Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10607 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/06/2020, (ud. 07/05/2019, dep. 04/06/2020), n.10607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5283/2017 proposto da:

C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL

FANTE, 10, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO DE JORIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO PANICCIA;

– ricorrente –

contro

CA.SI., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO

GIANNONE 27, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA CAPUTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI DE FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4146/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/11/2016 R.G.N. 9899/2012.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 3.11.2016, ha accolto il gravame interposto da Ca.Si., nei confronti di C.B., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 11921/2012, con la quale è stata respinta l’opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo emesso su istanza del C. per il pagamento della somma di Euro 121.367,37;

che, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha accolto “l’originaria opposizione ed ha revocato il decreto ingiuntivo n. 4955/2003, emesso dal Tribunale di Roma il 6.11.2003 su istanza di C.B., in danno di Ca.Si.”;

che per la cassazione della sentenza ricorre il C. sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso Ca.Si.;

che sono state comunicate memorie nell’interesse di quest’ultima;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè violazione degli artt. 342 e 348 bis c.p.c.: sull’eccezione di inammissibilità dell’avversario atto di appello”, ed in particolare, si lamenta che la sentenza impugnata, in merito alle eccezioni sollevate dal C., si sia limitata ad affermare “Ha resistito al gravame il C. chiedendone il rigetto”, omettendo ogni valutazione in ordine alla inammissibilità dei motivi di appello, come, peraltro, eccepito dalla difesa di quest’ultimo in sede di memoria di costituzione, in violazione degli artt. 342 e 348-bis c.p.c.; per la qual cosa, a parere del ricorrente, “non è dato comprendere il ragionamento logico-giurdico sulla base del quale la Corte di appello abbia omesso di pronunciare in ordine all’eccezione di inammissibilità formulata dal C. e, viceversa, abbia ritenuto di dover accogliere le tesi avversarie”; 2) la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè errata applicazione dell’art. 1988 c.c.”, per avere la Corte distrettuale “errato in ordine alla qualificazione della domanda azionata dall’attuale ricorrente”, poichè, “in modo non condivisibile, con motivazione carente, ed inoltre in contrasto con la disciplina codicistica in materia di promesse unilaterali ex art. 1988 c.c.”, ha affermato che “… pur risultando dal tenore della dichiarazione sopra riportata che i rapporti economici intercorsi tra le parti non si sono limitati a quelli derivanti dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa, la valutazione circa la fondatezza della pretesa creditoria non può prescindere dal contenuto della domanda azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo che delinea i limiti e l’ambito di indagine della res controversa”;

che il primo motivo è inammissibile; ed invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 13459/2017; 476/2017) che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, in data 3.11.2016, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (cfr. Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello non avrebbe esaminato, posto che il C. lamenta che la Corte di merito avrebbe omesso di pronunziarsi in ordine ad alcune eccezioni sollevate dal medesimo: doglianza che esula dal paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo, come sottolineato, all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione” (cfr. Cass. n. 13459/2017, cit.) E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue, supportàte dalle risultanze probatorie poste a fondamento della decisione impugnata;

che anche il secondo motivo è inammissibile per diversi e concorrenti profili; quanto al “vizio di motivazione” censurato, valgano le considerazioni svolte, in merito, relativamente al primo mezzo di impugnazione; in ordine alla pretesa “errata applicazione dell’art. 1988 c.c.”, si osserva che la parte ricorrente non ha indicato analiticamente sotto quale profilo la norma citata sarebbe stata violata, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); che, inoltre, come correttamente osservato nella sentenza oggetto del giudizio di legittimità, “…la valutazione circa la fondatezza della pretesa creditoria non può prescindere dal contenuto della domanda azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo che delinea i limiti e l’ambito di indagine della res controversa” (pag. 4 della sentenza impugnata); ed, al riguardo, è da osservare che non è stato prodotto, nè menzionato tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso, neppure il decreto ingiuntivo di cui si tratta, in violazione del principio (di cui al combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c.), più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (cfr., ex plurimis, Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la veridicità della doglianza svolta dal ricorrente; pertanto, le censure mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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