Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10603 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 22/04/2021), n.10603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 267-2019 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

R.F., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e

difeso dall’Avvocato QUIRINO MESCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 189/2018 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 17/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza n. 189 pubblicata il 17.10.2018, ha respinto l’appello del Ministero della Salute, confermando la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto il diritto di R.F. all’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992;

2. la Corte territoriale ha ritenuto dimostrato il nesso causale tra le trasfusioni a cui fu sottoposto l’appellato nel febbraio 1973 e l’infermità dal medesimo contratta, ascrivibile alla VIII categoria della tabella A, allegata al D.P.R. n. 834 del 2001;

3. avverso tale sentenza il Ministero della Salute ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi, illustrati da successiva memoria; R.F. ha resistito con controricorso;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. col primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza che non avrebbe esaminato le censure avanzate dal Ministero, col ricorso in appello, sull’assenza di prova di un danno epatico funzionale e quindi sulla inidoneità delle lesioni, pur permanenti dell’integrità psico-fisica ma quiescenti, ad incidere sulla capacità di produzione del reddito;

6. la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere non contestate dal Ministero le conclusioni della consulenza medico legale svolta in primo grado ed avrebbe, inoltre, adottato una motivazione apparente, priva di argomentazioni atte a dare conto del decisum, in adesione alla c.t.u.;

7. col secondo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per non avere la Corte d’appello esaminato le eccezioni formulate dal Ministero, sia in primo grado e sia col ricorso in appello, al fine di contestare le conclusioni del c.t.u., con richiamo ai principi in tema di “epatite silente”;

8. il Ministero ha allegato di avere, col ricorso in appello, denunciato la violazione della L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, e art. 4, comma 4, nonchè della tabella A, allegata al D.P.R. n. 834 del 2001, per l’inesistenza del diritto all’indennizzo data l’assenza di un danno epatico funzionale, idoneo ad incidere sulla produzione di reddito;

9. i due motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente in quanto in parte sovrapponibili e, comunque, connessi, sono inammissibili;

10. la sentenza d’appello ha fatto proprie, al pari del Tribunale, le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u. nominato in primo grado ed ha rilevato come la valutazione medico legale non risultasse “contrastata da validi elementi di argomentazione acquisiti al processo, ivi comprese le contestazioni assai genericamente mosse dal Ministero a siffatte risultanze all’udienza del 19.9.2017”;

11. col ricorso in cassazione, il Ministero ha dedotto l’omesso esame e l’assenza di motivazione da parte dei giudici appello sulle critiche dal medesimo avanzate, con specifico motivo di appello, avverso le conclusioni medico legali fatte proprie dal Tribunale;

12. deve anzitutto darsi atto di un evidente deficit di autosufficienza, poichè la parte ha trascritto stralci del ricorso in appello, senza depositarlo, ed ha del tutto omesso di trascrivere e di depositare la relazione di c.t.u. e le osservazioni a questa mosse in primo grado, così venendo meno agli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4;

13. quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., questa Corte ha chiarito che ad integrare il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. Cass. n. 24155 del 2017; n. 17956 del 2015; n. 20311 del 2011);

14. nel caso di specie, la Corte di merito, nel fare proprie le valutazioni e conclusioni della consulenza medico legale, basata su una “esauriente, documentata e persuasiva disamina del caso”, ha ritenuto mancanti nel processo elementi di giudizio ed argomentazioni idonei ad inficiare il condivisibile esito della c.t.u.; in tale apprezzamento i giudici di appello hanno evidentemente tenuto conto non solo delle generiche osservazioni mosse dal Ministero in primo grado (“ivi comprese le contestazioni assai genericamente mosse dal Ministero…all’udienza del 19.9.2017) ma del complessivo quadro probatorio e degli argomenti specificamente esposti dalle parti (conclusioni del c.t.u. “non contrastate da validi elementi di argomentazione acquisiti al processo”);

15. neppure ricorrono gli estremi di carenza assoluta di motivazione tale da integrare la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, (Cass., S.U. n. 8053 del 2014), ma si è in presenza di una motivazione certamente esistente e priva di intrinseche illogicità e che solo attraverso un riesame fattuale e delle valutazioni medico legale, inammissibile in questa sede, potrebbe essere rimessa in discussione;

16. infine, non è consentito a questa Corte di interloquire sulla corretta applicazione della L. n. 210 del 1992, in relazione al caso di specie, sulla base di un accertamento in fatto (epatite silente), prospettato dal ministero ricorrente, diverso da quello fatto proprio dai giudici di appello;

17. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto;

18. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

19. non ricorrono i presupposti dell’art. 96 c.p.c., la cui applicazione è stata sollecitata dal controricorrente, non potendosi far coincidere la mala fede o la colpa grave della parte soccombente con profili di inammissibilità in senso tecnico oppure con la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (cfr. Cass., S.U. n. 9912 del 2018; Cass. n. 10327 del 2018; n. 7726 del 2016), in difetto, nel caso di specie, di elementi ulteriori significativi di un abuso dello strumento processuale;

20. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. Quirino Mescia, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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