Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10602 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/04/2017, (ud. 28/09/2016, dep.28/04/2017),  n. 10602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10236-2012 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. CESARE

71, presso lo studio dell’avvocato SABRINA VAIARELLI, che lo

rappresenta e difende con procura notarile speciale rep. 5375 del

22/9/2016;

– ricorrente –

contro

R.R.T., L.R.S., R.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 80, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO STADERINI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato EMILIO LOMBARDI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1779/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato VAIARELLI Sabrina, difensore del ricorrente che si

rimette sull’osservazione del Consigliere Relatore e chiede

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Il pretore di Asti aveva rigettato una azione possessoria proposta da R.F. contro C.F. e la moglie G.E..

In esecuzione della sentenza gli eredi di R.F., a C. hanno corrisposto le spese legali.

La sentenza del pretore era stata riformata dal tribunale di Asti, che aveva condannato gli appellati a rifondere agli eredi R. la metà delle spese dei due gradi di giudizio, compensando il resto.

La sentenza di secondo grado era stata confermata dalla cassazione.

Essendo mancata la restituzione della metà versata oltre il dovuto, gli eredi R. ne hanno chiesto il pagamento con autonomo giudizio.

I convenuti eredi G., tra cui l’odierno ricorrente C., resistevano alla domanda, sostenendo che il tribunale aveva già tenuto conto di quanto versato in esecuzione della sentenza di primo grado e che i R. non avevano impugnato il capo relativo alle spese.

Il Tribunale di Torino ha accolto la domanda R. e la Corte di appello (sentenza 7 dicembre 2011), accogliendone l’appello incidentale, ha fissato la decorrenza degli interessi legali dalla data del pagamento e non dalla data della domanda, perchè ha escluso che i C. potessero giovarsi del disposto di cui all’art. 2033 c.c..

Il solo C.F. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 17 aprile 2012, affidandolo a tre motivi.

Parte R. ha resistito con controricorso.

In vista dell’udienza, parte C. ha nominato nuovo difensore, munito di procura rilasciata con atto notarile; entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c.. Sostengono che la Corte di appello di Torino non avrebbe rispettato le argomentazioni del tribunale di Asti e avrebbe sancito un obbligo restitutorio che era stato già assolto dai ricorrenti.

Parte C. così ricostruisce i fatti: la pretura Asti nel 1997 aveva condannato R. a pagare interamente spese di lite liquidate in 3milioniemezzo di Lire.

Il Tribunale di Asti con la sentenza n. 1061 del 2002 aveva condannato C. a pagare a R. la metà delle spese di primo grado e di secondo grado liquidandole rispettivamente in 5164 Euro (primo grado) e 3.356,97 (2° grado). Aveva compensato per metà le spese di entrambi i gradi di giudizio.

La tesi di parte C. (cfr pag. 9 e seguenti del ricorso), sembra ricostruibile in questo modo: che essa doveva versare ai signori R. solo il 50% delle spese da loro corrisposte per il primo grado e pagare il 50% delle spese di appello. Avrebbe dovuto solo restituire metà delle somme percepite dal R. e ciò avrebbe fatto.

Sostiene (pag. 11) che il tribunale di Asti, nel rideterminare il regolamento complessivo, avrebbe tenuto conto del pagamento avvenuto in forza della decisione di primo grado.

Assume (pag. 12) che ciò sia stato affermato dal tribunale di Torino in un’ordinanza del 2008 in cui avrebbe detto che i signori C. erano stati condannati dal tribunale di Asti a pagare solamente le spese dei due gradi per metà, per un totale di 5.744,19 Euro.

La sentenza di primo grado avrebbe errato e avrebbe stravolto il contenuto dell’ordinanza.

La Corte di appello avrebbe omesso di considerare la sentenza del tribunale di Asti e non avrebbe considerato che l’obbligo restitutorio era stato già assolto dai ricorrenti.

2.1) La doglianza è manifestamente infondata.

La Corte di appello di Torino ha chiarito senza possibilità di equivoci l’accaduto. Ha esposto che i C. avevano incassato 4.783,09 Euro in esecuzione della prima sentenza della pretura di Asti e non avevano mai restituito a parte R. questa somma, sebbene la sentenza fosse stata riformata dal Tribunale di Asti.

Ha aggiunto che davanti al Tribunale di Asti i R. non avevano chiesto la restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza pretorile e che il tribunale non l’aveva disposta, cosicchè i C. avevano versato solo la metà delle spese processuali liquidata a loro carico per il primo e per il secondo grado, liquidazione che non conteneva la restituzione.

Ha pertanto ritenuto che il pagamento effettuato dai C. non aveva nulla a che vedere con quanto da essi incassato in forza della prima sentenza e indebitamente trattenuto. Bene avevano fatto i signori R. ad agire separatamente davanti al tribunale di Torino per conseguire la restituzione di una somma che i R. non avevano titolo per trattenere, essendo venuto meno il titolo in base al quale l’avevano ottenuta.

Tale ricostruzione corrisponde al contenuto delle due pronunce rese dai giudici di Asti, di cui il ricorso riporta solo il dispositivo (pag. 8 del ricorso), pronunce che hanno regolato le spese di quella causa senza tener conto della restituzione di quanto versato dagli odierni resistenti R. in provvisoria esecuzione della sentenza pretorile.

3) Con il secondo motivo parte C. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e artt. 91, 92, 342, 343 e 346 c.p.c..

La censura si riferisce a due affermazioni della Corte di appello, la quale ha ritenuto: a) che era irrilevante che parte R. non avesse impugnato specificamente il capo della pronuncia pretorile sulle spese, giacchè le spese potevano essere regolate diversamente dal tribunale di Asti, in quanto diversa era la decisione sul merito. B) che se la domanda di restituzione delle spese versate in esecuzione della sentenza di primo grado non viene svolta in appello, il giudice di appello non può pronunciarsi sulla restituzione, nè il suo silenzio può intendersi come esercizio del potere previsto dall’art. 92 c.p.c.

3.1) La prima affermazione viene censurata sostenendo che la statuizione sulle spese di lite deve essere impugnata in giudizio, altrimenti si formerebbe giudicato implicito. Parte ricorrente cita in proposito Cass. 14596/00.

Anche questa censura è manifestamente infondata.

Il caso citato atteneva a un giudizio per convalida di sequestro chiusosi con il rigetto della domanda di convalida del sequestro e la compensazione delle spese. Contro questa pronuncia aveva fatto appello la parte che aveva subito il sequestro, la quale aveva ottenuto dalla Corte di appello piena soddisfazione quanto alle spese, unico motivo di appello.

La sequestrante si era a questo punto rivolta alla Corte di cassazione con censura limitata al provvedimento sulle spese. La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha rilevato che la ricorrente (che era risultata soccombente in tribunale sulla istanza di convalida) non aveva impugnato in appello il capo sulle spese, di cui in primo grado era stata disposta la compensazione. L’appello sulle spese era stato proposto vittoriosamente solo dalla sequestrata.

E’ per questa ragione che la Cassazione ha ritenuto che contro la sequestrante si era formato il giudicato sulle spese di primo grado: la sequestrante non poteva dolersene in sede di legittimità, dopo che il giudizio di appello si era svolto solo sulle spese e in esso la ricorrente non aveva lamentato la compensazione disposta in primo grado.

Il caso è come si vede ben diverso da quello odierno, in cui invece l’appello vittorioso di parte R. atteneva al merito e aveva quindi implicitamente rimesso in discussione le spese, senza chiedere la restituzione di quanto già anticipato, e dunque senza che vi fosse pronuncia sulla restituzione.

Il regolamento disposto dal giudice di appello che pronuncia sul merito deve infatti investire anche d’ufficio le spese di entrambi i gradi di giudizio (Cass. 11423/16; 6259/14), il che impedisce che si possa formare alcun giudicato implicito sulla decisione relativa alle spese assunta in primo grado.

3.2) La seconda affermazione attiene alla mancata riproposizione della domanda di restituzione nell’ambito del giudizio di appello. Parte ricorrente deduce che l’omessa proposizione della domanda di restituzione cagiona il passaggio in giudicato della decisione sulle spese e l’impossibilità del giudice di pronunciarsi.

Anche questa doglianza è del tutto infondata.

Il potere di escludere “la ripetizione delle spese sostenute” cui allude l’art. 92 c.p.c. non si riferisce alla restituzione delle spese versate in esecuzione della sentenza di primo grado, ma alle spese sopportate dalla parte vittoriosa per sè, cioè per affrontare la causa, in qualsivoglia grado essa si trovi.

La domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado riformata è diretta invece alla restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza che, nel caducare il titolo del pagamento rendendolo indebito sin dall’origine, determina il sorgere dell’obbligazione e della pretesa restitutoria.

Vero è che detta pretesa, secondo la giurisprudenza, può essere svolta nel giudizio d’appello senza violazione del divieto di domande nuove posto dall’art. 345 c.p.c., dovendo applicarsi in via analogica il principio generale in base al quale, per ragioni di economia processuale, la domanda di risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 2, può essere proposta anche in grado di appello, e la domanda di riduzione in pristino ed ogni altra conseguente avanti al giudice di rinvio (art. 389 c.p.c.) (Cass. 7978/13; 5787 del 2005).

Tuttavia il mancato esperimento di tale domanda in appello o anche la mancata espressa statuizione officiosa del giudice d’appello (qualora sia stato reso edotto dell’avvenuto versamento) non fanno venir meno il diritto della parte di richiedere la restituzione di ciò che non era dovuto in base alla sentenza sopravvenuta e che però essa aveva versato nelle more.

3.3) Mette conto aggiungere che in memoria parte ricorrente cerca di suffragare la tesi secondo cui il tribunale di Asti avrebbe tenuto conto della restituzione della somma relativa alle spese di primo grado, adducendo una frase contenuta in una memoria depositata da controparte davanti al tribunale di Torino.

Il rilievo, oltre ad essere riferito ad atto non posto a fondamento del ricorso, con i relativi oneri di specificazione e produzione di cui agli artt. 360 – 366 c.p.c., è logicamente smentito dall’assenza nella decisione del tribunale di Asti di ogni riferimento sul punto controverso. Ciò anche in conseguenza della circostanza che non risulta neppure sia stato dedotto, davanti al giudice di Asti, che era avvenuto nelle more il pagamento delle spese del giudizio pretorile. Opportunamente ciò viene rilevato dalla memoria di parte resistente (pag. 8), che ricostruisce anche come gli importi considerati escludano l’ipotesi temerariamente sostenuta.

Parte resistente ha anche efficacemente riepilogato come abbiano operato i versamenti tra le parti, che hanno dato luogo all’incasso da parte R. del 50% delle spese di lite, quota liquidata in suo favore dal Tribunale di Asti per entrambi i gradi di giudizio, ma in precedenza all’incasso da parte di C. delle spese del giudizio pretorile, importi che devono essere restituiti perchè è venuto meno il diritto a trattenerli.

4) L’ultimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e 345 c.p.c..

La censura si riferisce alla parte della sentenza appello in cui è stata rigettata una eccezione di compensazione con altro credito, nascente da altra sentenza della Corte di appello di Torino, reputando l’eccezione proposta tardivamente ex art. 166 c.p.c. nel giudizio di primo grado.

La Corte di appello, oltre a rilevare la tardività, ha ritenuto irrilevante che i C. avessero “trattato di compensazione nella corrispondenza” intercorsa ante causam.

Il ricorso sostiene che si può rilevare la compensazione “a prescindere dalla rituale proposizione dell’eccezione in giudizio”.

La censura è infondata.

La compensazione propria, che si verifica quando i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da un diverso rapporto, è eccezione in senso stretto e rende applicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle eccezioni (Cass. 6532/06).

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 1.500 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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