Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10602 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. III, 30/04/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 30/04/2010), n.10602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22226/2005 proposto da:

CAVIDIL SRL (OMISSIS) in persona dell’Amministratore Unico

rappresentante pro tempore Sig.ra M.S., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. BANTI 34, presso lo studio dell’avvocato

BRUNI Anna Maria, che la rappresenta e difende con delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

NEW AGE TECNOLOGY NAT SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore Sig. D.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GREGORIO VII 474, presso lo studio dell’avvocato SILVESTRI

FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato SILVETTI Carlo con

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 748/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 04/01/2004; depositata il

17/02/2005; R.G.N. 429/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/01/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato ANNA MARIA BRUNI;

udito l’Avvocato FRANCESCO SILVESTRI (per delega Avvocato CARLO

SILVETTI);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

La s.r.l. Cavedil propose appello avverso la sentenza del tribunale di Roma – con la quale era stata rigettata la propria domanda di risoluzione per inadempimento (e di risarcimento dei danni) in relazione ad un contratto di vendita di tecnologie chimiche stipulato con la convenuta società NAT – denunziando l’erronea valutazione delle risultanze processuali da parte del primo giudice nella parte in cui questi aveva ritenuto adeguatamente provato che la convenuta avesse adempiuto alle obbligazioni assunte con una scrittura privata dell'(OMISSIS), che la impegnava ad adoperarsi per favorire il rilascio, da parte dei competenti organi regionali, delle autorizzazioni necessarie per l’installazione degli impianti (destinati all’utilizzazione della tecnologia chimica oggetto della cessione) di inertizzazione dei rifiuti solidi.

L’impugnazione è stata rigettata dalla corte di appello di Roma.

La sentenza è stata impugnata dalla Cavedil con ricorso per cassazione sonetto da 3 motivi di doglianza.

Resiste con controricorso la Nat.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia una presunta nullità della sentenza di secondo grado per omessa pronuncia sul capo di domanda relativo alla richiesta di adempimento – Violazione e falsa applicazione di tutte le norme e i principi in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – Omesso esame in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Il motivo è privo di pregio.

Esso confligge per tabulas con il contenuto della sentenza impugnata che, al folio 5, espressamente mostra di aver considerato entrambe le domande – di risoluzione e di adempimento – proposte da parte dell’odierna ricorrente, rigettando ciascuna di esse con motivazione (svolta alla successiva pag. 6) esente da vizi logico-giuridici, che questo collegio interamente condivide e fa propria.

Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 1218 c.c., e di tutte le norme e i principi in materia di adempimento contrattuale; omesso esame di un punto decisivo della controversia risultante dagli atti – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione violazione e falsa applicazione dell’art. 89 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto di condividere le conclusioni del primo giudice in ordine all’avvenuta dimostrazione, da parte dell’odierna resistente, del congruo adempimento ai propri obblighi di collaborazione, tanto con riguardo all’avvenuta consegna dei disegni tecnici esecutivi dell’impianto (con peculiare riferimento al formato dei progetti che, pur non consentendone l’invio a mezzo fax, non era punto incompatibile con la predisposizione di una copia in formato ridotto), quanto all’avvenuto incontro con il competente responsabile dell’assessorato regionale alla sanità, quanto ancora alla scarsa rilevanza dell’invio in forma incompleta della documentazione concernente il brevetto (atteso l’indiscutibile superamento della fase della segretezza del medesimo): circostanze, queste, che, complessivamente considerate, hanno indotto il giudice territoriale a concludere, del tutto correttamente, che la risoluzione del contratto fosse a dirsi indefettibile conseguenza dell’avveramento della condizione del mancato rilascio delle concessioni regionali e non anche dell’inadempimento contestato alla società resistente.

La condanna ex art. 89 c.p.c., risulta, poi, del tutto legittima, stante la palese offensività delle affermazioni censurate dalla corte di appello, che ne ha legittimamente disposto la cancellazione.

In realtà il motivo in esame, pur lamentando formalmente una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e un (apparentemente) decisivo difetto di motivazione, si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d.

legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

In particolare, poi, quanto all’interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto della convenzione negoziale per la quale è processo, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice va nuovamente riaffermato che, in tema di ermeneutica contrattuale, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni normativi di interpretazione (si come dettati dal legislatore all’art. 1362 c.c., e segg.) e la coerenza e logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, funditus, Cass. n. 2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati.

Con il terzo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1353 e 1259 c.c., e di tutte le norme e i principi in materia di contratto condizionato.

Il motivo è inammissibile, poichè volto ad introdurre surrettiziamente in sede di giudizio di legittimità un nuovo thema decidendum, mai dibattuto nei precedenti gradi di merito, volto all’analisi, sub specie dei una sua pretesa illiceità, della causa negoziale sì come conseguente alla non omologabilità della tecnologia oggetto del contratto di compravendita intercorso tra le parti (nè il ricorrente, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, indica, in seno al motivo, con le necessarie trascrizioni in parte qua, in quale fase del giudizio di merito quella tematica sia stata tempestivamente introdotta e illegittimamente disattesa quoad decisum).

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.

PQM

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

 

 

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