Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10609 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. III, 30/04/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 30/04/2010), n.10609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A. (OMISSIS), T.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio

dell’avvocato MASSANO MARIO, rappresentati e difesi dall’avvocato

VENTURINI MARCELLO con delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO TRASMAT SRL nella qualità di Curatore Dott.ssa C.

A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A

BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato COLOMBO CLAUDIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRESCHI ROBERTO con delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

N.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 933/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

Prima Sezione Civile,emessa il 12/10/2005; depositata il

22/10/2005;R.G.N. 444/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato MARCELLO VENTURINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. Con ricorso del dicembre del 1997 il Fallimento Trasmat s.r.l.

conveniva in giudizio, davanti al Pretore di Genova, S.A. A., T.M. e N.G. e, assumendo che alla data della dichiarazione di fallimento era pendente un contratto di locazione stipulato nell’ottobre 1990 tra la S. ed il T. in qualità di locatori e la s.r.l. Trasmat in qualità di conduttrice, per l’uso dichiarato di foresteria, e che da detto contratto la curatela era receduta restituendo l’immobile, deduceva che in realtà quella destinazione era simulata e che l’immobile era stato effettivamente locato per essere adibito dal N., all’epoca amministratore della società, ad abitazione sua e della sua famiglia. Tanto premesso, adducendo che la destinazione apparente era stata funzionale ad eludere la normativa sull’equo canone, chiedeva accertarsi la nullità della clausola relativa al canone convenzionale e/o della simulazione relativa del contratto con sostituzione del canone legale, previa determinazione dello stesso per il periodo dall’ottobre 1990 al marzo 1997, nonchè la consequenziale condanna dei locatori alla restituzione delle somme versate in eccedenza.

Si costituiva in giudizio la S., che, otre a contestare il fondamento della domanda, faceva rilevare che il ricorso non risultava ritualmente notificato al T., suo marito separato, perchè la notifica era avvenuta al domicilio fiscale del medesimo in Italia, mentre egli si era trasferito in Brasile, dove risiedeva. Si costituiva anche il N., che aderiva alla prospettazione del ricorrente e svolgeva domanda riconvenzionale contro i locatori per la restituzione di quanto pagato personalmente in eccedenza rispetto al canone legale nonchè del deposito cauzionale.

A seguito di differimenti dell’udienza di trattazione, determinati dalla notificazione della riconvenzionale, che veniva effettuata su ordine del giudice a cura della cancelleria soltanto alla S., all’udienza del 24 marzo 2000 il ricorrente veniva invitato a produrre il certificato di residenza del T.. Acquisito tale certificato, da cui risultava che il medesimo era residente in (OMISSIS), nell’udienza del 19 maggio 2000 veniva disposta la rinnovazione della notificazione nelle forme dell’art. 142 c.p.c., del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 420 c.p.c., nei confronti del T., con concessione di termine perentorio fino al 23 ottobre 2000 e rinvio della trattazione all’udienza del 23 marzo 2001.

In tale udienza la curatela fallimentare chiedeva nuovo termine per provvedere alla notificazione e, nulla opponendo le parti, il giudice lo concedeva disponendo che la rinnovazione della notificazione avvenisse per l’udienza del 18 gennaio 2002 (per la quale disponeva anche, previa revoca dell’ordinanza con cui precedentemente aveva disposto la notifica della riconvenzionale a cura della cancelleria, che ad essa provvedesse il N.).

Nella detta udienza, avendo il Fallimento fatto presente di non essere riuscito a provvedere alla notificazione per inadempienza del traduttore incaricato della traduzione degli atti in vista della notifica, il giudice, sempre in assenza di opposizione delle controparti, concedeva nuovo termine per la rinnovazione della notificazione per l’udienza del 24 ottobre 2002, nella quale il Fallimento depositava atto di rinnovazione eseguito in Marocco e la S. eccepiva che, riguardo ad esso non risultava, tuttavia, depositato l’avviso di ricevimento, onde la notifica si doveva reputare omessa.

p. 1.1. Con ordinanza riservata del 26 (27, secondo i ricorrenti novembre 2002 il Tribunale di Genova (già subentrato al Pretore, a seguito della soppressione dell’ufficio pretorile), previo rilievo che all’udienza del 19 maggio 2000 era stata disposta la rinnovazione della notificazione della citazione (rectius: del ricorso) con concessione di un termine perentorio che non era stato rispettato, onde già all’udienza del 23 marzo 2001 si sarebbe dovuta disporre la cancellazione della causa dal ruolo, visto l’art. 291 c.p.c., ordinava la cancellazione della causa dal ruolo.

Con comparsa depositata il 13 marzo 2003 la Curatela riassumeva il processo e all’udienza del 4 luglio 2003, fissata per la prosecuzione, la S. eccepiva l’estinzione del processo.

p. 1.2. Con sentenza del 15 aprile 2004 il Tribunale di Genova, previo rilievo che la cancellazione dal ruolo disposta ai sensi del dell’art. 291 c.c., comma 3, aveva determinato l’estinzione immediata del processo alla stregua dell’art. 307 c.p.c., comma 3, e che, quindi, il processo non avrebbe potuto essere riassunto, dichiarava l’estinzione.

p. 2. Il Fallimento Transat appellava la sentenza sostenendo che l’estinzione era stata erroneamente dichiarata, perchè la relativa eccezione era stata prospettata tardivamente.

La S. eccepiva la tardività dell’appello, in quanto, essendosi verificato l’effetto estintivo immediatamente all’atto della cancellazione della causa dal ruolo, avrebbe dovuto essere appellata la stessa ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo, riguardo alla quale l’appello risultava tardivo, dovendosi d’altronde ritenere che la riassunzione operata dalla Curatela non avesse svolto alcun effetto sulla già verificata estinzione del giudizio.

Con sentenza del 22 ottobre 2005 la Corte d’Appello di Genova ha accolto l’appello ed ha rimesso le parti davanti al primo giudice in applicazione dell’art. 354 c.p.c..

La sentenza si fonda sulle seguenti ragioni: pur avendo il Tribunale correttamente individuato l’evento estintivo in quanto verificatosi per effetto della cancellazione della causa dal ruolo, che doveva ritenersi correttamente, se pur tardivamente, disposta a seguito del rilievo del mancato adempimento dell’ordine di rinnovo della notificazione nel termine perentorio concesso (che, peraltro, era stato irritualmente ed inutilmente prorogato), risultava peraltro errata perchè configgente con il principio secondo cui l’estinzione non è rilevabile d’ufficio, ma, ai sensi dell’art. 307 c.p.c., comma 4, su eccezione di parte, da sollevarsi prima di ogni altra istanza o difesa, tanto che, nell’ipotesi di litisconsorzio necessario, allorquando risulti omessa l’integrazione del contraddittorio, di fronte alla mancata proposizione dell’eccezione, la giurisprudenza ritiene che sussista una causa di improseguibilità del processo per la decisione nel merito; nella specie, essendo l’evento estintivo costituito dalla mancata ottemperanza alla disposta rinnovazione della notificazione del ricorso, l’eccezione di estinzione avrebbe dovuto essere proposta all’udienza del 23 marzo 2001 “o quanto meno in quella del 18 gennaio 2002 o in quella del 24 ottobre 2002, nella quale invece la S. aveva eccepito la mancanza di una formalità relativa alla notificazione effettuata nel termine rinnovato e poi ancora prorogato”, la quale, del resto, non aveva alcuna idoneità a legittimare il Tribunale a rilevare l’estinzione; doveva trovare applicazione la norma dell’art. 354 c.p.c., comma 2, da considerarsi applicabile a qualsiasi ipotesi di dichiarazione di estinzione effettuata dal giudice monocratico di primo grado; non era fondata la tesi della S. che l’appello si sarebbe dovuto proporre contro l’ordinanza dispositiva della cancellazione della causa dal ruolo, in quanto avente valore di sentenza in senso sostanziale, poichè detta ordinanza era stata ritualmente emessa ed era rispondente al modello normativo, di modo che non v’era ragione per una sua impugnativa, mentre “l’anomalia della irrituale riassunzione” era “indipendente dalla citata ordinanza” ed esigeva “di essere prospettata nei termini stabiliti per la proposizione dell’eccezione di estinzione”.

p. 3. Contro questa sentenza hanno proposto congiunto ricorso per cassazione la S. ed il T., sulla base di tre motivi.

La Curatela fallimentare ha resistito con controricorso, mentre non ha svolto attività difensiva il N..

La Curatela ha anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo si deduce “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 291, 307 c.p.c., comma 3 e art. 327 c.p.c.”, adducendosi che la Corte genovese non avrebbe considerato che l’ordinanza del 27 novembre 2002, dispositiva della cancellazione della causa dal ruolo aveva avuto natura sostanziale di sentenza, non trattandosi di provvedimento ordinatorio, bensì decisorio, giacchè alla dichiarazione di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., era conseguita l’immediata estinzione del processo. A sostegno dell’asserto della natura decisoria dell’ordinanza vengono citate Cass. n. 17772 del 2004, n. 8092 del 2004, n. 3733 del 2004 e n. 8206 del 2002, oltre ad una decisione di cui non si indica il numero.

Da tanto si fa conseguire che l’ordinanza avrebbe dovuto essere impugnata con l’appello e che, pertanto, essendo stato proposto l’appello contro la sentenza dichiarativa dell’estinzione ben oltre il termine lungo dalla detta ordinanza, quest’ultima si doveva reputare passata in cosa giudicata, onde erroneamente la Corte d’Appello aveva considerato tempestivo l’appello in quanto proposto contro la sentenza.

Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, per contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” e vi si censura come contraddittoria la sentenza impugnata perchè da un lato avrebbe ritenuto correttamente dichiarata l’estinzione e contemporaneamente dall’altro l’avrebbe riformata. Con il terzo motivo, in fine, si prospetta “”violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Il motivo è testualmente illustrato nei termini seguenti: “Assume, ancora, il giudice d’appello: “indipendentemente dalla citata ordinanza (27 novembre 2002: n.d.r.) è l’anomalia della irrituale riassunzione del processo, la cui rilevanza peraltro esigeva, per le ragioni precedentemente esposte, di essere prospettata nei termini stabiliti per la proposizione dell’eccezione di estinzione”. Tale motivazione è palesemente insufficiente. La signora S.A., costituendosi in giudizio, a seguito dell’atto di riassunzione cui si fa riferimento nell’assunto sovrariportato, dopo aver eccepito l’estinzione del processo, si è così espressa: “Peraltro la cancellazione della causa dal ruolo ex art. 291 cod. proc. civ., comporta l’immediata estinzione del processo a norma dell’art. 307 c.p.c., comma 3, con la ovvia conseguenza che il processo non può essere riassunto”. Con che altra formula si sarebbe dovuta esprimere la signora S.A. per stigmatizzare l’irritualità dell’atto di riassunzione? La motivazione sul punto non fornisce alcun elemento al riguardo ed è, pertanto, totalmente insufficiente”.

Sulla base di tali premesse i ricorrenti chiedono la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata.

p. 2. Il primo motivo è infondato.

Esso si dirige esclusivamente avverso la statuzione con cui il giudice d’appello ha escluso che l’appello contro la sentenza del Tribunale dichiarativa dell’estinzione fosse precluso dall’esistenza del preteso giudicato sull’estinzione che si sarebbe formato per effetto del decorso del termine per l’impugnazione con l’appello dell’ordinanza dispositiva della cancellazione della causa dal ruolo, in quanto da considerarsi come sentenza in senso sostanziale, per la ragione che l’effetto estintivo alla cancellazione immediatamente consegue.

L’assunto che l’ordinanza del 26 novembre 2002, con la quale il Tribunale ordinò la cancellazione della causa dal ruolo a norma dell’art. 291 c.p.c., sarebbe stata una sentenza in senso sostanziale è privo di fondamento.

E’ vero che, nella logica espressa dal terzo comma dell’art. 291 c.p.c., alla cancellazione della causa dal ruolo per inottemperanza al termine concesso per la rinnovazione della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio al contumace, l’effetto dell’estinzione del giudizio consegue automaticamente, ma la stessa norma dice che dalla cancellazione consegue che “il processo si estingue a norma dell’art. 307 c.p.c., comma 3” e tale rinvio significa, per un verso che la fattispecie estintiva di cui all’art. 291 c.p.c., comma 3, è ricondotta nell’ambito di della norma dell’art. 307 c.p.c., comma 3, ma nel contempo, implica la collocazione della stessa nell’ambito generale della disciplina dettata per l’estinzione per inattività delle parti sotto il profilo dinamico dall’art. 307 c.p.c., comma 4 e nella specie – trattandosi di processo cui non è applicabile la sostituzione operata dalla recente L. n. 69 del 2009 – sotto il tenore della norma anteriore ad essa, che recitava, com’è noto, che “l’estinzione opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa. Essa è dichiarata con ordinanza del giudice istruttore, ovvero con sentenza del collegio, se innanzi a questo eccepita”.

Questa disciplina, scaturente dalle modifiche apportate nel testo degli artt. 291 e 307 c.p.c., dalla riforma di cui alla L. n. 581 del 1950, comporta che, allorquando il giudice dispone la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., se è vero che il consolidamento della fattispecie estintiva è automatico, nel senso che diventa possibile rilevarne gli effetti, tale rilevazione non risulta proclamata dall’ordinanza di cancellazione dal ruolo (che si limita appunto a disporre la cancellazione), ma necessita di un’attività della parte interessata a che la vicenda estintiva sia dichiarata.

Diverse sono le modalità con cui tale attività può estrinsecarsi.

Essa può verificarsi anzitutto con un’iniziativa della parte interessata a far evidenziare l’estinzione in relazione al processo in cui si è verificata e che consiste nella riassunzione del processo allo scopo di ottenere – previa deduzione e, quindi, rilevazione dell’estinzione nell’atto di riassunzione e, dunque, proposizione dell’eccezione – la dichiarazione dell’estinzione (si veda Cass. n. 2322 del 1994: “L’estinzione del processo per inattività delle parti (e quindi anche per mancata riassunzione nel termine di sei mesi dopo la cessazione della causa di sospensione), ove non dedotta dall’interessato in via di eccezione, a norma dell’art. 307 cod. proc. civ., può essere richiesta in via di azione con atto riassuntivo del processo stesso, con la conseguenza di rimettere la causa nello stesso stato processuale in cui si trovava al momento del provvedimento (di interruzione, sospensione, cancellazione dal ruolo) che ne ha arrestato il normale iter procedimentale”; adde, fra tante, nella stessa logica: Cass. n. 1995 del 1967; n. 4298 del 1974; n. 3525 del 1983; n. 6651 del 1986).

L’attività di rilevazione dell’estinzione in via di eccezione della parte interessata, allorquando, come nella fattispecie di cui all’art. 291 c.p.c., comma 3, la causa risulti cancellata dal ruolo oppure risulti in stato di quiescenza per essere stato fissato dal giudice o dalla legge un termine per la sua riassunzione, suppone, viceversa, che lo stato di cancellazione dal ruolo o di quiescenza venga fatto cessare. Ciò può avvenire, innanzitutto, per effetto di un atto di riassunzione, ma meglio sarebbe dire di “ripresa” (atteso che nel primo caso la riassunzione non è consentita e nel secondo lo era ma ormai è preclusa) del processo, posto in essere dalla parte controinteressata, interessata cioè a che il processo prosegua nonostante la verificazione della fattispecie estintiva. L’eccezione, infatti, è necessariamente un’attività difensiva che si colloca contro la domanda altrui.

E’ quanto si è verificato nel caso di specie, in cui la Curatela fallimentare, una volta cancellata dal ruolo la causa ha preso l’iniziativa di riassumerla e si è vista eccepire dalla S. l’estinzione.

Poichè la verificazione dell’estinzione, a seguito di tale eccezione era – secondo la ricostruzione del sistema emergente dal rapporto fra art. 291 c.p.c., comma 3 e art. 307 c.p.c., per come determinato dalla citata riforma del 1950 – scrutinabile dal Tribunale nel giudizio riassunto, è palese che all’ordinanza ai sensi del detto terzo comma bene è stata negata dalla corte territoriale l’efficacia di sentenza in senso sostanziale dichiarativa dell’estinzione, efficacia che è del tutto al di fuori della logica della detta normativa.

L’attività di rilevazione dell’eccezione di estinzione del processo conseguita alla cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 3, potrebbe, poi, in ipotesi – lo si osserva per completezza – avvenire anche a seguito della revoca dell’ordinanza di cancellazione dal ruolo, cui il giudice che la emise sia stato sollecitato sempre dalla parte controinteressata all’estinzione e cui faccia luogo, evidentemente nel presupposto che non ricorressero le condizioni per la cancellazione dal ruolo:

l’ordinanza di cui all’art. 291 c.p.c., comma 3, infatti, non è detta inimpugnabile dalla norma e non è nemmeno soggetta ad una qualche mezzo di reclamo, onde, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., deve ritenersi revocabile. Nell’ipotesi in cui abbia luogo la revoca e sia disposta la ripresa del processo, la parte interessata ad ottenere la declaratoria dell’estinzione potrebbe, previa rilevazione che effettivamente il processo si era estinto e che, pertanto, non vi erano i presupposti per la revoca, potrebbe appunto, all’udienza fissata per la ripresa del processo, sollecitare la declaratoria di estinzione ai sensi dell’art. 308 c.p.c.. La proposizione dell’eccezione farebbe nascere il dovere del giudice di deciderla o immediatamente o in sede di chiusura del processo.

Va poi rilevato che la verificazione dell’estinzione potrebbe essere rilevata in via incidentale in altro successivo giudizio identico o contenuto o contenente rispetto a quello cancellato dal ruolo, per replicare ad un’eccezione di litispendenza o di continenza rispetto ad esso (ad esempio, Cass. n. 825 del 2006), oppure per sostenere, sempre in altro giudizio, che si è formata cosa giudicata sulla sentenza resa in primo grado nel giudizio cancellato dal ruolo (cd.

rilievo incidentale dell’eccezione di estinzione).

p. 2.1. Queste considerazioni vanno confrontate con due precedenti, uno di questa Sezione e l’altro della Prima Sezione, che sembrerebbero aver ricostruito il sistema diversamente.

Non ignora, infatti, il Collegio, in primo luogo, che una decisione di questa stessa sezione ha affermato che “L’ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., comma 3, implicando a norma dell’art. 307 cod. proc. civ., comma 3, la contemporanea ed automatica estinzione del processo, ha valore sostanziale di sentenza avendo contenuto definitivo del giudizio e pertanto il relativo provvedimento deve essere sottoscritto a pena di nullità insanabile sia dal presidente del collegio che dall’estensore” (Cass. 10664 del 2002).

Si tratta, tuttavia, di un precedente che non può in alcun modo essere condiviso, perchè basato su due precedenti assunti a premessa dell’asserito contenuto di sentenza sostanziale dell’ordinanza di cancellazione dal ruolo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 3, i quali sono il primo scarsamente convincente nella sua motivazione (ma non nella soluzione data al ricorso) ed il secondo privo di effettiva pertinenza.

Infatti, nella motivazione, Cass. n. 10664 richiama anzitutto Cass. (prima sezione) n. 157 del 1998, secondo la cui massima ufficiale del C.E.D. “Il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., comma 3 e art. 307 cod. proc. civ., comma 3, implica, tanto più quando si verta in ipotesi di mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario, contemporanea ed automatica estinzione del processo, senza alcuna possibilità di riassunzione. Tale estinzione è immediata ed opera anche in difetto di formulazione di una relativa eccezione, e comporta che, pur in assenza di eccezione, si pervenga ad una decisione di mero rito, ricognitiva della impossibilità di proseguire la causa in mancanza di una parte necessaria; ed in tal senso va interpretata anche una eventuale statuizione che provveda a definire il giudizio di primo grado attraverso la cancellazione della causa dal ruolo”.

Senonchè, nella fattispecie allora decisa la vicenda processuale si era articolata, come emerge dalla motivazione, con una del tutto impropria pronuncia, da parte del pretore in primo grado, di una sentenza dichiarativa della cancellazione dal ruolo della causa per l’inottemperanza all’ordine di cui all’art. 291 c.p.c., anzichè di un’ordinanza di cancellazione dal ruolo. Ne era seguito l’appello e l’appellante se l’era visto dichiarare inammissibile. La sentenza citata ha ribaltato la valutazione di inammissibilità dell’appello.

E lo ha fatto, sembra al Collegio, condivisibilmente: poichè la forma della decisione di cancellazione dal ruolo era stata – del tutto irritualmente – la sentenza ed il processo era stato così definitivamente chiuso, era ragionevole, con riferimento alla specie, ritenere che la pronuncia equivalesse ad una sorta di dichiarazione di estinzione, in quanto era preclusa ogni possibilità di discussione sulla chiusura del processo in rito. Questa avrebbe dovuto essere la ragione per cui si sarebbe dovuto accogliere il motivo di ricorso. La motivazione della sentenza in discorso, peraltro, assume come premessa l’interpretazione della sentenza pretorile come sentenza dichiarativa dell’estinzione, ma lo fa non per tali ragioni formali, bensì dicendo che, per il fatto che l’estinzione consegue alla cancellazione, comunque anche se fosse stata pronunciata ordinanza si sarebbe stati in presenza di una sentenza dichiarativa dell’estinzione. Peraltro, sembra giustificare tale valutazione anche perchè nella specie si trattava di in esecuzione di ordine di rinnovo nei confronti di un litisconsorte necessario. Comunque, si tratta di motivazione legata alla specie e poco chiara (onde non si prestava necessariamente ad essere intesa come l’ha intesa Cass. n. 10664 citata) e comunque – per le ragioni indicate in precedenza – assolutamente non condivisibile.

Non va, poi, sottaciuto che una non recente decisione di questa Corte si era così espressa: “Il provvedimento che dispone la cancellazione della causa dal ruolo (nella specie, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., comma 3), anche quando rivesta la forma di sentenza o sia contenuto in una sentenza che decida questioni pregiudiziali processuali o preliminari di merito, non acquista natura ed effetti decisoti e non è soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, salvo che la cancellazione della causa dal ruolo abbia formato oggetto di dissenso tra le parti e sia stata disposta dal collegio con una sentenza, che regoli l’onere delle spese secondo il principio della soccombenza” (Cass. n. 4345 del 1980; in senso conforme, in precedenza, Cass. n. 4445 del 1957).

Decisione questa – non considerata sia da Cass. n. 10664 del 2002, sia da Cass. n. 157 del 1998 – che è pienamente condivisibile, là dove svaluta la veste formale assunta dal provvedimento di cancellazione nel caso – che parrebbe quello di cui era investita – in cui il provvedimento è stato pronunciato senza dissenso delle parti e senza che si sia provveduto sulle spese.

Inoltre, altrettanto non considerata dalle citate decisioni è Cass. n. 8739 del 1997, che ha privilegiato ai fini dell’impugnabilità proprio il dato della pronuncia formale con sentenza della cancellazione dal ruolo, così statuendo: “Nell’ipotesi in cui venga disposta con sentenza la cancellazione della causa dal ruolo, la suddetta sentenza, attesa la forma del provvedimento adottato, è impugnabile con revocazione ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ..

(Nella specie la cancellazione della causa dal ruolo per inottemperanza all’ordine di integrazione del contraddicono, pur non essendo stata oggetto di dissenso tra le parti, era stata disposta con sentenza, statuente anche in ordine alle spese, e detta sentenza era stata impugnata ex art. 395 cod. proc. civ. per errore di fatto, risultando in atti la sussistenza delle richieste notifiche ai fini dell’integrazione del contraddicono. In applicazione del suesposto principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto inammissibile la proposta impugnazione)”.

Cass. n. 10664 del 2002 richiama, poi, a sostegno del principio espresso, Cass. n. 14936 del 2000, secondo la quale: “Il provvedimento con il quale il collegio – nel giudizio di appello – dichiari l’estinzione del processo, ancorchè emesso nella forma dell’ordinanza, ha contenuto sostanziale di sentenza, giusta la previsione dell’art. 306 cod. proc. civ., u.c., e, pertanto, non è soggetto a reclamo al collegio, ma a ricorso per cassazione della parte che ha interesse a contrastare tale declaratoria di estinzione.

Tale mezzo di impugnazione può anche essere utilizzato – in alternativa alla proposizione di una autonoma azione di accertamento del vizio o di una eccezione “ad hoc” in sede esecutiva – per far valere il vizio di nullità – inesistenza del provvedimento, derivante dalla sua sottoscrizione da parte del solo presidente del collegio in assenza di elementi che ne facciano ritenere la congiunta qualità di relatore o estensore, purchè nel rispetto delle relative regole di ammissibilità, ivi comprese quelle relative alla tempestività del ricorso. (Nel caso di specie – relativo ad un giudizio pendente alla data del 30 aprile 1995 – la S.C. ha dichiarato l’inammissibilità di ricorso proposto fuori termine avverso un’ordinanza dichiarativa dell’estinzione del processo firmata dal solo presidente, non cumulante in sè anche la qualità di relatore o estensore del provvedimento).”.

Il richiamo non appare pertinente, per la ragione che nella specie si era in presenza di un provvedimento dichiarativo dell’estinzione del processo e non di cancellazione della causa dal ruolo.

Questo stesso rilievo merita il richiamo che i ricorrenti hanno fatto alla giurisprudenza indicata nel motivo, cioè a Cass. n. 17772 del 2004, n. 8092 del 2004, n. 3733 del 2004 e n. 8206 del 2002: si tratta di decisioni tutte relative a fattispecie in cui si era in presenza di provvedimento dichiarativo dell’estinzione.

Giusta le considerazioni svolte, il primo motivo dev’essere, allora, rigettato alla stregua del seguente principio di diritto: “Nel regime anteriore alla L. n. 69 del 2009, l’ordinanza che dispone la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 3, non è impugnabile, in particolare con l’appello se emessa in primo grado, sul presupposto che implichi una dichiarazione di estinzione del processo, in quanto essa non assume come suo contenuto tale dichiarazione. La verificazione immediata di una fattispecie di estinzione, in conseguenza della cancellazione, infatti, a norma dell’art. 307 c.p.c., comma 4, ha luogo di diritto, nel senso che i suoi fatti costitutivi si intendono verificati una volta disposta la cancellazione dal ruolo per l’in ottemperanza all’ordine di rinnovo, ma la sua rilevazione, cioè l’acquisizione di rilievo giuridico nel senso della possibilità di attribuirle gli effetti suoi propri di estinguere il processo, richiede l’eccezione di parte, la quale può conseguire solo: a) a seguito di una riassunzione operata dalla parte interessata alla declaratoria dell’estinzione, propositiva dell’eccezione e finalizzata alla sua declaratoria; b) a seguito di proposizione dell’eccezione da parte sua nel processo eventualmente irritualmente riassunto dalla parte interessata a mantenere in vita il processo; c) a seguito di proposizione dell’eccezione in sede di eventuale ripresa del processo disposta dal giudice che dispose la cancellazione, previa revoca dell’ordinanza di cancellazione dal ruolo, cui l’altra parte l’abbia sollecitato; d) in altro processo separatamente instaurato, in via incidentale, al fini di dedurne un qualche effetto su di esso (esempio assenza della litispendenza o della continenza, oppure formazione di cosa giudicata)”.

p. 3. Il secondo ed il terzo motivo, viceversa, sono fondati.

Con essi ci si duole che la sentenza impugnata, pur avendo sostenuto che si era verificata una fattispecie estintiva ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 3, abbia escluso che fosse stata rilevata dalla S. nella sua prima difesa successiva.

L’assunto dei ricorrenti è nel secondo motivo che la sentenza impugnata avrebbe contraddittoriamente ritenuto ben dichiarata l’estinzione dalla sentenza di primo grado e tuttavia, avrebbe poi riformato tale sentenza, mentre nel terzo, nonostante qualche ambiguità espositiva, è che l’estinzione sarebbe stata dalla S. eccepita tempestivamente nella comparsa depositata a seguito della riassunzione operata dalla Curatela dopo l’ordinanza di cancellazione dal ruolo della causa.

Questo secondo assunto è fondato.

Va rilevato che, quando l’ordine di rinnovazione della notificazione resta inadempiuto nel termine perentorio all’uopo concesso, i fatti costitutivi dell’estinzione risultano integrati, ma ciò che ne può conseguire sul piano formale dell’esercizio dei poteri delle parti e del giudice è solo la cancellazione della causa dal ruolo, che dev’essere disposta d’ufficio dal giudice ed il potere della parte interessata di sollecitare il giudice ad adottarla. Solo una volta adottata l’ordinanza di cancellazione dal ruolo della causa, la fattispecie estintiva diventa rilevabile dalla parte interessata e può esserlo nei modi che in precedenza si sono veduti. Non è possibile pretendere che la parte interessata, nella prima udienza o difesa successiva alla scadenza del termine perentorio concesso per il rinnovo della notificazione, sia tenuta ad eccepire la verificazione dei fatti integratori dell’estinzione. Se così fosse il terzo comma dell’art. 291 c.p.c. non prevedrebbe che il giudice d’ufficio debba ordinare la cancellazione della causa dal ruolo, ma prevedrebbe che eventualmente sull’eccezione di estinzione egli debba decidere, in quanto proposta. Invece, la norma prevede testualmente che, rimasto inadempiuto l’ordine di rinnovo, la causa sia cancellata dal ruolo senza esigere alcuna attività delle parti e che (avvenuta la cancellazione) il processo si estingue a norma dell’art. 307 c.p.c., comma 3, di modo che il potere della parte di rilevazione dell’estinzione, di cui all’art. 307 c.p.c., comma 4, nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, può e deve essere esercitato solo dopo la cancellazione della causa dal ruolo. E, poichè la causa è cancellata dal ruolo e, quindi, non pende in concreto, la rilevazione dell’eccezione potrà avvenire solo secondo le alternative che si sono sopra indicate. Se il potere cui alludeva l’art. 307 c.p.c., comma 4, fosse stato esercitabile per il semplice verificarsi della fattispecie estintiva, il suo esercizio si sarebbe, del resto, concretato in un’eccezione e, quindi, nel dovere del giudice di deciderla, onde sarebbe stato del tutto contraddittorio che il giudice dovesse ordinare la cancellazione della causa al ruolo. Non è questo il sistema scaturito dalla (notoriamente) farraginosa riforma del 1950. La logica seguita dal legislatore fu quella di lasciare alle parti e segnatamente alla parte interessata all’estinzione uno spatium deliberandi sul se valersene ed è a questo scopo che alla verificazione dei presupposti di fatto giustificativi dell’estinzione, cioè all’inosservanza del termine perentorio venne fatta seguire solo la cancellazione dal ruolo della causa, la quale, ove quella parte fosse stata interessata alla prosecuzione del giudizio nel merito, avrebbe potuto consentire una riassunzione del processo, di fronte alla quale la mancanza di eccezione di estinzione avrebbe posto il giudice nell’impossibilità di rilevare l’estinzione. Va notato che, dovendo l’atto di riassunzione necessariamente essere notificato all’altra parte, riguardo alla quale l’ordine di rinnovo della notificazione era rimasto inadempiuto, la prosecuzione del processo in difetto di eccezione di estinzione formulata da quest’ultima, sarebbe potuta avvenire per essere il contraddittorio ormai instaurato e per essere stata la fattispecie estintiva ritenuta irrilevante, rispetto ai suoi interessi, da detta parte.

In base a questi rilievi, erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto allora che l’eccezione di estinzione si sarebbe dovuta proporre dalla S. fin dall’udienza del 23 marzo 2001, in relazione alla quale era stata disposto il rinnovo della notificazione del ricorso la prima volta, o all’udienza del 18 gennaio 2002, in relazione alla quale venne disposto il secondo ordine di rinnovo, o comunque all’udienza del 24 ottobre 2002.

In disparte la contraddizione insita nel fatto di riferire il momento di preclusione della formulazione dell’eccezione di estinzione a tre distinti e successivi momenti, si deve rilevare che: a) ogni rilievo possibile della fattispecie estintiva in dipendenza dell’inadempimento del primo ordine di rinnovo, venne meno per avere il Tribunale dato l’ordine di rinnovazione successivo all’udienza del 23 marzo 2001, e comunque, se a ciò non si consentisse, nel presupposto – non esplicitato, ma solo del tutto implicito, nell’ordinanza del 27 novembre 2003 – di una revoca del detto ordine, il rilievo della fattispecie estintiva derivata dall’inosservanza del detto primo ordine di rinnovo sarebbe stato possibile solo dopo la cancellazione dal ruolo disposta con detta ordinanza e, quindi, in sede di riassunzione come è avvenuto; b) il rilievo della fattispecie estintiva derivata dall’inosservanza del secondo ordine di rinnovo, ove non lo si reputasse revocabile, come invece implicito nell’ordinanza de qua, patimenti sarebbe stato possibile solo dopo la cancellazione dal ruolo e, quindi, solo dopo l’ordinanza del 27 novembre 2003 in sede di riassunzione, com’è avvenuto nella comparsa della S..

In entrambe le ipotesi, l’eccezione di estinzione appare tempestivamente proposta proprio nella prima difesa in cui era proponibile, cioè nella comparsa di risposta in riassunzione.

p. 4. Va rilevato che, essendosi chiesta con la domanda introduttiva del giudizio la determinazione del canone legale nel contraddittorio di entrambi i colocatori, cioè della S. e del T., quale presupposto per la condanna alle restituzioni delle somme eccedenti, le posizioni di costoro erano, quanto alla determinazione del canone, quelle di litisconsorti necessari: al riguardo si rileva che “In tema di locazione di immobili urbani, l’azione di accertamento della entità del canone, proposta a norma della L. n. 392 del 1978, art. 45, mirando a determinare un mutamento nell’ambito del rapporto locativo, ha natura costitutiva e, pertanto, in caso di pluralità di locatori, da luogo, tra i medesimi, sul piano processuale, ad una situazione di litisconsorzio necessario” (Cass. n. 9951 del 1997). Ne la situazione cambierebbe se, per escludere il litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c., si desse rilievo alla circostanza che il detto accertamento era stato chiesto dopo la cessazione del contratto, atteso che esso aveva come presupposto l’accertamento della simulazione relativa del contratto quanto alla destinazione e, dunque, rientrerebbe comunque nell’ambito delle azioni soggette a litisconsorzio necessario (ex multis, in termini, Cass. n. 4901 del 2007).

Ne consegue che l’estinzione verificatasi ed eccepita dev’essere riferita a tutto il processo e non può riguardare soltanto le domande nei confronti del T., come sarebbe stato in caso di litisconsorzio facoltativo.

p. 5. La sentenza impugnata è, conclusivamente cassata in accoglimento del secondo e del terzo motivo.

Poichè “la Corte di cassazione può decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., nel caso di violazione o falsa applicazione non solo di norme sostanziali, ma anche di norme processuali, e sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto” (Cass. n. 7144 del 2006, fra molte) e nella specie la violazione della norma procedimentale relativa al momento in cui doveva essere eccepita l’estinzione comporta, senza necessità di ulteriori accertamenti, il rilievo che l’eccezione fu tempestiva, ne consegue, senza bisogno di ulteriori accertamenti di fatto, che l’unico motivo di appello tendente ad evidenziare l’erronea dichiarazione in primo grado dell’estinzione sotto quel profilo appaia infondato. Ne consegue che può farsi luogo a cassazione e decisione nel merito con il rigetto dell’appello e la conferma dell’estinzione del processo dichiarata dal Tribunale.

p. 6. Le spese del giudizio di appello e di quello di cassazione, data la complessità delle questioni esaminate, possono integralmente compensarsi in ciò ravvisandosi giusti motivi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo ed il terzo. Cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito sull’appello lo rigetta confermando la sentenza di primo grado del Tribunale di Genova. Compensa le spese del giudizio di appello e di quello di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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