Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10601 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/04/2017, (ud. 08/09/2016, dep.28/04/2017),  n. 10601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23137-2012 proposto da:

A.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FRANCESCO DE SANCTIS 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

TENCHINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE BRACCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. PAULUCCI

DE’ CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato PIERO SANDULLI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3354/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/09/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato ANGELOZZI Giovanni, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Giuseppe TENCHINI, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato PATANIA Anna, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato SANDULLI Piero, difensore del resistente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Si apprende dal ricorso che dal 1929 sul lungolago di Bracciano sorge un ristorante gestito dalla famiglia A.. L’attuale titolare G. ha agito nel marzo 2000 per far accertare l’usucapione del terreno con sovrastante l’immobile adibito all’esercizio di ristorazione, esteso per circa 250 mq, nei confronti del comune di Bracciano.

Quest’ultimo risultava documentalmente proprietario dell’area, in forza di transazione intervenuta nel 1964 con i principi Odescalchi.

Il Comune ha resistito eccependo l’appartenenza del bene al demanio idrico. Il tribunale di Civitavecchia nel 2007 ha accolto la domanda.

Ha rilevato tra l’altro che il bene non faceva parte del demanio comunale ma al più del patrimonio indisponibile, dal quale poteva essere comunque alienato, poichè non risultava che il bene avesse avuto destinazione pubblica dal quale sottrarlo.

Di diverso avviso è stata la Corte di appello di Roma che, con sentenza 25 luglio 2011, ha respinto la domanda di Giuseppe A..

Questi ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, resistiti da controricorso dell’ente locale, che ha depositato anche memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Secondo la Corte di appello, l’area contesa era una striscia di terreno, adiacente la spiaggia, già utilizzata a strada pubblica, accertamento che sarebbe stato fatto dalla sentenza di primo grado. In quanto strada pubblica appartenente al patrimonio indisponibile, l’area non poteva essere distratta dalla sua destinazione d’origine mediante usucapione.

Inoltre non vi sarebbe stata prova dell’esatto periodo di decorrenza del possesso esclusivo da parte del privato, cioè del momento a partire dal quale l’amministrazione aveva “iniziato a non esercitare i suoi diritti reali a fini di pubblica utilità, sul bene stradale”.

I primi tre motivi di ricorso, che denunciano vizi di motivazione da esaminare congiuntamente, hanno buon giuoco nel rilevare che la decisione di appello muove da un’errata comprensione dei fatti di causa.

2.1) Con il primo motivo A. evidenzia che oggetto della azione di rivendica “a titolo originario” non era l’intera superficie di 9.650 mq che il comune di Bracciano aveva acquistato nel 1964 dalla famiglia Odescalchi, ma solo una delle particelle che la componevano, cioè la particella n. (OMISSIS) per una superficie di mq 380, su cui insistevano i 240 mq edificati adibiti a ristorante.

La strada adiacente al lago che la Corte di appello aveva ritenuto non soggetta ad usucapione non poteva confondersi con questa molto minor superficie, atteso che: a) il fabbricato era già esistente prima dell’acquisto da parte del Comune: infatti già nel 1950 era stata rilasciata al nonno del ricorrente, Giuseppe A., licenza a costruire un manufatto in conformità al progetto approvato di demolizione di un preesistente chiosco e realizzazione del ristorante; b) la via denominata lungolago A. fiancheggiava la costruzione, come riconosciuto dai testi che avevano confermato le fotografie prodotte.

Nel secondo profilo del motivo parte ricorrente ribadisce che la destinazione a strada dell’area edificata era esclusa dallo stesso atto di transazione del 1964 tra Odescalchi e l’ente locale, atto in cui la particella (OMISSIS) era descritta come costituita da fabbricati urbani promiscui per metri quadrati 380, cosicchè il comune non poteva aver acquistato – per quella parte – un terreno gravato da tracciato stradale, ma i fabbricati oggetto ora di rivendica da parte A..

In proposito un terzo profilo del motivo lamenta che non sia stata acquisita la consulenza tecnica, sollecitata dalle parti, utile a comprendere la reale situazione dei luoghi.

2.2) Il secondo motivo critica la sentenza nella parte in cui non ha ritenuto che i testimoni, le cui deposizioni vengono puntualmente riportate in ricorso, non avessero individuato adeguatamente l’oggetto del contendere.

2.3) Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c. e rileva che in forza del principio di non contestazione la Corte di appello avrebbe dovuto considerare provato che l’ A. non aveva occupato l’arenile del lago anche sulla base della autorizzazione rilasciata nel 1960 dal Comune per dotare lo stabilimento balneare di servizi igienici. Tale circostanza costituirebbe prova della mancata destinazione del terreno de quo a strada comunale.

3) Il ricorso è fondato.

Presupposto della decisione resa dalla Corte d’appello, nonchè della difesa esposta in controricorso, è che l’area controversa fosse “strada pubblica confinante con l’arenile comunale”. Da qui è discesa la qualificazione del bene come appartenente al patrimonio indisponibile del comune, che sarebbe stato distratto alla sua “destinazione d’origine a strada comunale” (cfr. pag 3 sentenza impugnata”).

Tale accertamento scaturisce tuttavia da un’affrettata lettura di “pag. 3 della stessa sentenza impugnata” (cioè di quella del tribunale).

E’ vero infatti che il Tribunale descrive “la particella sulla quale è stato realizzato l’edificio” come fascia di terreno già utilizzata in parte dal Comune a strada pubblica della superficie di mq 9.650, come si legge nella prima parte della pagina 3, ma non è questa la superficie cui si riferiva la domanda, che concerne solo il fabbricato e la particella, molto meno estesi (240 e 380 mq rispettivamente), su cui lo stesso insiste.

I tre motivi di ricorso evidenziano con ineccepibile efficacia le risultanze di causa, dalle quali si doveva comprendere che la proprietà contesa non è identificabile con la descrizione sommaria dell’intera grande area ceduta dalla famiglia Odescalchi al Comune nel 1964, ma con una porzione ben più piccola. Evidenziano altresì come documentazione di incontestabile provenienza comunale attesti l’esistenza di un edificio già prima della cessione al Comune e quindi già prima che si potesse parlare di bene appartenente al patrimonio indisponibile dell’ente locale.

Sussiste peraltro un irrisolvibile contraddittorietà nella sentenza impugnata, laddove prima (seconda pagina, “svolgimento del processo”) indica in un “fondo di circa 250 mq” l’oggetto della pretesa A. e poi affida l’argomento determinante della lite alla descrizione complessiva della più vasta area in cui quel fabbricato è descrittivamente collocato.

Dell’ampiezza di tale area (di 9650 mq secondo la sentenza di primo grado) la sentenza impugnata non dà conto: essa viene tutta considerata come strada pubblica, sulla scorta della generica descrizione iniziale che ne aveva fatto il primo giudice, senza però analizzare la restante parte della sentenza di primo grado, che perveniva, quanto all’immobile rivendicato, all’opposta convinzione che esso preesistesse alla cessione del compendio in favore del Comune e alla destinazione a strada comunale.

La Corte di appello enuncia infatti l’affermazione che il fabbricato sarebbe stato realizzato su terreno di proprietà comunale adibito a strada e come tale “inusucapibile”, senza esaminare l’insieme delle risultanze processuali che avevano indotto il tribunale a credere che l’esistenza del fabbricato-ristorante A., in fregio al lungolago A., risalisse a epoca anteriore.

La Corte di appello neppure mostra di aver percepito con chiarezza quella descrizione e l’imponenza della superficie che sarebbe tutta destinata a strada. Coerenza argomentativa avrebbe invece richiesto di analizzare la entità della particella rivendicata; la sua incidenza sulla più ampia superficie ceduta; la identità tra la parte rivendicata e quella cui si riferivano i provvedimenti autorizzativi, anteriori alla cessione del 1964, sui quali era imperniata la sentenza del tribunale e che sono ora valorizzati in ricorso, nonchè le deposizioni testimoniali.

E’ quanto dovrà fare il giudice di rinvio, al quale occorre rimettere il riesame degli atti di causa, onde verificare se sia vero che il fabbricato rivendicato con le sue pertinenze sia stato eretto dopo il 1964 su preesistente strada comunale, ovvero fosse preesistente e sia stato posseduto da parte attrice con modalità e per tempo idonei all’usucapione.

Non è infatti pertinente quanto dedotto dalle difese dell’ente, che muovono dal presupposto indimostrato (si veda pag. 11 controricorso) che il terreno rivendicato avesse già natura indisponibile, cioè fosse adibito a strada e non potesse essere distolto in via di fatto da questa destinazione. Questo presupposto di fatto è però quello su cui l’accertamento è mancato, essendo stato viziato da una sommaria lettura della sentenza di primo grado e dalla sottovalutazione degli elementi addotti da parte attrice.

4) Risulta invece infondato il quarto motivo di ricorso, che denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c..

La doglianza si riferisce all’aver il giudice di appello considerato ammissibile – e non tardiva – la questione della natura di bene indisponibile del bene sollevata dal Comune soltanto in appello.

La censura è infondata, perchè la natura del bene pubblico, non soggetto a usucapione, è questione rilevabile di ufficio che quindi può essere dedotta, sulla base degli atti disponibili, anche in grado di appello, come insegna l’art. 345 cit., comma 2.

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso in parte qua.

La sentenza d’appello va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Roma per il riesame dell’impugnazione alla luce dei rilievi motivazionali svolti sub p. 3 e la liquidazione delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte rigetta il quarto motivo di ricorso.

Accoglie i primi tre motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 8 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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