Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10615 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 22/04/2021), n.10615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO CARLA – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17270-2019 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DI NOVELLA

1, presso lo studio dell’avvocato MARIO LUCCI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINA PULLI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PATRIZIA

CIACCI, MANUELA MASSA;

– resistente –

avverso la sentenza n. 836/2018 del TRIBUNALE di TIVOLI, depositata

il 13/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Tivoli, adito ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, all’esito di nuova CTU, ha accertato il requisito sanitario utile per l’assegno mensile di invalidità, L. n. 118 del 1971, ex art. 13; ha condannato l’Inps al pagamento delle spese processuali liquidate in “Euro 1.600,00” oltre IVA, CPA e spese forfettarie, con distrazione;

per la cassazione della decisione, nella parte relativa alla statuizione sulle spese, ha proposto ricorso il ricorrente indicato in epigrafe, affidato ad un unico e articolato motivo;

l’INPS ha depositato procura speciale;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo è denunciata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, della L. n. 794 del 1942, artt. 4 e 24, del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 e della L. n. 1051 del 1957, nonchè vizio di motivazione. Parte ricorrente censura la statuizione sulle spese, per violazione dei minimi tariffari, in difetto di specifica motivazione;

il motivo è fondato;

occorre premettere che il giudice nel liquidare le spese processuali relative ad un’attività difensiva ormai esaurita deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l’attività stessa è stata compiuta (Cass. n. 6457 del 2017; Cass. n. 17405 del 2012) sicchè alla presente fattispecie va applicato il D.M. n. 55 del 2014, in vigore dal 3 aprile 2014, in quanto il ricorso per ATP risulta introdotto in epoca successiva alla data indicata (il 27.1.2016);

quanto alla determinazione degli scaglioni applicabili, occorre invece tener conto della pronuncia delle Sez. Unite (sentenza n. 10455 del 2015) che – risolvendo il contrasto determinatosi in relazione al criterio per determinare il valore della causa ai sensi dell’art. 13 c.p.c., commi 1 e 2, – ha affermato il seguente principio di diritto: “ai fini della determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali va applicato il criterio previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 1, per cui, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni”;

ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (artt. 1 e 4), poi, il giudice è tenuto a liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, non essendo, invece, vincolato alla determinazione, in misura media, del compenso professionale; a tale riguardo, è stato anche chiarito, con riferimento al D.M. n. 140 del 2012 – ma con principio che resta attuale anche nella vigenza del D.M. n. 55 del 2014 – che il giudice è tenuto ad indicare le concrete circostanze che giustificano la liquidazione solo in caso di deroga ai minimi e massimi stabiliti dal D.M (cfr. Cass. n. 18167 del 2015; Cass. n. 16225 del 2016; Cass. n. 253 del 2016);

applicando tali principi al caso in esame, come già chiarito in plurimi arresti resi in casi analoghi (ex multis v. Cass. n. 28977 del 2018), il valore della causa va individuato tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva (cui deve parametrarsi il giudizio per ATP) e quattro per la fase introdotta ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, vanno individuati in 911,00 per la fase di istruzione preventiva (risultanti dalla somma di Euro 270,00 per studio della controversia, Euro 337,50 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 303,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4), e, trattandosi di causa inquadrabile nella tab. 4 (cause di previdenza), in Euro 2.251,00 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 442,50 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 475,50 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 962,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, ancora ai sensi del citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4);

di conseguenza, la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnata sentenza ed espressa in Euro 1.600,00 (riferita indistintamente alla liquidazione delle spese per il giudizio di APT e per quello successivo art. 445 bis c.p.c., ex comma 6), non è adeguata alla normativa di riferimento per essere inferiore ai minimi di cui si è detto, senza che risulti indicata alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal citato D.M. n. 55 del 2014, in relazione alle singole fasi processuali;

il ricorso va dunque accolto; l’impugnata sentenza va cassata nella parte relativa alla statuizione sulle spese con decisione nel merito -ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – riliquidando le spese della fase di ATP in Euro 911,00 e quelle del giudizio di opposizione ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, in complessivi Euro 2.251,00, così determinandosi l’importo complessivo di Euro 3.162,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15% ed accessori di legge, con attribuzione al difensore;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore dell’avv.to Mario Lucci, che si è dichiarato antistatario.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio dinanzi al Tribunale in Euro 3.162,00, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, con distrazione al procuratore antistatario.

Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge, con attribuzione all’avv.to Mario Lucci.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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