Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10607 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. III, 30/04/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 30/04/2010), n.10607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.R. (OMISSIS), T.G.

(OMISSIS), T.P. (OMISSIS) quali

eredi di T.S., elettivamente; domiciliati in ROMA,

VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell’avvocato NOTARMUZI STEFANO,

rappresentati e difesi dagli avvocati CINQUE LUIGI, LOPARDI RICCARDO

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

R.G. (OMISSIS), D.S.F.

(OMISSIS), D.S.M. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 18296-2005 proposto da:

R.G., D.S.F., D.S.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PASUBEO 4, presso lo studio

dell’avvocato DE SANTIS MANGELLI SIMONETTA, rappresentati e difesi

dall’avvocato MAGLIO MANLIO giusta delega a margine del controricorso

e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

contro

T.R., T.P., T.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1128/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

emessa il 26/10/2004, depositata il 30/12/2004, R.G.N. 70/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato RJCCARDO LOPARDI;

udito l’Avvocato MANLIO MAGLIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

l’accoglimento del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con sentenza in data 30-12-2004, la Corte di appello di L’Aquila – in riforma della sentenza del 3 febbraio 1999 del Tribunale della stessa città accoglieva, per quanto di ragione, la domanda di risarcimento danni proposta da R.G. e da D.S. F. e D.S.M. in dipendenza della morte del rispettivo marito e padre D.S.G., avvenuta in data 28- 6-1998, accertando la responsabilità di T.S. in ragione del 30%, per culpa in eligendo, per avere affidato l’esecuzione dei lavori di abbattimento di un muro a un soggetto palesemente privo dello capacità tecniche e organizzative necessarie per eseguirla e affermando, per il residuo, il concorso di colpa della vittima.

La Corte di appello condannava, dunque, T.R., T. G. e T.P., eredi di T.S., deceduto nelle more, a pagare, in solido tra loro, a R. G. la somma di Euro 15.036,15, nonchè a D.S. F. e a D.S.M. la somma di Euro 7,254,10 per ciascuno, somme tutte da accrescere degli interessi in ragione del 5% annuo a decorrere dal 28-6-1988 e da computare annualmente sui singoli incrementi nominali delle somme risultanti dalla riconduzione dei predetti importi di Euro 15.036,15 e di Euro 7.254,15 ai valori monetari del 18-6-1998; condannava la T., nonchè G. e T.P. al pagamento di un terzo delle spese del doppio grado, compensata l’altra metà.

1.3. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione T.R., nonchè G. e T.P., svolgendo due motivi, illustrati anche da memoria.

Hanno resistito R.G., nonchè F. e D.S. M. depositando controricorso e svolgendo, a loro volta, ricorso incidentale, affidato a unico motivo.

Parte ricorrente ha, altresì, depositato brevi note scritte in udienza per controdedurre alle conclusioni del P.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente devono riunirsi ex art. 335 c.p.c., il ricorso principale e quello incidentale proposto contro la medesima decisione.

RICORSO PRINCIPALE – 1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 228 c.p.c., art. 229 c.p.c. e, sotto il profilo del difetto di motivazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di specifico elemento probatorio decisivo, derivante da confessione e/o ammissione della controparte. Al riguardo parte ricorrente osserva che dalle deduzioni allegate a verbale e relative richieste istruttorie, svolte dal procuratore della parte attrice nel primo grado del giudizio, si ricavava la confessione che il defunto D.S.G. aveva esercitato per anni l’attività di muratore edile, dovendosi perciò escludere i presupposti della culpa in eligendo del T..

1.2. Il motivo è infondato.

Invero questa Corte è costante nel ritenere che le dichiarazioni del difensore, riportate in scritti processuali od extraprocessuali, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentalo e favorevoli all’altra parte, non hanno efficacia di confessione, ma possono soltanto fornire elementi indiziar, a meno che il difensore non sia munito di apposito mandato in tal senso, che si aggiunga, alla procura alle liti (ex plurimis: Cass. civ., Sez. 3^, 16/05/2008, n. 12411), atteso che la confessione può essere manifestata efficacemente solo da chi abbia il potere di disporre del diritto controverso.

Si rammenta, inoltre, che perchè una dichiarazione sia qualificabile come confessione essa deve constare di un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte (Cass. 1^ settembre 1982, n. 4758), nonchè di un elemento oggettivo, che si ha qualora dalla ammissione de fatto obiettivo che forma oggetto della confessione, escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e al contempo un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione (Cass. 15 novembre 2002, n. 1612). In tale prospettiva è stato affermato che pur essendo vero che le ammissioni., contenute nella comparsa di risposta – così come in uno degli atti processuali di parte indicati dall’art. 125 c.p.c. – siccome facenti parte del processo, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., è tuttavia necessario che la comparsa, affinchè possa produrre tale efficacia probatoria, sia stata sottoscritta dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli contenute nell’atto.

Conseguentemente, è inidonea a tale scopo la mera sottoscrizione della procura scritta a margine o in calce che, anche quando riportata nel medesimo foglio in cui è inserita la dichiarazione ammissiva, costituisce atto giuridicamente distinto, benchè collegato (Cass. n. 26686 del 06/12/2005).

Per altro verso occorre rammentare che la confessione può essere invalidata qualora il confitente dimostri sia la inveridicità della dichiarazione sia che la non rispondenza di questa al vero dipende dall’erronea rappresentazione o percezione del fatto rappresentato (Cass. 14 luglio 2000, n. 9368).

1.3. Ciò premesso e considerato che, nel caso di specie, si tratta di deduzioni e richieste istruttorie e, cioè, di allegazioni destinate ad acquisire valore di prova, solo se e in quanto confermate a seguito dell’espletamento del relativo mezzo istruttorio, appare chiaro che nessun valore, neppure meramente indiziario, poteva essere riconosciuto alle medesime, posto che, per quanto evidenziato nella sentenza impugnata, altro è stato l’univoco risultato dell’istruzione probatoria e cioè che, come era emerso “dai rapporti redatti il l’i settembre 1988 dal Servizio di Medicina Legale del Lavoro della U.L.S.S. del l’Aquila e il 10 aprile 1989 dall’Ispettorato Provinciale del Lavoro dell’Aquila (…) e dalle dichiarazioni rese dai testimoni escussi in primo grado (…) D.S.G. aveva cognizioni ed esperienze da idraulico (…) non possedeva specifiche competenze in materia edile (…) e “non aveva l’organizzazione imprenditoria le necessaria per l’esecuzione dei lavori” commissionatigli dal T. (v. f. 3 del rapporto U.L.S.S.” (v. pag. 9 e 10 della sentenza).

E, allora occorre concludere che si verte in materia di valutazione della prova, correttamente orientata ex art. 116 c.p.c., al principio del libero apprezzamento (non ricorrendo l’ipotesi indicata di prova legale) e adeguatamente motivata, risultando, per tal modo, escluso il sindacato di questa Corte.

Il motivo va, dunque, rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2043 c.c, difetto di motivazione su un punto decisivo, ulteriore difetto di motivazione riguardo al nesso di causalità. Al riguardo parte ricorrente deduce che non ricorrevano i presupposti della culpa in eligendo e, in particolare, lamenta che la Corte di appello non abbia motivato sul punto della complessità dell’opera affidata al D.S. e abbia motivato in termini insufficienti e/o contraddittori sull’esistenza del nesso causale: ciò in quanto nella sentenza si da atto che il D.S. procedette alla demolizione del muro, dal basso con una tecnica “contraria ad ogni regola di ordinaria prudenza”, assumendo siffatta circostanza come fattore di concorso di colpa, anzichè come causa di esclusione del nesso causale con il fatto della electio ad opera del T..

2.1. Il motivo non merita accoglimento.

Sotto il profilo di diritto si rammenta che ai fini della causalità materiale nell’ambito della responsabiltà aquiliana la giurisprudenza e la dottrina prevalenti fanno applicazione dei principi penalisti di cui agli artt. 40 e 41 c.p.. Invero un evento dannoso è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria della condicio sine qua non); nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante, non appaiono inverosimili (cd.

teoria della causalità adeguata o della regolarità causale: cfr. ex plurimis, Cass. 16/12/2004, n. 2343; Cass. 26/03/2004, n. 6071; Cass. 3/12/2002, n. 17152; Cass. 29/07/2004, n. 14438; Cass. 19/08/2003, n. 12124; Cass. 22/10/2003, n. 1578 9; Cass. 15/01/2003, n. 484).

In altri termini per l’imputazione oggetti va dell’evento occorrono due presupposti: uno positivo (la raffigurazione della condotta dell’agente come condizione necessaria) ed uno negativo, cioè la mancanza di fattori esterni eccezionali, da valutarsi non ex post, ma ex ante.

L’interruzione del nesso di causalità può essere anche l’effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, ma solo quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, sì da privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito (cfr. Cass. 8.7.1998, n. 6640; Cass. 7 aprile 1988, n. 2737); mentre, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra il fatto illecito ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 122 c.c., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l’incidenza della colpa del danneggiato.

2.2. Ciò posto in via di principio, con più specifico riferimento alla prima parte del motivo, denunziante l’omessa motivazione sul punto dell’esigenza o meno di particolari competenze tecniche per lo svolgimento dell’attività affidata al D.S., si osserva che contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti – la Corte di appello ha adeguatamente motivato la propria decisione, ponendo in evidenza nella prima parte della sentenza come “non possa essere seriamente contestato che l’attività di abbattimento di un muro (anche se costruito in mattoni forati) richieda il possesso di particolari cognizioni tecniche, costituisca fonte di consistenti rischi per l’incolumità dei terzi e debba quindi (indipendentemente dal fatto che abbia interessato o meno una trave di cemento armato) essere qualificata pericolosa” individuando nel D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, artt. 72 e 76, la conferma, sul piano normativo, del giudizio di specificità tecnica e correlativa pericolosità dell’attività di cui trattasi.

La motivazione – ancorchè contenuta nel punto della decisione in cui viene esclusa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2053 c.c. (costituendo il fatto del terzo, rappresentato dall’incauta manovra di abbattimento del muro, la prova liberatoria dalla presunzione di responsabilità prevista dalla stessa norma a carico del proprietario) – da contezza dell’esistenza del necessario presupposto della culpa in eligendo del T. e deve ritenersi, pertanto, sottintesa alla successiva affermazione di responsabilità ex art. 2043 c.c..

2.3. Per quanto riguarda la seconda parte del motivo, si osserva che la Corte di appello si è attenuta, del tutto correttamente, alla consolidata giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata sub 2.1., accertando, da un lato, che l’incauto affidamento da parte del T. a soggetto, (che sapeva essere) sfornito di adeguate capacità tecniche, dell’incarico di demolire il muro aveva costituito l’antecedente necessario delle errate e maldestre manovre di. abbattimento e, dall’altro, che tali manovre pur avendo indiscutibilmente (e, anzi, prevalentemente) contribuito all’evento – non avevano i connotati di una causa sopravvenuta idonea a causare l’evento stesso in maniera del tutto indipendente dalla condotta del T. (il quale, può aggiungersi, era in colpa, proprio perchè avrebbe potuto e dovuto rappresentarsi un’imprudenza dell’esecutore).

E’ appena il caso di aggiungere che l’esattezza delle suddette valutazioni, non può formare oggetto di contestazione in questa sede, trattandosi di valutazioni di stretto merito come tali non censurabile in sede di legittimità perchè sorrette da una ricostruzione delle risultanze probatorie che non appare palesemente incongrua e da un percorso argomentativo coerente e privo di vizi logici e giuridici rilevanti in questa sede.

In conclusione il ricorso principale va rigettato.

RICORSO INCIDENTALE – 3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione della norma di diritto prevista dall’art. 1226 c.c. e art. 360 c.p.c., n. 3.- omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti – violazione ed omessa applicazione dei principi generali di diritte in tema di lavoro subordinato, retribuzione, contrattazione nazionale collettiva di lavoro.

4.1. Assumono i ricorrenti in via incidentale che la Corte di appello ha errato ad escludere il risarcimento del danno patrimoniale in favore dei congiunti, pur riconoscendo la configurabilità di tale danno in ragione dell’esistenza tra essi e la vittima, di una comunanza di vita e interessi fondata sulla reciproca assistenza morale e materiale. Secondo i ricorrenti non risulta chiarito per quale ragione i giudici di appello non abbiano fatto riferimento, ai fini della determinazione dei reddito del defunto, al contratto collettivo di categoria (in relazione al quale non sarebbe stata necessaria la prova della parte); in ogni caso – sempre a parere dei ricorrenti – sarebbe censurabile il mancato ricorso al potere discrezionale di cui all’art. 1226 c.c., sotto il profilo del vizio di motivazione, dal momento che la Corte di appello ha riconosciuto che tale tipo di liquidazione può essere effettuata “sulla scorta delle circostanze del caso concreto e dei dati della comune esperienza”.

3.1. Il motivo di ricorso è infondato.

In via di principio si rammenta – in conformità a principi acquisiti nella giurisprudenza di questa Corte – che il ricorso alla liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. (qui invocato in comb. disp. con l’art. 2056 c.c.) è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito, il quale riconosca che la determinazione del preciso ammontare del danno non sia possibile o sia sommamente difficile. L’accertamento di tali estremi, al pari dell’individuazione dei criteri di liquidazione, costituisce indagine di fatto, sottratta al sindacato di legittimità.

Invero l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generalo potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ., da luogo, non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto, caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato, è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinchè l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno (Cass. civ., Sez. 2^, 07/06/2007, n. 13288).

3.1.1. Ciò posto, si osserva che la decisione impugnata ha (correttamente) evidenziato che la prova incombente agli attori dei contributo patrimoniale e personale che la vittima aveva ad essi apportato in vita avrebbe dovuto articolarsi, non solo nella dimostrazione dell’esistenza di una comunanza di vita e di interessi, fondata sulla reciproca assistenza morale e materiale (dimostrazione, questa, che poteva ritenersi acquisita in considerazione del rapporto di coniugio e filiazione che legava il D.S., rispettivamente, a R.G. e a F. e D.S.M.), ma anche nella prova del reddito conseguito dalla vittima, al fine ulteriore di determinare la parte di esso che era stata destinata a ogni congiunto.

Orbene è quest’ultima prova che la Corte di appello ha ritenuto, in termini logici e congruenti, assolutamente inevasa, evidenziando come gli appellanti non avessero fornito alcun elemento che consentisse di stabilire quale fosse il reddito prodotto da D.S.G. al momento della sua morte, quale ulteriore reddito egli avrebbe potuto produrre e quale parte di tale reddito egli aveva destinato (ed avrebbe continuato a destinare) ai congiunti, essendosi limitati ad allegare la qualità di dipendente ASL, con qualifica di operaio specializzato.

La decisione sul punto non rivela alcuna aporia di ragionamento ed è conforme ai principi sopra enunciati, secondo cui il potere discrezionale che l’art. 1226 c.c., conferisce al giudice del merito è rigorosamente subordinato al duplice presupposto che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che sia impossibile, o molto difficile, la dimostrazione de loro preciso ammontare, non già per surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza.

D’altra parte i ricorrenti – lungi dall’allegare le ragioni per le quali sarebbe stato per essi impossibile o, almeno, molto difficile dimostrare il reddito del loro dante causa si limitano ad invocare in termini apodittici, una pretesa scienza del giudice in ordine ad un non meglio precisato contratto collettivo di categoria ovvero a lamentare il mancato ricorso alla valutazione equitativa, confermando con la genericità dei loro assunti l’insussistenza dei. presupposti per l’esercizio del potere (discrezionale) di cui all’art. 1226 c.c..

In definitiva anche il ricorso incidentale va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione vanno compensate per a reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce il ricorso principale e incidentale e li rigetta;

compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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