Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10607 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22594-2006 proposto da:

V RENZELLI DI RENZELLI ALESSANDRO & C SNC, in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

LUIGI ROBECCHI BRICHETTI 10 presso lo studio dell’avvocato LEONE ANNA

C/O PIAZZA ANGELO, rappresentato e difeso dagli avvocati ARANGO

VINCENZO, PARISE FRANCESCO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI COSENZA, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 215/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANZARO, depositata il 21/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il resistente l’Avvocato DE STEFANO ALESSANDRO, che ha

chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi alla commissione tributaria provinciale di Cosenza la società V. Renzelli snc. di Renzelli Alessandro & C, gestore di tre punti di attività di bar e pasticceria, proponeva opposizione avverso due avvisi di rettifica e altrettante cartelle di pagamento, che l’ufficio Iva di quella città le aveva fatto notificare ai fini della corrispondente imposta per gli anni 1995-96, e con i quali non veniva riconosciuto il credito vantato dalla contribuente; altresì veniva contestata la mancata registrazione e contabilizzazione di ricavi, con l’applicazione della relativa sanzione, oltre agli interessi. Questa deduceva che la pretesa dell’amministrazione era infondata, in quanto il ricarico era stato inferiore a quello presunto; le rimanenze erano più ridotte; la contabilità era regolare, sicchè nessuna evasione era stata posta in essere, e pertanto chiedeva l’annullamento di quegli atti.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio Iva eccepiva l’infondatezza dei ricorsi, in quanto il metodo induttivo seguito si basava sulla verifica svolta dalla polizia tributaria, che aveva rilevato la mancata contabilizzazione di parte dei ricavi; il ricarico si fondava sulle etichette e sui listini prezzo.

Quella commissione, riuniti i ricorsi, in accoglimento di essi, annullava gli atti impositivi ed esecutivi.

Avverso la relativa decisione l’agenzia delle entrate, ufficio Iva, proponeva appello, cui l’appellata resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Calabria, la quale accoglieva il gravame, osservando che il metodo induttivo seguito era corretto;

congruo il ricarico e carente di prova ogni assunto della contribuente.

Contro questa pronuncia la società Renzelli ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi, mentre l’agenzia delle entrate non si è costituita, facendolo invece il Ministero dell’economia, senza tuttavia svolgere alcuna difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo la ricorrente deduce omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che il legale rappresentante della società aveva espresso riserve in sede di verifica della Guardia di finanza, e che la contribuente sviluppava in sede contenziosa, contestando in particolare il ricarico, come applicato nella specie impropriamente, trattandosi in prevalenza di attività di trasformazione di beni.

Il motivo è piuttosto generico, giacche la ricorrente non ha specificato in dettagli la censura mossa alla decisione impugnata, nè l’esatto punto di essa, sicchè sotto tale profilo appare inammissibile. Tuttavia – e ciò viene rilevato solo “ad abundantiam” – esso è infondato, dal momento che la CTR osservava che la contabilità non era regolare, e che perciò l’ufficio bene aveva fatto ad applicare il metodo analitico-induttivo di rettifica, del resto più che legittimo in ipotesi del genere, in cui appunto in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’IVA, la legge – rispettivamente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”, come nella specie. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss. e art. 2697 c.c., comma 2, e che invece la Renzelli non aveva fornita (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 9784 del 23/04/2010, n. 6849 del 2009).

D’altronde in tema di accertamento dell’IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, per presumere l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati ed assoggettati ad imposta, è legittima la loro presunzione fondata sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato non su alcuni articoli, bensì su un inventario generale delle merci da porre a base dell’accertamento, come nel caso in esame (V. pure Cass. Sentenza n. 6849 del 20/03/2009).

Su tale punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato e logicamente corretto.

2) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, artt. 2729 e 2730 c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi, poichè la CTR non considerava che il metodo induttivo applicato non era giustificato per la regolarità delle scritture contabili; nè indicava il criterio seguito per determinare il ricarico dei costi, stabilito in base a doppia presunzione, senza che la prova presuntiva potesse operare nella specie, trattandosi di tipologia disomogenea.

La censura non ha pregio, posto che il giudice di appello rilevava che il ricarico era stato determinato in base ai singoli prezzi;

listini e bollini, distinti per ogni tipologia di prodotto scambiato, giusta le analitiche ricostruzioni di bilancio effettuate dalla polizia tributaria. Ciò è esatto, atteso che in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori. Ciò comporta che l’ufficio è tenuto a provare null’altro, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è pure di regola alla base di documenti emessi persino per operazioni inesistenti, o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (V. pure Cass. Sentenze n. 24532 del 2007, n. 11599 del 2007).

Alla luce quindi di quanto più sopra enunciato, la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.

Ne discende che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese del giudizio a favore dell’agenzia che ha svolto la difesa in sede di discussione, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese, che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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