponde ad esigenze di tutela dell’effettività del contraddittorio largamente avvertite e già ampiamente attuate in via interpretativa. Nessuna modificazione può dirsi intervenuta, invece, rispetto alla funzione del reclamo, che nel vecchio e nel nuovo sistema della legge fallimentare rimane identico, ovvero quella di strumento generalmente utilizzabile per impugnare i provvedimenti del giudice delegato, così come nell’art. 36 continuano ad essere disciplinati i ricorsi avverso i provvedimenti del curatore con l’integrazione nella nuova formulazione di quelli emessi dal comitato dei creditori. Infine, quanto alla L. Fall., art. 110, che ha ad oggetto il progetto di ripartizione sia nella vecchia che nella nuova formulazione, la differenza più consistente tra le due norme, ai fini della presente indagine, riguarda proprio l’espressa previsione e procedimentalizzazione del reclamo avverso tale progetto, proponibile da parte dei creditori ai sensi dell’art. 36.

Tale ultima norma, come già evidenziato, disciplina sia i reclami avverso i provvedimenti del curatore e del comitato dei creditori da proporsi al giudice delegato, sia le modalità d’impugnazione dei provvedimenti assunti dal giudice delegato in sede di reclamo. Ciò che rileva è che l’art. 36 viene espressamente richiamato nell’art. 36 bis ai fini dell’inapplicabilità della sospensione dei termini feriali, con la conseguenza che, nel nuovo sistema della legge fallimentare, è testualmente esclusa la sospensione dei termini feriali per ogni tipologia di reclamo avverso il progetto distributivo, mentre, nella disciplina anteriore, era previsto che i creditori potessero far pervenire osservazioni al piano di riparto all’esito delle quali il giudice delegato con decreto predisponeva il testo definitivo ed esecutivo: avverso tale provvedimento era pacificamente ammesso il reclamo secondo il modello procedimentale indicato nell’art. 26, ma già a far data dalla sentenza n. 2326 del 2006 si era dubitato della riconducibilità di tale strumento al modello delle opposizioni all’esecuzione o agli atti esecutivi, conseguentemente negandosi l’applicazione del divieto di sospensione dei termini feriali.

In questo composito plesso normativo, caratterizzato da profonde modifiche sia del procedimento esecutivo che di quello fallimentare, va collocata la disposizione del R.D. n. 12 del 1941, art. 92 e della L. n. 742 del 1969, art. 3 – con cui si escludono dall’applicazione della sospensione dei termini feriali le cause riguardanti le opposizioni all’esecuzione – estese in via interpretativa a tutti gli incidenti cognitivi riguardanti la fase dell’esecuzione forzata, ovvero all’opposizione agli atti esecutivi, all’opposizione di terzo e all’accertamento dell’obbligo del terzo, controversie tutte incidenti sulla celerità della definizione della fase esecutiva.

2 – La giurisprudenza costituzionale.

Prima di esaminare nel dettaglio gli orientamenti della giurisprudenza di questa corte in ordine all’ambito di applicazione della sospensione dei termini feriali nel procedimento di esecuzione forzata, non appare un fuor d’opera il richiamo alle più rilevanti decisioni del giudice delle leggi in subiecta materia con specifico riguardo alla compatibilità del regime derogatorio con il diritto costituzionale di difesa, onde verificare se tali principi possano spiegare influenza sulla decisione da adottare da parte di queste sezioni unite in ordine al segnalato contrasto.

Rilevano, in primis, le pronunce della Corte in ordine alle controversie di natura previdenziale introdotte non dai lavoratori al fine di ottenere le prestazioni previdenziali dovute ma dall’Ente pubblico nei confronti dei datori di lavoro, ritenendosi estensibile anche ad esse l’inapplicabilità della sospensione dei termini feriali prevista dalla L. n. 742 del 1969, art. 3, in quanto la loro sollecita definizione corrisponde all’esigenza degli enti di procurarsi le risorse per fornire le prestazioni dovute. (Corte Cost.

ord. n. 61 del 1985 e ord. n. 61 del 1992). Nei dieta della Corte si rinvengono due principi idonei a fornire un utile strumento interpretativo ai fini che occupano il collegio, poichè l’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini viene ad essere limitata quanto alle ipotesi tipizzate “in funzione dell’oggetto ed in base ad una ragionevole presunzione di legge” alle categorie indicate dalla norma, ma all’interno di esse “l’applicazione deve essere estesa a tutte le controversie prospettabili, dal momento che, se il legislatore ha individuato alcuni sotto-settori ordinamentali come meritevoli di celere definizione, non vi è tendenzialmente ragione di escluderne l’applicabilità per alcune tipologie di controversie”. Come corollario di questo principio di tassatività, il giudice delle leggi ha invece ritenuto applicabile la sospensione feriale dei termini per un numero non irrilevante di controversie in quanto non rientranti neanche in via interpretativa nei modelli indicati dal legislatore (Corte Cost. n. 40 del 1985 in ordine al procedimento di opposizione alla stima dell’indennità espropriativa; n. 49 del 1990 sul termine di decadenza per le impugnazioni di delibera condominiale; n. 380 del 1992 sul termine di decadenza per proporre opposizione ai provvedimenti della Commissione disciplinare dell’ordine degli architetti).

Queste pronunce hanno prevalentemente riguardato l’esigenza di adeguamento ai principi costituzionali in tema di diritto alla difesa di alcune forme di accesso alla tutela giurisdizionale che, per la loro peculiarità procedimentale o per il ricorso al modello camerale, potevano indurre a ritenere non applicabile la sospensione feriale dei termini processuali. E per queste categorie di controversie la Corte ha elaborato il discrimine secondo il quale, quando il rimedio processuale è l’unico attuabile per accedere alla tutela giurisdizionale, non può essere esclusa l’operatività della sospensione feriale dei termini, mentre dall’applicazione del principio sono escluse tutte le tipologie di controversie per le quali è prevista l’inoperatività della sospensione per una valutazione fondata sull’esigenza di celerità compiuta ex ante dal legislatore, in funzione della natura degli interessi coinvolti nel conflitto giudiziale. In questa ipotesi, come emerge dalle pronunce relative alle cause previdenziali, il giudice delle leggi assume un orientamento tendenzialmente onnicomprensivo, ritenendo che la ratio di sollecita definizione non possa che riguardare tutte le controversie aventi un medesimo oggetto (orientamento coincidente, peraltro, con quello, nettamente maggioritario, della giurisprudenza di questa corte, oggi vieppiù rafforzato dalla costituzionalizzazione del canone della ragionevole durata del processo, da reputarsi tanto più operante, anche in funzione integrativa o quanto meno interpretativa, nel definire il quadro applicativo di una norma che ha l’identica funzione di accelerare la definizione di alcune tipologie di controversie al fine di favorire l’effettività della tutela giudiziale).

3.- La natura giuridica delle opposizioni distributive.

Ai sensi dell’art. 512 cod. proc. civ., previgente, qualsiasi forma di contestazione del piano di riparto che potesse essere ricompresa anche in senso lato nelle ampie categorie della sussistenza o dell’ammontare di un credito, o che avesse ad oggetto la sussistenza di cause di prelazione, determinava, secondo la giurisprudenza di questa corte, in consonanza con la più attenta dottrina specialistica, un accertamento a cognizione piena, garantito dal doppio grado di giurisdizione Si trattava, pertanto, di un procedimento di cognizione del tutto analogo all’opposizione all’esecuzione, tanto da porre l’interrogativo (a più riprese sollevato in dottrina) circa la possibilità di proporre anche nel corso della fase distributiva un’opposizione all’esecuzione, autonoma e concorrente con l’incidente cognitivo previsto dall’art. 512 cod. proc. civ., riguardante il diritto a procedere all’esecuzione o all’impignorabilità dei beni oggetto di espropriazione.

La predicata autonomia del procedimento a cognizione piena previsto nella formulazione antevigente dell’art. 512 cod. proc. civ., rispetto alle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, posta a base dell’applicabilità della sospensione feriale dei termini dalla sent. n. 2329 del 2006 nel breve tratto della motivazione dedicato a questo profilo, non corrisponde, peraltro, all’orientamento dottrinale maggioritario.

La pronuncia della prima sezione, difatti, esclude espressamente la riconducibilità dell’incidente cognitivo regolato dall’art. 512 previgente alla categoria delle opposizioni agli atti esecutivi e dell’opposizione all’esecuzione, ritenendo che il giudizio a cognizione piena da azionarsi per svolgere contestazioni al progetto di distribuzione sia assoggettato ad una “specifica procedura”. Tale procedura, peraltro, dal punto di vista del modello processuale, non sembra presentare forti elementi di distinzione rispetto all’opposizione all’esecuzione così come configurata dal legislatore prima della L. n. 80 del 2005. Ne può omettersi di rilevare, in ordine al rapporto tra le controversie distributive così come disciplinate dall’art. 512 cod. proc. civ., antevigente (ma la riflessione si pone in termini del tutto analoghi anche nel nuovo contesto normativo del procedimento esecutivo e di quello fallimentare) e le contestazioni relative al piano di riparto fallimentare, che la più avvertita dottrina ha condivisibilmente ravvisato una radicale diversità tra le due forme di contestazione alla fase del riparto: il rimedio previsto nella procedura fallimentare, inquadratile (pur se non senza oscillazioni) nel reclamo L. Fall., ex art. 26, ha un oggetto limitato alla collocazione e graduazione dei crediti, mentre il rimedio previsto nell’art. 512 ha portata ben più ampia, potendo riguardare la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o la sussistenza di cause di prelazione.

I due modelli procedimentali di opposizione si rivelano, poi, assai poco omogenei, quanto meno con riferimento al rito previgente, in quanto l’incidente cognitivo nel procedimento di espropriazione nasce direttamente dall’udienza davanti al giudice del riparto, mentre il reclamo costituisce vero e proprio mezzo d’impugnazione di un provvedimento giudiziale (la differenza può apparire meno significativa nel nuovo rito per la previsione, ancorchè eventuale, di una vera e propria impugnazione ex art. 617 cod. proc. civ,, ma deve essere posta in correlazione sia con il potere/dovere del giudice dell’esecuzione di risolvere in via endoprocessuale le contestazioni, sia con l’intervenuta abrogazione della L. Fall., art. 105, che, pur limitatamente alle norme sulle vendite dei beni mobili ed immobili – e non alle contestazioni ed opposizioni – rinviava ove compatibile al sistema dell’esecuzione forzata).

La sottolineata autonomia e diversità tra i due momenti caratterizzanti il procedimento fallimentare e il procedimento di esecuzione forzata costituisce, così, un primo, essenziale momento di riflessione ai fini della soluzione del prospettato contrasto, in quanto la pronuncia che ritiene applicabile la sospensione feriale dei termini (come dianzi ricordato, la n. 2329 del 2006) ha ad oggetto proprio il reclamo avverso il decreto di esecutività del piano di riparto fallimentare per non aver tenuto conto delle osservazioni critiche dei creditori, e fonda una delle due rationes decidendi proprio sulla corrispondente applicabilità della sospensione dei termini feriali ai giudizi regolati, nell’esecuzione forzata, dall’art. 512 cod. proc. civ..

Ma l’evidenziata diversità tra il piano di riparto (i controlli giudiziali ad esso relativi) endofallimentare e il progetto di distribuzione nell’esecuzione forzata individuale introduce un primo, insuperabile elemento di criticità nel processo ermeneutico di assimilazione tra le fattispecie funzionale a ritenere applicabile la sospensione feriale dei termini alle opposizioni distributive.

4.- Le posizioni della giurisprudenza di legittimità. La giurisprudenza di legittimità, a partire dalla fine degli anni ottanta, quanto all’estensione dell’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini processuali agli incidenti cognitivi del procedimento di esecuzione forzata, mostra un orientamento univocamente rivolto ad un’interpretazione sempre più estesa della fattispecie dell’opposizione all’esecuzione, testualmente richiamata dal R.D. n. 12 del 1941, art. 92, ed esclusa dall’applicazione della sospensione feriale dei termini processuali della L. n. 742 del 1969, ex art. 3.

Già nella pronuncia n. 1680 del 1989 questa Corte, nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa proprio al citato art. 3 con riferimento all’opposizione all’esecuzione da intendersi latu sensu, includerà nella categoria anche l’opposizione agli atti esecutivi, precisando che tale norma “non si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., atteso che il più rapido svolgimento dei procedimenti in relazione alla particolare natura degli stessi, nonchè la possibilità di scelta temporanea o definitiva di un difensore diverso da quello che voglia usufruire del periodo feriale, implicano l’insussistenza della violazione dei diritti della difesa”.

In particolare:

a) quanto all’opposizione agli atti esecutivi, è consolidato il principio dell’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini processuali per tali vicende del processo di esecuzione (Cass. n. 4795 del 1989; n. 4283 del 1994; n. 2627 del 2003; n. 10495 del 2004;

n. 12250 del 2007). L’analisi della nutrita e conforme sequenza di pronunce della corte consente di evidenziare che l’orientamento in parola, consolidatosi in seno alla terza sezione, a partire dall’ordinanza n. 2627 del 2003 ha costantemente predicato l’esigenza di una generale estensione del principio a tutti gli incidenti cognitivi relativi al procedimento di esecuzione forzata individuale, specificando che la medesima regola si applica anche all’opposizione di terzo all’esecuzione e all’accertamento dell’obbligo terzo, e rinvenendo costantemente (e condivisibilmente) la ratio di tale estensione nella esigenza di sollecita definizione delle cause di opposizione e di pronta realizzazione dei crediti. La preminenza di questa finalità ha indotto poi questa Corte a ritenere operante l’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini processuali anche “quando l’esecuzione sia stata portata a compimento, perdurando le cause di opposizione che costituiscono fattori di ritardo nella definizione della procedura esecutiva” (Cass. n. 6103 del 2006, mentre l’unica eccezione all’applicazione generalizzata della regola ad ogni tipologia di opposizione esecutiva è oggetto del dictum di cui a Cass. n. 10132 del 2003 con riferimento alla particolare ipotesi di accertamento dell’inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata e di prosecuzione del giudizio soltanto in ordine alle spese. In motivazione, la Corte sottolinea, peraltro, che la soluzione costituisce una deroga all’orientamento condiviso dovuta soltanto alla assoluta peculiarità della fattispecie).

b) quanto all’opposizione di terzo all’esecuzione, in tutte le pronunce poc’anzi richiamate è riaffermato il principio della generale applicazione dell’inoperatività della sospensione dei termini feriali nelle opposizioni esecutive (comprese quelle promosse dal terzo pignorato) e nelle opposizioni a precetto, attesa la finalità pubblicistica sottesa al regime di celerità voluta dal legislatore. In particolare, si segnalano Cass. n. 14601 del 2004 (la quale, come la successiva n. 6103 del 2006, precisa che l’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini non è posta nell’interesse del debitore esecutato ma nell’interesse dei creditori ad una sollecita definizione del procedimento esecutivo) e Cass. n. 12250 del 2007 (che riafferma la perfetta tenuta costituzionale di questa finalità acceleratoria della regola e la sua compatibilità con il pieno esercizio del diritto di difesa);

c) quanto all’accertamento dell’obbligo del terzo, anche per queste controversie, che determinano a loro volta un incidente cognitivo della fase esecutiva, è esclusa l’applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali: Cass. n. 4375 del 2003 e, più di recente, Cass. n. 7345 del 2009;

d) quanto alle controversie distributive, va osservato come, nelle pronunce dianzi ricordate, queste controversie non risultino espressamente menzionate nell’elenco delle opposizioni alle quali non si applica la sospensione feriale dei termini processuali. La ragione dell’esclusione risiede, a giudizio del collegio, nella formulazione stessa dell’art. 512 cod. proc. civ. previgente, che, pur prevedendo espressamente un incidente a cognizione piena in presenza di contestazioni sull’esistenza o l’ammontare dei crediti o sulle cause di prelazioni, non ne definiva esplicitamente il modello operativo, poichè la natura giuridica della controversia non si discostava, per struttura e funzione, dall’opposizione all’esecuzione, mutuandone l’accertamento a cognizione piena, il doppio grado di giurisdizione, i criteri di individuazione del giudice competente. Al pari delle altre opposizioni esecutive, inoltre, anche l’opposizione distributiva (come efficacemente definita dalla pressochè unanime dottrina) determinava, nella vigenza del vecchio rito (e determina attualmente) un “rallentamento” nella definizione del procedimento esecutivo, onde il dictum delle due pronunce della terza sezione della Corte (Cass. nn. 1331/06 e 23800/07) che, nell’occuparsi funditus di tale fattispecie, hanno esteso ad essa il regime della inapplicabilità della sospensione feriale dei termini processuali;

e) Quanto ai reclami avverso i provvedimenti di liquidazione dell’attivo, la sospensione dei termini feriali è stata ritenuta inapplicabile con orientamento del tutto consolidato dalla stessa prima sezione di questa Corte in ordine ai decreti (ed al conseguente ricorso ex art. 111 Cost.) emessi dal Tribunale fallimentare in sede di reclamo proposto L. Fall., ex art. 26. Secondo la Corte il reclamo in questione ha, nella procedura concorsuale, una funzione sostitutiva (Cass. n. 8665 del 1992) delle opposizioni previste negli artt. 615 e 617 cod. proc, civ. per il procedimento esecutivo individuale e, quindi, ha natura identica a questa ultima. Da tale premessa consegue che il divieto di sospensione sancito nella L. n. 742 del 1969, art. 3, con riferimento alle opposizioni esecutive (R.D. n. 12 del 1941, art. 92) si applica ai reclami in questione “ricorrendo la medesima ratio di rapida definizione di particolari procedimenti” (Cass. n. 2066 del 1995). Il principio è stato costantemente ribadito, con identica motivazione, e con l’integrazione, nella pronuncia n. 11100 del 2004, della non ragionevole limitazione dell’inapplicabilità della sospensione dei termini processuali alle sole cause relative alla dichiarazione e alla revoca del fallimento (testualmente contenute nel citato R.D. n. 12 del 1941, art. 92), attesa la medesima esigenza di sollecita definizione della procedura riscontrabile sia nell’esecuzione forzata che nel fallimento. (La soluzione scaturente da tale orientamento ha trovato conferma nell’art. 36 bis della nuova legge fallimentare, che ha esteso a tutti i reclami ex art. 26 e 36 la regola dell’inapplicabilità della sospensione dei termini feriali);

f) Quanto, infine, ai reclami avverso i provvedimenti di ripartizione dell’attivo, in consapevole contrapposizione con tale orientamento si pone la sentenza della prima sezione n. 2329 del 2006 che, pur riconoscendo il peso dell’indirizzo sopra evidenziato, ne esclude il rilievo sottolineando la non assimilabilità dei reclami avverso i provvedimenti di liquidazione dell’attivo – ai quali si applica il divieto di sospensione dei termini processuali – con quelli avverso i provvedimenti di ripartizione dell’attivo: solo ai primi la Corte riconosce la funzione sostitutiva delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, ritenendo che il modello d’incidente cognitivo contenuto nell’art. 512 cod. proc. civ., previgente non sia riconducibile alle opposizioni esecutive, con la conseguenza che il reclamo avverso il decreto di ripartizione dell’attivo non possa svolgere quella funzione sostitutiva riconosciuta invece ai decreti di liquidazione dell’attivo. L’adesione all’orientamento espresso dalla pronuncia n. 2329 del 2006, contenuto nella successiva pronuncia n. 10634 del 2007, non riguarda, poi, l’oggetto della decisione – che non è l’impugnazione avverso un provvedimento del giudice fallimentare in materia di riparto dell’attivo ma un’azione d’indebito promossa nei confronti di un creditore di concordato fallimentare che aveva ricevuto una somma superiore a quella dovuta:

nella sentenza, difatti, si esclude espressamente che la decisione riguardi una controversia distributiva, e solo in un obiter dictum si aggiunge che, anche nel caso fosse configurabile una controversia distributiva in sede endofallimentare, la sospensione sarebbe applicabile perchè la previsione del divieto di cui alla L. n. 742 del 1969, con riferimento ai procedimenti indicati nel R.D. n. 12 del 1941, art. 92, deve essere intesa in senso del tutto restrittivo (argomentazione, quest’ultima, che contrasta, tuttavia, anche con gli orientamenti della stessa prima sezione in materia di reclami avverso provvedimenti endofallimentari, assoggettati al divieto proprio in virtù di una lettura estensiva della categoria dell’opposizione all’esecuzione).

4.1 – Le pronunce della terza sezione nn. 1331/06 e 23800/07.

La pronuncia n. 1331 del 2006 ha ad oggetto il giudizio promosso da un creditore escluso dal progetto di distribuzione predisposto dal giudice dell’esecuzione. Nella motivazione, al fine di escludere l’applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali, la Corte richiama tutti i precedenti relativi all’orientamento estensivo sopra esaminato, e perviene alla conclusione che “il legislatore abbia inteso disciplinare, ai fini della non applicabilità della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, la materia delle esecuzioni – nella sua interezza – come una categoria in cui sono inserite anche tutte le opposizioni che è possibile instaurare nel giudizio comunque ricollegabile al concetto di esecuzione, nessuna esclusa e, quindi, comprendendovi anche le opposizioni relative alla distribuzione della somma ricavata”. Anche per queste controversie valgono, difatti, le ragioni di celerità e la consapevolezza che gli incidenti cognitivi, costituzionalmente necessari, costituiscono fattori di ritardo nell’attuazione dei diritti dei creditori ancora insoddisfatti. Nella medesima linea di pensiero si pone la più recente pronuncia n. 23800 del 2001, che conferma l’orientamento precedente, richiamandolo con riferimento ad un giudizio di contestazione dell’esistenza del credito in capo al creditore procedente che aveva richiesto l’assegnazione della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati.

5. – La composizione del contrasto.

E’ convincimento di queste sezioni unite che il contrasto oggetto del presente procedimento debba essere risolto dando continuità all’orientamento espresso dalla terza sezione di questa corte, dovendosi escludere che l’odierna controversia rientri tra quelle alle quali si applica la sospensione feriale dei termini.

Struttura e funzione del sub-procedimento in parola non sembrano, difatti, in alcun modo discostarsi da quelle proprie dell’opposizione all’esecuzione, finanche in ordine alle modalità d’impugnazione (con riferimento alle disposizioni previgenti), nè appare legittimamente predicabile una diversità di incidenza, come fattore di ritardata definizione delle procedure, da un lato, del reclamo avverso il provvedimento di ripartizione dell’attivo (e il successivo ricorso per cassazione), dall’altro, dell’omologo strumento nel procedimento esecutivo individuale (e del successivo modello impugnatorio). Appare allora innegabile che la pretesa disomogeneità strutturale evidenziata dalla sentenza della prima sezione, con riferimento all’ordinamento ante-vigente, non si discosti da una dimensione di analisi meramente formalistico-definitoria: nella formulazione originaria dell’art. 512 cod. proc. civ. viene, si, previsto un incidente cognitivo non denominato opposizione all’esecuzione, ma cionondimeno produttivo di un automatico effetto sospensivo della distribuzione della somma ricavata quanto meno parziale e, conseguentemente, incidente in modo determinante sui tempi di attuazione del soddisfacimento dei creditori. Militano, in definitiva, sul versante dell’estensione dell’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini processuali:

1) – l’identità funzionale del divieto: sia nelle opposizioni esecutive che in quelle relative alla distribuzione del ricavato si pone l’esigenza di non ritardare il soddisfacimento dei creditori e di definire celermente la procedura, secondo una eadem ratio che tanto la Corte Costituzionale, con riferimento alla generale natura giuridica della deroga, quanto questa Corte di legittimità nel suo orientamento largamente maggioritario in sede di opposizioni esecutive, hanno posto a base delle molte pronunce riguardanti l’ambito di applicazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 92 e della L. n. 742 del 1969, art. 3;

2) – la sostanziale identità strutturale e funzionale (nella formulazione dell’art. 512 cod. proc. civ. previgente) dell’incidente cognitivo in sede distributiva e dell’opposizione all’esecuzione disciplinata dall’art. 615 cod. proc. civ., sia sotto il profilo della cognizione piena che dei gradi di giurisdizione (il ripristino del doppio grado di giurisdizione nell’opposizione all’esecuzione è oggi sancito dalla L. n. 69 del 2009);

3) – l’applicazione automatica della sospensione quanto meno parziale in caso d’incidente cognitivo ex art. 512 cod. proc. civ. previgente;

4) – l’incontestata applicazione del divieto nel sistema normativo vigente sia con riferimento alle opposizioni distributive relative al procedimento di esecuzione forzata, attualmente qualificate testualmente come opposizioni agli atti esecutivi e conseguente incluse nel divieto di applicazione della sospensione dei termini feriali, sia con riferimento ai reclami avverso i decreti del tribunale fallimentare sulle pronunce assunte in sede di riparto, attesa l’introduzione della generale regola dell’operatività del divieto per i reclami L. Fall, ex art. 26 ed art. 36, tra i quali vano ricompresi senz’altro anche quelli riguardanti le decisioni assunte in ordine alla ripartizione dell’attivo;

5) – la coerenza di questo orientamento con il canone costituzionale della ragionevole durata del processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale.

Al principio di diritto suesposto consegue che, essendo stato il ricorso notificato oltre il termine ultimo per la sua proposizione, la cui scadenza va individuata alla data del 7.11.2005, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile. Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso principale consegue quella di assorbimento dell’impugnazione incidentale del Banco di Sicilia.

La complessità della questione trattata legittima il provvedimento di compensazione delle spese.

P.Q.M.

La corte riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2010

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