Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10606 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22351-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

D.G.A.;

– intimato –

sul ricorso 27462-2006 proposto da:

D.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 5

presso lo studio dell’avvocato TRICERRI LAURA, rappresentato e difeso

dall’avvocato DISO CORRADO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incid. –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 67/2005 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 26/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO ALESSANDRO, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale, il rigetto

dell’incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale, assorbimento o rigetto dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Trieste D.G.A. proponeva opposizione avverso la cartella di pagamento, che il competente ufficio di quella città gli aveva fatto notificare a seguito dell’iscrizione a ruolo ai fini dell’Iva per gli anni 1982-83, giusta precedenti avvisi di liquidazione, con i quali non veniva riconosciuto alcun credito vantato dal contribuente, oltre alle sanzioni, e ciò in virtù di una sentenza della corte di appello, nel frattempo passata in giudicato. Il contribuente deduceva che la pretesa dell’amministrazione era del tutto infondata, anche perchè il credito era maturato, ed era stato portato in detrazione, a nulla rilevando che la relativa dichiarazione fosse stata carente di sottoscrizione, essendo intervenuta al riguardo sanatoria, giusta il D.P.R. n. 322 del 1998, con efficacia retroattiva.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio Iva eccepiva l’infondatezza dei ricorsi, in quanto diverse vendite non erano state contabilizzate, e la dichiarazione era nulla; peraltro la sentenza della CA era passata in giudicato e gli avvisi non erano impugnati per vizi propri.

Quella commissione, riuniti i ricorsi, li rigettava entrambi.

Avverso la relativa decisione il contribuente proponeva appello, cui l’agenzia delle entrate resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale della stessa sede, la quale lo accoglieva, osservando che il D.P.R. n. 322 del 1998 aveva introdotto la sanatoria della nullità derivante dalla mancata sottoscrizione della dichiarazione annuale, con la conseguenza che, trattandosi di disciplina retroattiva e che la sentenza della CA non era ancora passata in giudicato, il credito di imposta vantato mediante detrazione era sussistente.

Avverso questa pronuncia il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi, cui D.G. resiste con controricorso, svolgendo a sua volta quello incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 epe, atteso che essi sono stati proposti centro la stessa sentenza.

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello. Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il rapporto processuale si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle Finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate.

Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

A) Ricorso principale.

1) In ordine poi alla posizione dell’altra ricorrente, e cioè l’agenzia, col primo motivo essa deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che la sentenza n. 514/97 della corte di appello di Trieste era già passata in giudicato quando era intervenuto il D.P.R. n. 322 del 1998 che introduceva la sanatoria della nullità della dichiarazione Iva priva di sottoscrizione.

Comunque quella sentenza semmai doveva essere gravata con ricorso per cassazione, e non si poteva proporre opposizione avverso gli avvisi liquidazione per vizi non propri.

Il motivo è fondato, in quanto gli atti esecutivi erano stati emessi nei mesi di ottobre e novembre 1999, mentre invece la sentenza era stata pubblicata il 5.12.1997; notificata dal contribuente il successivo 15.12.1997 ancorchè all’ufficio e non piuttosto all’avvocatura distrettuale, e comunque passata in giudicato il 24.12.1998. Ciò posto, allora in mancanza di impugnazione di essa con l’unico mezzo consentito, e cioè il ricorso per cassazione, le relative statuizioni non potevano subire alcuna modificazione a seguito della emanazione della novella nel frattempo intervenuta di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, e quindi legittimamente venivano emessi i due avvisi di liquidazione; e ciò a prescindere dal fatto che quella pronuncia fosse o meno passata in giudicato già prima dell’entrata in vigore del regolamento surrichiamato. Peraltro D. G. non poteva ormai più addurre censure attinenti alla debenza dei tributi e degli accessori, una volta che in tale situazione poteva soltanto denunziare vizi propri degli atti esecutivi in argomento. Invero l’indagine circa l’applicabilità nel giudizio di legittimità di una “lex superveniens” è consentita ogniqualvolta il rapporto controverso, cui la legge sopravvenuta si riferisca, sia ancora suscettibile di sindacato da parte della suprema Corte, in quanto detto rapporto sia stato validamente investito dal ricorso e l’esame ad esso relativo non sia precluso dai limiti del giudizio d’impugnazione, quali un giudicato interno o l’inammissibilità del ricorso o del motivo riguardante la questione oggetto della nuova disciplina, mentre invece nella specie la sentenza della corte di appello non fu investita dal previsto gravame, con la conseguenza che passò in giudicato senza che la novella legislativa intervenuta potesse avere riflessi sulla controversia (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 10496 del 18/07/2002, Ordinanza n. 449 del 01/06/1983; Conf 3586/78).

2) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del R.D. n. 262 del 1942, art. 11 e D.P.R. n. 322 del 1998, art. 1, comma 3 giacchè il giudice di appello non considerava che tale disciplina innovativa è stata introdotta con provvedimento avente carattere regolamentare che, in quanto tale, non può avere prevalenza su disposizioni legislativa nè efficacia retroattiva in mancanza di espressa previsione.

La censura rimane assorbita da quanto enunciato rispetto al motivo testè esaminato, anche se tuttavia non appare superfluo osservare che essa va condivisa, dal momento che ai fini del rimborso dell’IVA, conformemente al regime poi adottato nel 1997 e nel 1998 e collocato nelle disposizioni generali relative alla dichiarazione (formula introdotta dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 11, comma 1, lett. e), a modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37, comma 1, e sostanzialmente riprodotta nel D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8), la dichiarazione annuale recante il credito di imposta, nulla per mancanza di sottoscrizione, poteva essere sanata con la sottoscrizione tardiva, apposta entro trenta giorni dall’invito rivolto al contribuente dall’ufficio tributario competente. Infatti il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2, nel testo (antecedente alla modifica apportata dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 14, comma 1, lett. B) modificato dalla L. n. 473 del 1994 (di conversione, del D.L. n. 330 del 1994), ha efficacia non limitata all’accertamento induttivo, ma generale, ossia estesa a tutti i profili del rapporto tributario. Ne consegue che, in mancanza di sottoscrizione del contribuente, la richiesta di rimborso è priva di effetti, come nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 22018 del 13/10/2006, n. 17158 del 2005). Alla luce di quanto più sopra enunciato, la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto e adeguato.

B) Ricorso incidentale condizionato.

Col motivo addotto a suo sostegno il controricorrente lamenta violazione di legge circa la doglianza relativa alla non debenza del tributo per il 1982; alla ridotta misura della sanzione per lo stesso anno, e alla minore entità della medesima per il 1983 sulla scorta della nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5.

La censura è in parte assorbita da quanto enunciato rispetto al ricorso principale, trattandosi di questione non più proponibile con l’impugnazione dell’atto esecutivo, anche se tuttavia non sembra inutile notare che comunque essa ha profili di inammissibilità, atteso che il controricorrente ha denunziato il preteso vizio come violazione di legge e non invece ex art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, senza nemmeno specificare e riportare dove, come e quando avrebbe addotto la questione al giudice di appello.

Ne deriva che il ricorso dell’agenzia va accolto, mentre quello incidentale condizionato va rigettato, con conseguente cassazione della decisione impugnata senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 2, e rigetto del ricorso in opposizione del contribuente avverso la cartella di pagamento.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, sussistono giusti motivi per compensare quelle relative al rapporto tra il Ministero e il contribuente, nonchè le altre del doppio grado, mentre quelle del presente giudizio seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile quello del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie l’altro dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese del doppio grado, e condanna il controricorrente al rimborso delle altre del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200,00(duemiladuecento/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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