Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10605 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/06/2020, (ud. 07/05/2019, dep. 04/06/2020), n.10605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12784/2015 proposto da:

P.E., in proprio e quale procuratrice di

R.G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PIETRALATA

320-D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI,

rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE G. IANNARELLI;

– ricorrente –

contro

M.A., FRANTOIO PIETRAMONTECORVINO S.N.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1366/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/05/2014 R.G.N. 1658/2009.

Fatto

RILEVATO

che la Corte territoriale di Bari, con sentenza pubblicata il 30.5.2014, pronunziando sugli appelli, riuniti, proposti, con distinti ricorsi, avverso la pronunzia del Tribunale di Lucera resa in data 11.2.2009, dalla S.n.c. Frantoio Pietramontecorvino e da P.E. e R.G.A. – in qualità, queste ultime, di eredi di R.A. -, nei confronti di M.A., ha rigettato il gravame interposto dalla società ed ha accolto, “per quanto di ragione”, quello interposto dalla P. e dalla R. e, pertanto, in parziale riforma della predetta pronunzia, ha condannato queste ultime al pagamento, in favore del M., della complessiva somma di Euro 26.874,00, oltre accessori, anzichè di quella di Euro 32.180,53, oltre accessori, stabilita dal primo giudice;

che la Corte di Appello, per quanto ancora in questa sede rileva, ha osservato che la somma di Euro 26.874,00 è stata così calcolata “sulla scorta dei conteggi del CTU (che alla Corte paiono corretti e che, comunque, non sono stati specificamente contestati dalle parti)”;

che per la cassazione della sentenza ricorre P.E., anche in qualità di procuratrice di R.G.A. (quali eredi di R.A.), articolando quattro motivi ulteriormente illustrati da memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.;

che M.A. e la S.n.c. Frantoio Pietramontecorvino sono rimasti intimati;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello pronunziato d’ufficio sulla domanda “di nullità del contratto a tempo determinato e sulla sua conversione, mai formulata e che poteva essere fatta valere esclusivamente dalla parte interessata, ritenendo sussistente un contratto di lavoro a tempo indeterminato sulla base della irregolarità (forma scritta per il termine) di un contratto a tempo determinato”, poichè, a parere della parte ricorrente, “oggetto del presente giudizio non è mai stato l’accertamento della legittimità o meno di un contratto a tempo determinato bensì l’accertamento del fatto che M.A. avrebbe svolto nel corso di alcuni anni determinate mansioni lavorative nel frantoio di R.A., alle dipendenze di quest’ultimo, non ricevendo la dovuta retribuzione”; 2) ancora, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, “in quanto la Corte di Appello” avrebbe “errato circa la qualificazione del rapporto di lavoro sotto il profilo della violazione di legge per il mancato rispetto delle regole di ermeneutica volte all’accertamento della volontà delle parti”, nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, avendo “il giudice di appello ritenuto non configurabile un contratto a termine” privo di forma scritta “senza minimamente indagare la concreta volontà delle parti ed il concreto loro atteggiarsi in riferimento al rapporto di lavoro per cui è causa”; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della disciplina della prescrizione “e segnatamente dell’art. 2948 c.c., n. 4”, poichè, avendo “la Corte di Appello errato circa la qualificazione del rapporto di lavoro”, avrebbe errato “conseguentemente in ordine alla decorrenza della prescrizione”; 4) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere i giudici di seconda istanza “riconosciuto la durata dei singoli periodi lavorativi come pari a tre mesi all’anno senza tenere conto della documentazione prodotta dall’odierna ricorrente, nonchè sulla base di risultanze istruttorie (espletate prove testimoniali) che, in realtà, considerata la loro portata non comprovano la durata dei singoli periodi lavorativi, ma piuttosto la limitano ai trenta-quaranta giorni all’anno come da sempre sostenuto dalla ricorrente”;

che i motivi – da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e tesi tutti ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede – non sono meritevoli di accoglimento; ed invero, per quanto, in particolare attiene al primo motivo, si osserva che perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di “omessa pronunzia” o di “ultrapetizione” – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); ipotesi, queste, che la parte ricorrente non ha provato, in quanto non ha prodotto (nè trascritto, nè indicato tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso), in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorso introduttivo del giudizio proposto da M.A., contenente le domande dello stesso; pertanto, questa Corte non ha potuto apprezzare la veridicità delle doglianze mosse alla sentenza oggetto del presente giudizio dalla ricorrente, riguardo alla presunta mancata, richiesta, da parte del lavoratore, di ottenere “la dichiarazione di nullità del contratto a tempo determinato e la sua conversione”; a fronte di ciò, nella sentenza impugnata (v. pag. 2), si dà atto, tra l’altro, che la richiesta del M. era altresì volta ad ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con il Frantoio Pietramontecorvino S.n.c.;

che, con riferimento al secondo motivo, nella parte che attiene alla violazione di legge, si rileva che, correttamente, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato (v. pag. 6 della sentenza impugnata) che P.E. e R.G.A. non hanno specificamente censurato “la statuizione sulla non configurabilità di un contratto a termine senza forma scritta”, limitandosi a sostenere “la tesi della pluralità di rapporti sulla base della stagionalità dell’attività lavorativa e di licenziamenti comminati di anno in anno” e che, pertanto, “la mancata censura della motivazione addotta dal Tribunale a sostegno della ritenuta unicità del rapporto e la non provata adozione di formali provvedimenti di licenziamento (anche questi in forma scritta) rendono le argomentazioni addotte dalle eredi R. del tutto inidonee a contrastare l’iter motivazionale dell’impugnata sentenza”; al riguardo, valgano le considerazioni svolte in ordine al primo motivo, non avendo la parte ricorrente prodotto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’atto di appello dal quale potessero evincersi con precisione le censure sollevate, sul punto, alla sentenza del primo giudice;

che, per ciò che attiene ai vizi dedotti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel secondo e nel quarto motivo, si osserva che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 30.5.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, i motivi di ricorso che denunciano il vizio motivazionale non indicano il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fanno riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare”, in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, il quarto motivo è all’evidenza teso ad ottenere un nuovo esame del merito attraverso una nuova valutazione degli elementi delibatori, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poichè “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa, “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale del tutto condivisibile dal punto di vista logico-giuridico, anche in ordine alla valutazione dei mezzi istruttori addotti dalle parti;

che, infine – e con particolare riferimento al terzo motivo -, la Corte territoriale ha premesso che la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, quale prevista dalla L. n. 230 del 1962 (applicabile ratione temporis alla fattispecie), non trova applicazione nel caso di rapporti di lavoro agricolo, nè opera la prescrizione dell’atto scritto per l’apposizione del termine al contratto di lavoro (ai sensi dell’art. 1 della citata legge), ma valgono, secondo l’insegnamento della Suprema Corte (v. ex plurimis, Cass. n. 11361/2004), le formalità procedurali e le prescrizioni dettate in tema di collocamento dei lavoratori agricoli (ai sensi della L. n. 83 del 1970 e successive modificazioni); ed ha correttamente affermato che, poichè le eredi R. neppure hanno allegato che il rapporto di lavoro intercorrente tra il M. ed il loro dante causa fosse di natura agricola, nel caso di specie, deve farsi applicazione del principio secondo cui, nelle ipotesi di successive ed illegittime (in questo caso, per la mancanza di forma scritta) assunzioni a termine, si determina la conversione ex lege dei vari rapporti di lavoro a termine in un unico rapporto a tempo indeterminato. Per la qual cosa, dovendosi considerare unico il rapporto, “il termine prescrizionale, quinquennale, non poteva che decorrere dalla data di cessazione” dello stesso (1998) e, dunque, “non era spirato nel 2000, alla data di proposizione del ricorso” (depositato il 15.9.2000);

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va rigettato; che nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità, poichè M.A. e la S.n.c. Frantoio Pietramontercorvino non hanno svolto attività difensiva;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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