Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10604 del 07/05/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10604 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 8462/’07) proposto da:
BERTOLIN CORRADO (C.F.: BRT CRD 59E19 E970A), rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Teobaldo Tassotti ed elettivamente domiciliato
presso l’Avv. Andrea De Marchi, in Roma, piazza Morosini, n. 12;
– ricorrente –

contro
BENOZZO GIUSEPPINA e BENOZZO MARIA GIUSEPPINA;

– intimate –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1475/2006, depositata il 2 ottobre
2006;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26 marzo 2013 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito l’Avv. Silvia Contestabile (per delega), nell’interesse del ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Rosario Giovanni Russo, che ha concluso per l’inammissibilità od il rigetto del ricorso.

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Data pubblicazione: 07/05/2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 9 marzo 1998 le signore Benozzo Giuseppina e Benozzo Maria
Giuseppina chiedevano al Pretore di Bassano del Grappa la reintegrazione nel possesso di
un fondo, sito in Marostica (censito in catasto terreni al foglio 7, mappale 434), nei confronti
del sig. Bertolin Corrado che, quale proprietario confinante, aveva manomesso il predetto

illegittime nel suo fabbricato. Nel contraddittorio delle parti, il giudice adito, con ordinanza
interdittale del 24 luglio 1999, disponeva la chiesta reintegrazione nel possesso mediante il
ripristino della “masiera” demolita e del sentiero che collegava il mappale con la strada
provinciale, la messa a dimora delle piante divelte ed il riporto del terreno scavato dal
resistente. Il Bertolin formulava reclamo avverso detta ordinanza ed il Tribunale di Bassano
del Grappa, in composizione collegiale, con ordinanza del 6 ottobre 1999, qualificava
l’attività del reclamante come turbativa del possesso delle Benozzo, ordinando la
cessazione di ogni forma di molestia nell’asportazione di piante e nell’esecuzione di lavori
di qualsiasi natura. All’esito della fase di merito del giudizio possessorio, il predetto
Tribunale (nel quale era confluita la soppressa Pretura), con sentenza n. 16 del 2003,
confermava l’ordinanza di manutenzione emessa in sede di reclamo, ordinando, altresì, al
Bertolin di chiudere le finestre aperte sul lato nord a distanza inferiore rispetto a quella
legale, con conseguente ripristino della situazione antecedente.
Interposto appello da parte dello stesso Bertolin e nella resistenza delle appellate, la Corte
di appello di Venezia, con sentenza n. 1475 del 2006 (depositata il 2 ottobre 2006),
rigettava integralmente il proposto gravame e condannava l’appellante anche alla rifusione
delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale, respinta pregiudizialmente la
doglianza di natura processuale relativa alla insussistente nullità dell’impugnata sentenza
(peraltro risultata emessa ai sensi dell’alt 281 sexies c.p.c.) per asserita omessa
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fondo, demolito una “masiera”, divelto delle piante ivi dimoranti ed aperto delle vedute

trascrizione delle conclusioni delle parti, ravvisava anche l’infondatezza dei motivi di merito,
avuto riguardo alla contestazione dell’esistenza del requisito del possesso ultrannuale
continuo ed ininterrotto e dell’animus turbandi, rilevando, inoltre, che la sentenza oggetto di
gravame non era nemmeno incorsa nel vizio di ultrapetizione, accogliendo anche l’istanza
manutentoria riguardante la violazione delle distanze legali realizzata mediante l’apertura di

possessorio.
Nei confronti della suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso
per cassazione il Bertolin Corrado, basato su sei motivi, in ordine al quale le intimate non
hanno svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto — ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. – il vizio di
possibile nullità della sentenza impugnata (e, prima ancora, dello stesso procedimento di
appello) ove si fosse ritenuta la nullità della sentenza di primo grado per l’omessa
trascrizione delle conclusioni, con conseguente ragionevole dubbio sul fatto che i giudici di
merito avevano deciso su domanda non rassegnata, con violazione o falsa applicazione
degli artt. 347, comma 2, 281 sexies, 132 e 133 c.p.c., nonché dell’art. 35 disp. att. c.p.c.
A corredo di tale doglianza risultano formulati — in virtù dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione
temporis” applicabile, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 2 ottobre 2006) – i
seguenti quesiti di diritto: a) “dica la Corte se debba considerarsi pronunciata e pubblicata
ex art. 281 quater e 133 c.p.c., piuttosto che ex art. 281 sexies c.p.c., una sentenza
depositata in cancelleria non immediatamente alla sottoscrizione da parte del giudice,
bensì il giorno successivo a quello della pronuncia stessa, con timbro di deposito in calce
che lo attesti nella copia rilasciata ad uso appello dal cancelliere a norma del comma 2°
dell’art. 347 c.p.c. e, conseguentemente, b) ove tale sentenza abbia a valere come
decisione ex artt. 281 quater e 133 c.p.c., se essa sia nulla per difetto di trascrizione delle
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vedute illegittime, la quale era stata dedotta fin dal ricorso introduttivo del procedimento

conclusioni, così come prescritto dal comma 2° dell’ad .132, là dove sia ragionevole
dubitare che, in difetto di un atto in cui verificare quali conclusioni le parti abbiano voluto
definitivamente rassegnare al giudice al termine della fase istruttoria, la sentenza possa
essere viziata per extra petita; c) ove tale sentenza valga come decisione ex art. 281
sexies c.p.c., se essa non sia ugualmente nulla là dove, in effetti, manchi — come nel caso

definitivo dell’adito giudice e sia ragionevole dubitare che la decisione possa essere viziata
per extra petita.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.,
l’assunta violazione dell’ad. 115 c.p.c., ovvero dell’art. 116 c.p.c. e, comunque, dell’art.
2697 c.c., avendo i giudici di merito dato la tutela ex art. 1170 c.c. senza disporre di prove,
anzi in base alle sommarie informazioni acquisite nella fase a cognizione sommaria e,
comunque, con illogica ed errata interpretazione. Ai sensi dell’ad. 366 bis c.p.c. risulta
indicato il seguente quesito di diritto: ” dica la Corte se sia legittimo che i giudici di merito,
investiti della cognizione ordinaria di una causa possessoria, possano porre a fondamento
della loro decisione finale le sommarie informazioni assunte dal giudice della fase a
cognizione sommaria, senza peraltro valutarle compiutamente”.
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata — ai sensi dell’ad.
360 n. 5 c.p.c. — per assunto difetto di motivazione nella determinazione dei giudici di
merito di dare la tutela ex art. 1170 c.c., assumendo a fondamento della propria decisione
finale alcune soltanto delle sommarie informazioni acquisite nella fase a cognizione
sommaria e, comunque, senza dare alcun peso alle dichiarazioni confessorie delle stesse
tutelate.
4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto un ulteriore difetto di motivazione per aver
la Corte territoriale dato la tutela ex art. 1170 c.c. attraverso un ordine astratto di inibizione
volto al futuro, ossia senza alcun riferimento concreto all’attualità del possesso tutelato; ciò
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di specie — un verbale in cui risultino espressamente precisate le conclusioni al vaglio

per quanto riguarda l’ordine dato per la cessazione di ogni forma di molestia e turbativa
rappresentate, o consistenti, in future asportazioni di piante o, comunque, in futuri lavori di
qualsivoglia natura.., non si sa su quale parte del bene asseritamente posseduta da coloro
che dovrebbero beneficiare della tutela stessa.
5. Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato, per un verso, un ulteriore vizio di

extrapetizione) per aver il giudice di appello concesso la tutela petitoria ex artt. 905 e/o
906 c.c. in una causa possessoria con riferimento all’accertata violazione delle distanze
legali realizzata mediante la ritenuta apertura illegittima di vedute nel fabbricato di esso
Bertolin. A proposito di quest’ultima asserita violazione risulta articolato il seguente
quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.: “dica la Corte se sia legittimo che i giudici di merito,
investiti di una questione di natura possessoria, abbiano concesso tutela definitiva di
natura reale, secondo le norme del vicinato, senza che ne sussistessero, peraltro, i
presupposti di fatto e di diritto per farlo.
6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto la falsa applicazione degli artt. 91 e
92 c.p.c., chiedendo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., a questa Corte ” se sia legittimo e
giusti, sul piano del diritto, ritenere una parte pienamente soccombente, condannandola
alla rifusione di tutte le spese di causa alla controparte, adottando in maniera apodittica il
criterio del maggior valore della domanda accolta rispetto a quelle respinte, benché la
parte asseritamente soccombente abbia dovuto difendersi per ottenere il rigetto delle
domande respinte”.
7. Rileva il collegio, in via assolutamente pregiudiziale, che il medesimo ricorrente — per
quanto evincibile dal contenuto dello stesso ricorso — ha attestato che la sentenza di
secondo grado qui impugnata, pubblicata il 2 ottobre 2006, gli era stata notificata 1’8
gennaio 2007. Tuttavia, pur a fronte di tale dichiarazione, dall’esame degli atti processuali

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motivazione nonché la supposta violazione degli artt. 112 e 705 c.p.c. (e, quindi, il vizio di

è emerso che il ricorrente ha prodotto una copia autentica della sentenza impugnata
senza la relazione di notificazione.
Orbene, in presenza di tale risultanza, la giurisprudenza concorde di questa Corte ha
statuito che, qualora per stessa ammissione della parte ricorrente o in seguito ad
eccezione del controricorrente e del conseguente esame diretto degli atti processuali, si

l’impugnazione, la Corte di cassazione, indipendentemente dal riscontro della tempestività
o meno del rispetto del termine breve, deve accertare se la parte ricorrente abbia
ottemperato all’onere del deposito della copia della sentenza impugnata entro il termine di
cui al comma primo dell’art. 369 c.p.c. e, in difetto, è tenuta a dichiarare l’improcedibilità
del ricorso, atteso che il riscontro dell’improcedibilità precede quello dell’eventuale
inammissibilità (cfr. Cass., n. 19654 del 2005 e, soprattutto, Cass., SS.UU., ordd. nn. 9005
e 9006 del 2009). Ancor più recentemente (v. Cass. , ord. n. 25070 del 2010) è stato
ulteriormente ribadito e precisato (con enunciazione del relativo principio di diritto ai sensi
dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c.) che la previsione – di cui al secondo comma, n. 2, dell’art.
369 c.p.c. – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al
primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la
relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da
parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non
disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della
tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la
notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto
termine breve; pertanto, nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente (od anche
implicitamente), alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi
a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di
notificazione, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato improcedibile,
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desuma che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine per

restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la
produzione separata (non effettuata nel caso di specie) di una copia con la relata
avvenuta nel rispetto del secondo comma dell’art. 372 c.p.c., applicabile
estensivamente, purché entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c.
(dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione

da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo
d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione, ipotesi queste,
peraltro, non realizzatesi nella fattispecie, poiché le intimate non si sono costituite
in questa fase).

8. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte (e rimanendo,
ovviamente, precluso l’esame dei relativi motivi), il ricorso deve essere dichiarato
improcedibile, senza che si debba adottare alcuna statuizione sulle spese, in difetto di
costituzione delle intimate.
P.Q.M.

La Corte dichiara l’improcedibilità del ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 26 marzo 2013.

dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito

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