Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10608 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/06/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 04/06/2020), n.10608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7244/2014 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 3, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FISCHIONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LIBORIO PAGLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2572/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 07/11/2013 R.G.N. 1263/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Palermo, accogliendo il gravame proposto da L.F. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, ha accolto la domanda con cui il predetto aveva chiesto la condanna dell’Università degli Studi di Palermo al pagamento, a titolo di risarcimento del danno da tardiva assunzione, delle retribuzioni maturate dal 2.7.2003 al 4.5.2006, in attuazione della pregressa sentenza inter partes n. 707/2006, sempre della Corte d’Appello di Palermo;

la Corte territoriale riteneva che la tematica del risarcimento del danno avesse costituito oggetto della sentenza già in giudicato tra le parti e con la quale era stata disposta la condanna dell’Università alla corresponsione, per tale titolo, delle retribuzioni mensili spettanti tra le due predette date;

la Corte di merito riteneva quindi che ogni questione sull’aliunde perceptum avrebbe dovuto essere dedotta all’interno di quel giudizio, come era possibile fare per l’Università, acquisendo le opportune informative, in realtà assunte colpevolmente solo dopo quella pronuncia;

2. avverso tale pronuncia l’Università ha proposto due articolati motivi di ricorso per cassazione, cui il L. ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo l’Università adduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere erroneamente ritenuto che la sentenza in giudicato tra le parti fosse di pregiudizio alla detrazione dell’aliunde perceptum, in quanto essa – a dire della ricorrente – conteneva solo una generica affermazione del diritto al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni del periodo, tanto che il medesimo veniva in essa espressamente subordinato alla previa verifica dei requisiti per l’accesso al pubblico impiego, sicchè le retribuzioni percepite altrove, integrando l’aliunde perceptum un’eccezione in senso lato, andavano anche d’ufficio detratte dal dovuto;

con il secondo motivo è affermata la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), atteso che la concreta deduzione sull’aliunde perceptum era avvenuta nel primo atto utile rispetto alla sopravvenuta conoscenza dell’accaduto, ovverosia con la memoria difensiva depositata nel giudizio sul quantum;

i due motivi, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente;

2. la Corte territoriale ha inteso la sentenza del cui giudicato ha inteso fruire il L. come pronuncia non limitata all’an debeatur, ma riguardante anche il quantum, determinato in misura pari alle retribuzioni intercorrenti tra la data in cui l’assunzione doveva avere luogo e quella in cui essa è stata effettivamente attuata, sicchè il presente giudizio ha per oggetto solo la misurazione concreta di quel quantum già stabilito;

è su tale base che la Corte ha ritenuto che quanto percepito altrove non potesse esser detratto dalla somma pretesa per effetto di quel giudicato;

nel contestare tale argomentazione, l’Università, sostenendo che la sentenza in giudicato non contenesse la quantificazione del dovuto, ma solo una pronuncia generica, non ne ha trascritto il contenuto, limitandosi a mere affermazioni contrarie;

la formulazione del primo motivo, nella sua seconda parte, si pone quindi in contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1 (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308), che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione stano idonee a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti;

l’unico passaggio espressamente trascritto della sentenza in questione è quello in cui si affermerebbe che il risarcimento era stato subordinato espressamente alla “previa verifica dei requisiti per l’accesso al pubblico impiego”, ma si tratta di tratto condizionante che, anche a volerlo valutare nella sua assolutezza ed a prescindere dal contesto in cui esso andrebbe inserito e che non è riprodotto nel ricorso, non necessariamente riguarda il quantum, potendo essere stato formulato rispetto all’an debeatur, profilo cui è del tutto estraneo l’aliunde perceptum su cui qui si dibatte;

3. altra questione, cui è diretto il secondo motivo, insieme con alcuni passaggi della prima parte del primo motivo, riguarda invece l’apprezzamento contenuto in sentenza in merito all’impossibilità di far valere nel presente giudizio la questione sull’aliunde perceptum, sottolineando la ricorrente come essa fosse stata sollevata nel primo atto utile successivo alla conoscenza da parte sua dei corrispondenti fatti, ovverosia con la memoria di costituzione in primo grado nel presente giudizio;

in proposito la Corte territoriale ha espressamente argomentato in merito al fatto che l’Università non potesse ritenersi giustificata, nella deduzione solo in questo giudizio di quel fatto e del documento che lo comprovava, in quanto le corrispondenti informative ben avrebbero potuto essere assunte già nel corso del precedente giudizio in cui, secondo l’impostazione della stessa Corte, che come detto non è inficiata dal primo motivo di ricorso, era stato definito non solo l’an, ma anche, seppure in valori ancora da misurare, il quantum;

ciò posto, è assorbente la considerazione che l’Università non può in ogni caso addurre, al fine di far detrarre quei redditi, la conoscenza successiva di essi rispetto al formarsi del giudicato;

i fatti che l’Università intenderebbe introdurre in giudizio, e che la Corte territoriale ha ritenuto di non poter esaminare perchè da dedursi nel precedente processo, sono pacificamente anteriori, sebbene se ne assuma la scoperta successiva, rispetto alla pronuncia di secondo grado da cui discende il giudicato azionato dal L.;

per orientamento consolidato, ispirato da evidenti esigenze di economia ed unitarietà processuale oltre che di utilità del giudizio, i fatti sopravvenuti nel corso del processo possono esser sempre addotti all’interno di esso, purchè entro il termine finale di utile trattazione presso l’ultimo giudice di merito che ne è investito (Cass. 1 dicembre 1994, n. 10279) e dunque a certe condizioni anche in sede di giudizio di rinvio (Cass. 11 maggio 2018, n. 11411; Cass. 8 giugno 2005, n. 11962);

tali ipotesi sono infatti eccettuate dai vincoli di cui all’art. 345 c.p.c. (per il rito ordinario o all’art. 437 c.p.c. (per il rito del lavoro) e ciò sia in relazione ai nova riguardanti le domande (Cass. 2 agosto 2003, n. 11795; Cass. 29 settembre 1998, n. 9731), sia per quelli, che qui interessano, riguardanti le eccezioni (Cass. 5 luglio 2019, n. 18219; Cass. 14 aprile 2001, n. 5703);

consequenzialmente, anche il giudicato fissa i propri limiti cronologici nel medesimo momento processuale, sicchè la situazione sostanziale accertata, secondo il principio del c.d. dedotto e deducibile, resta stabilizzata ed insensibile rispetto a fatti anteriori a quel momento che non siano stati introdotti nel processo;

non vi è dubbio che, qualora le circostanze da dedursi entro il giudizio da cui è destinato a formarsi il giudicato (per il fatto di essere anteriori a quei momenti di delimitazione del “deducibile”), se in concreto conosciute, anche nelle loro fonti di prova, successivamente, debbano trovare un mezzo processuale utile alla loro considerazione;

tale mezzo è però da ravvisare, all’interno del delicato ma ineludibile equilibrio del sistema, nella revocazione c.d. straordinaria, nei limiti in cui essa è ammessa;

rispetto a quest’ultimo mezzo, l’interpretazione razionalizzante di questa Corte, è del resto nel senso che l’impugnazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 3, comporta non soltanto, come è ovvio, l’apertura del giudizio a nuovi elementi probatori che dapprima non si fossero potuti produrre, ma anche a circostanze destinate a comporre l’eccezione precedentemente mancata, quando la conoscenza posteriore riguardi, più a fondo, anche tali fatti (Cass. 29 luglio 1986, n. 4847; Cass. 9 aprile 1984, n. 2299);

in definitiva, una volta stabilito che il giudicato qui azionato dal L. si è formato anche sul quantum debeatur, non è possibile, pena l’inaccettabile pregiudizio alle certezze cui le regole di cui all’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., sono preposte, far valere in un diverso giudizio e dunque in questo giudizio, come pretende l’Università, le eccezioni che quei fatti sarebbe stati destinati ad integrare, trattandosi semmai di questioni tali da dover essere proposte in via di revocazione, unico mezzo utile ad incidere sugli effetti di un giudicato sulla base di fatti ad esso antecedenti;

ogni questione attinente al momento di conoscenza di quei fatti, coperti dalla preclusione derivante dagli effetti cronologici del giudicato, è dunque mal posta in questo processo;

ciò anche senza contare che, comunque, la valutazione del giudice del merito in ordine all’assenza di ragioni giustificative per il ritardo nella rilevazione di quei fatti e nell’acquisizione di quei documenti, certamente non può essere messa in discussione nelle forme di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, di cui al secondo motivo; tale aspetto riguarda infatti, in ipotesi, un erroneo apprezzamento processuale sulla possibilità di introdurre nel giudizio quelle circostanze che dapprima si assume non fossero note ed esso dovrebbe pertanto essere veicolato quale error in procedendo, con espressa deduzione di una nullità processuale (art. 360 c.p.c., n. 4) quale effetto dell’errore stesso (Cass., S.U., 22 maggio 2012, n. 8077), impostazione del tutto insussistente nei motivi in esame;

il ricorso va quindi integralmente rigettato e le spese del grado restano regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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