Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10613 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/04/2017, (ud. 19/01/2017, dep.28/04/2017),  n. 10613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27639-2012 proposto da:

CASTELLO DI QUERCETO SPA, (OMISSIS), IN PERSONA DEL PRESIDENTE DEL

CONSIGLIO DI AMM.NE E LEGALE RAPP.TE, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA DI PRISCILLA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

COEN, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato IVO MARIO

RUGGERI;

– ricorrente –

contro

EDILIZIA CACCIALUPI SRL, P.I. (OMISSIS) IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE

P.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F.LLI ROSSELLI 2,

presso lo studio dell’avvocato SILVIA BRIZZI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONINO GIUNTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1200/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato Celani Carlo con delega depositata in udienza

dell’avv. Coen Stefano difensore della ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del primo e del

terzo motivo di ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Castello di Querceto s.p.a. ricorre nei confronti della società Edilizia Caccialupi s.r.l. per la cassazione la sentenza con cui la corte d’appello di Firenze ha accolto la domanda, da quest’ultima proposta, di risoluzione del contratto preliminare dell'(OMISSIS) con cui l’odierna ricorrente aveva promesso in vendita alla società Edilizia Caccialupi un fabbricato colonico in Comune di (OMISSIS), con circostante terreno agricolo di mq 7.000, già oggetto di concessione edilizia per ristrutturazione e mutamento di destinazione da fabbricato rurale a civile abitazione.

La corte d’appello ha ritenuto che la formazione, da parte della promittente venditrice, di un frazionamento che definiva il perimetro del terreno di pertinenza del fabbricato in difformità da quanto pattuito nel contratto preliminare, con riduzione della relativa superficie in misura tale da comportare l’impossibilità di realizzare talune opere previste nel progetto approvato (i parcheggi condominiali, la piscina e le vie di accesso agli annessi seminterrati) rappresentasse “espresso proponimento della Castello di Querceto di prevedere, nel definitivo, il trasferimento di un quid sostanzialmente differente rispetto al promesso” (pag. 8 della sentenza) e, quindi, costituisse inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare l’accoglimento della domanda risolutoria della società Edilizia Caccialupi.

Il ricorso per cassazione si articola su tre motivi.

La società Edilizia Caccialupi ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 19.1.17, per la quale non sono state depositate memorie illustrative e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 1453 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che la formazione di un frazionamento catastale, peraltro anteriore alla conclusione del contratto preliminare (a pag. 9 della sentenza si legge che il frazionamento era stato redatto il 23.1.01, prima della conclusione del contratto preliminare del'(OMISSIS)), costituisse inadempimento di quest’ultimo contratto, nonostante che il frazionamento costituisca operazione rettificabile in ogni momento e che la società Castello di Querceto avesse manifestato la propria disponibilità ad eseguire le rettifiche del frazionamento necessarie per consentire l’esecuzione di tutte le opere previste nel progetto approvato.

In tal modo, secondo la ricorrente, la corte distrettuale avrebbe violato, per un verso, il principio per cui il contratto preliminare può essere risolto solo se una delle parti contraenti abbia determinato l’impossibilità di adempiere correttamente alle obbligazioni derivanti dal definitivo, o abbia espressamente dichiarato di non voler adempiere, e, per altro verso, il principio per cui non può dichiararsi la risoluzione di un contratto per un adempimento avveratosi in epoca anteriore alla conclusione del medesimo.

La censura va disattesa perchè non risulta pertinente alle motivazioni della sentenza gravata. La condotta della promittente venditrice che la corte territoriale ha giudicato inadempiente dalla corte non è, infatti, l’intervenuta redazione del frazionamento ma la “comunicazione della volontà della venditrice di scorporare dal compendio compromesso una parte rilevante di terreno (il tecnico dell’appellante ha indicato detta parte in metri quadri 1630), con le conseguenze concrete che si sono dette e con la correlativa impasse nell’esecuzione dei lavori” (pag. 8 della sentenza), vale a dire la comunicazione alla promissaria acquirente della volontà di trasferire un’estensione di terreno minore del pattuito.

Il secondo motivo di ricorso denuncia l’ulteriore violazione in cui sarebbe incorsa la sentenza gravata non rilevando che la Edilizia Caccialupi aveva tacitamente rinunciato al diritto di agire per la risoluzione come, secondo la ricorrente, emergerebbe dalla corrispondenza tra le parti attestante l’esistenza di un accordo sulla presentazione del nuovo frazionamento predisposto dei rispettivi tecnici e contenente la reiterata dichiarazione della Edilizia Caccialupi di voler adempiere al preliminare secondo le previsioni di progetto.

Il motivo va giudicato inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo, perchè la questione se la Edilizia Caccialupi avesse rinunciato al diritto di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente venditrice (implicante un accertamento di fatto) non è trattata nella sentenza gravata e risulta dedotta per la prima volta nel ricorso per cassazione; al riguardo va qui ribadito che, come ancora di recente affermato da questa Sezione (sent. n. 8206/16), qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. In secondo luogo il motivo di ricorso in esame va giudicato inammissibile perchè postula una valutazione del comportamento della Edilizia Caccialupi che involge apprezzamenti di fatto che competono al giudice di merito e che in questa sede sono censurabili solo sotto il profilo, non adeguatamente sviluppato dal ricorrente, di vizi logici o lacune argomentative del ragionamento decisorio sviluppato nella sentenza impugnata; come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), infatti, nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1455 e 2697 c.c. in cui la corte d’appello sarebbe incorsa giudicando di gravità risolutoria l’inadempimento ascritto alla società Castello di Querceto. Anche tale motivo va giudicato inammissibile, perchè incide su apprezzamenti di merito alla corte territoriale; ancora di recente, infatti, questa Corte ha avuto modo di ribadire che la valutazione della gravità dell’inadempimento, prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo, è rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (cfr. sent. n. 6401/15).

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente a rifondere alla società controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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