Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10600 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10600 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: COSENTINO ANTONELLO

SENTENZA

sul ricorso 14734-2011 proposto da:
BONANI

VIOLA

BNNVL137E60H639M,

GIUSEPPE

RAUZI

RZAGPP24E29H639P, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA

NICOLO’

TARTAGLIA

5,

presso

lo

studio

dell’avvocato ALESSANDRO DI GIOVANNI, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CINZIA
2016

BERT;
– ricorrenti –

316
contro

FRAZIONE PREGHENA ASUC FRAZIONE PREGHENA 00377320220,
elettivamente domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso

Data pubblicazione: 23/05/2016

la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli
avvocati FRANCESCO A BECCARA, MAURO 10B;
controricorrente

avverso la sentenza n. 73/2011 della CORTE D’APPELLO
di TRENTO, depositata il 10/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 09/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO
COSENTINO;
udito l’Avvocato AROMOLO Sandra, con delega depositata
in udienza dell’Avvocato DI GIOVANNI Alessandro,
difensore dei ricorrenti che si riporta agli atti
depositati;
udito l’Avvocato IOB Mauro difesore del resistente con
procura speciale notarile che si riporta agli atti
depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

ci

SVOLGIMENTO DELPROCESSO
I sigg.ri Giuseppe Rauzi e Viola Banani ricorrono contro la Frazione di Preghena — ASUC
(Amministrazione Separata dei beni di Uso Civico) per la cassazione della sentenza con cui la Corte
d’appello di Trento, riformando la sentenza di primo grado, ha dichiarato l’inefficacia del contratto
dell’8 marzo1978 con cui essi ricorrenti avevano acquistato un terreno, rappresentato dalla particella
p.f. 1671/4, di proprietà della Frazione di Preghena; contratto sottoscritto, per la parte venditrice,

A fondamento della propria decisione la Corte d’appello ha svolto, per quanto qui ancora interessa,
le seguenti considerazioni:
a) alla stregua della normativa applicabile all’epoca della stipula (1978) – indicata nelle leggi
provinciali trentine nn. 1/51 e n. 6/56 (dovendosi giudicare erronea, secondo la Corte
d’appello, l’applicazione retroattiva della legge provinciale trentina n. 5/02 operata dal
primo giudice) – la legittimazione alla manifestazione di volontà negoziale del!’ ASUC,
proprietaria del terreno, compete al relativo presidente e non al sindaco del comune in cui il
terreno stesso ricadeva;
b) in conseguenza della affermazione sub a), l’impugnato contratto, in quanto stipulato dal
sindaco, deve ritenersi inefficace nei confronti dell’ ASUC;
c) in assenza di successiva ratifica, essa ASUC ha il diritto di sentir giudizialmente dichiarare
detta inefficacia;
d) l’azione per la declaratoria del inefficacia non soggiace al termine

di prescrizione

quinquennale di cui all’articolo 1442 c.c.
e) la domanda di declaratoria di inefficacia deve ritenersi compresa nella (più ampia) domanda
di declaratoria di nullità spiegata nel presente giudizio.
Il ricorso per cassazione si articola su sette motivi.
La Frazione di Preghena — ASUC ha resistito con controricorso.
Solo la contro ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 9.2.16 nella quale il Procuratore Generale ha
concluso come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE

dal sindaco del Comune di Livo.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 112 c.p.c. in cui la Corte trentina
sarebbe incorsa dichiarando l’inefficacia del contratto di compravendita 8.3.78 ancorché la
domanda giudiziale dell’ASUC avesse ad oggetto la declaratoria di nullità di detto contratto.
Il motivo va disatteso avendo questa Corte già chiarito, con la sentenza n. 2860/08, puntualmente
(
richiamata dalla Corte distrettuale, che, se è vero che i negozi posti in essere dal falsus procurator
non sono nulli, bensì privi di efficacia, e che tale inefficacia non è rilevabile d’ufficio, ma solo su

invochi la nullità del contratto concluso dal falsus procurator, il giudice che ne dichiari la semplice
inefficacia non incorre in vizio di ultrapetizione, posto che quest’ultima costituisce un minus rispetto
alla nullità ed in essa può ritenersi virtualmente compresa (in conformità, si veda anche la
successiva sentenza n. 24643/14).

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 1442 c.c. in cui la Corte
distrettuale sarebbe incorsa non rilevando la prescrizione quinquennale prevista da tale
disposizione.
Il motivo è infondato.
La sentenza gravata, affermando: “consegue che l’azione che tende a far dichiarare l’inefficacia del
negozio nei riguardi del preteso rappresentato non è soggetta alla prescrizione quinquennale
prevista dall’articolo 1442 c.c., che colpisce solo l’azione di annullamento” ( pag. 9, ultimo cpv.) sì
è adeguata al principio dell’ imprescrittibilità dell’azione tesa a far dichiarare l’inefficacia del
negozio nei riguardi del preteso rappresentato, espresso da questa Corte con la sentenze, risalenti
ma non mai messe in discussione dalla giurisprudenza successiva, nn. 2267/69 e n. 1001/71.
I ricorrenti argomentano altresì l’esistenza di una stretta correlazione, sotto il profilo
dell’alternatività, tra il primo ed il secondo motivo del ricorso, lamentando la nullità della sentenza
gravata per errore in procedendo,

con riferimento agli articoli 99 e, nuovamente, 112 c.p.c.

Secondo i ricorrenti, se si nega che la sentenza gravata sia incorsa nel vizio di ultra petizione
dedotto col primo mezzo di gravame, sarebbe logicamente necessario affermare che essa sia
incorsa nel vizio di violazione dell’articolo 1442 c.c.dedotto col secondo mezzo di gravame.
L’argomento non ha pregio, giacché il termine prescrizionale di cui all’articolo 1442 c.c. riguarda
l’azione di annullamento dei contratti, laddove l’azione che tende a far dichiarare l’inefficacia, nei
riguardi dello pseudo rappresentato, del contratto concluso dal falsus procurator costituisce un
minus rispetto alla azione di nullità e non rispetto all’azione di annullamento.

eccezione di parte, è vero anche che, ove la parte, allegando la mancanza di potere rappresentativo,

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’articolo 1399 c.c., nonché il vizio di
motivazione, in cui la Corte distrettuale sarebbe incorsa non rilevando che dai dcumenti depositati
dalla stessa Amministrazione appellante emergeva che il contratto concluso dal Sindaco del
Comune di Livo era stato tacitamente ratificato dalla ASUC.
In particolare i ricorrenti richiamano:
a) un contratto preliminare di retrocessione del terreno in oggetto concluso il 17.93 tra il signor

b) la delibera dell’ ASUC del 16.12.99 con cui veniva incamerata la cauzione prevista dal
contratto preliminare menzionato sub a), per non essersi il Rauzi reso disponibile a dare
esecuzione a tale preliminare;
c) un esposto presentato dal Rauzi alla Procura della Repubblica di Trento in relazione a
lamentati comportamenti persecutori dell’Amministrazione;
d) l’intervenuta stipula, tra il Rauzi e la ASUC , di numerosi contratti in cui il primo cedeva alla
seconda l’appalto di sfruttamento della cava esistente sul terreno in questione.
Il motivo va disatteso perché – oltre a lasciare del tutto indeterminati, in violazione del canone di
autosufficienza del ricorso per cassazione, contenuti e cronologia dei documenti richiamati nei punti
c) e d) dell’elenco che precede – non censura adeguatamente l’accertamento di fatto operato nella
sentenza gravata. La Corte d’appello, infatti, ha infatti espressamente negato che agli atti
successivi alla stipula del contratto impugnato possa attribuirsi la portata di ratifica di tale contratto,
sull’argomento che

“gli atti successivi alla stipula (del contratto impugnato in questo giudizio,

n.d.r.) prodotti in giudizio risultano tesi, nella volontà di risoluzione della controversia, ad ottenere

la retrocessione del bene” (pag. 10, primo cpv., della sentenza). Nel motivo di ricorso non si
contestano al giudice territoriale violazioni dei canoni di ermeneutica contrattuale, ne si individuano
vizi logici del suo ragionamento, ma ci si limita contrapporre all’apprezzamento delle risultanze
documentali operato in sentenza quello ritenuto preferibile alla parte ricorrente, in tal modo
invocando un riesame delle risultanze documentali inammissibile in sede di legittimità.

Con i motivi quarto (riferito all’articolo 360 nn. 5 e 4 c.p.c.) quinto (riferito all’articolo 360 nn. 5 e
3 c.p.c.) e sesto (riferito all’articolo 360 nn. 4 e 5 c.p.c.) – da trattare congiuntamente perché
convergenti nel proporre, sotto profili diversi, la medesima doglianza – i ricorrenti sostanzialmente
lamentano la violazione delle norme dettate dalla legge provinciale trentina n. 1/51 e del relativo
regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. 4/52.
Secondo i ricorrenti, nella disciplina risultante dalle leggi provinciali numero 1/51 e 6/56
(applicabile alla fattispecie ratione temporis, come ritenuto anche dalla Corte d’appello) non

Rauzi e la ASUC;

sarebbe rinvenibile alcuna disposizione concernente la legittimazione sostanziale del Presidente del
comitato frazionale; al contrario, la legittimazione del Sindaco del comune nel cui territorio insiste
la frazione a stipulare contratti di cessione di beni di proprietà dell’ASUC dovrebbe ricavarsi dal
disposto dell’articolo 24 del suddetto regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. 4/52, alla
cui stregua “il Sindaco esercita anche nella frazione di poteri stabiliti dalle leggi estendendo la sua
attività e da autorità a tutto il territorio del comune”. La Corte trentina avrebbe errato nel trascurare

della Provincia Autonoma di Trento prot. s110/10/6832/73/2-10 secondo la quale “dal complesso
della normativa citata e dalla prassi amministrativa che si era consolidata si può affermare che il
procedimento di alienazione di beni frazionali di uso civico comportava l’adozione di una
deliberazione da parte dell’amministrazione separata dei beni di uso civico (laddove costituita),
l’adozione di una successiva ed analoga deliberazione da parte del Consiglio comunale, la
stipulazione del contratto da parte del Sindaco, sia pure in nome per conto dell’amministrazione
separata”.
La censura non è fondata.
La sentenza gravata è infatti allineata – oltre che con la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons.
Stato n. 345/86: “Ai sensi delle leggi della provincia autonoma di Trento 16 settembre 1952 n. 1 e 9
maggio 1956 n. 6 nonché del regolamento di esecuzione approvato con decreto del presidente della
giunta regionale n. 4 dell’I I novembre 1952, la alienazione di beni di uso civico frazionale rientra
nella competenza dell’amministrazione separata dei beni frazionali e non già in quella del consiglio
comunale del comune”) – con la giurisprudenza di questa Corte, che, con la sentenza n. 4744/88,
richiamata dalla Corte territoriale, ha enunciato il principio, specificamente applicabile nella
presente fattispecie, che

“La legge della provincia di Trento 9 maggio 1956 n. 6 non pone all’art. 7

(già art. 2 1. prov. Trento 16 settembre 1952 n. 1) ne’ in altra disposizione alcuna restrizione
nell’ambito del territorio della provincia alle attività delle amministrazioni separate dei beni di uso
civico, con la conseguenza che alle stesse e non al comune compete l’alienazione del bene
immobiliare gravato.”).
Il Collegio non ritiene che vi siano ragioni per discostarsi da tale precedente; esso infatti cala nella
trama normativa della legislazione della Provincia Autonoma di Trento principi (non contraddetti
da alcuna disposizione dettata dalle fonti ratione temporis applicabili alla fattispecie, ossia le leggi
provinciali trentine nn. 1/52 e 6/56) che sono stati costantemente affermati da questa Corte nella
generale materia dell’amministrazione separata dei beni di uso civico; si vedano, al riguardo, la
sentenza n. 345/66 (“Con la Costituzione dell’amministrazione dei beni separati della frazione, in
ottemperanza alla legge 17 aprile 1957, n.278, la rappresentanza degli interessi dei frazionisti

C.;;;I

tale disposto, così come avrebbe errato nel trascurare un parere espresso nella nota dirigenziale

riguardo ai beni di uso civico della frazione passa alla amministrazione medesima e cessa nel
comune, nel quale viene completamente meno la rappresentanza dei frazionisti in ordine ai beni di
uso civico rientranti nell’ambito territoriale della frazione. Pertanto, attuandosi una successione di
un ente ad un altro, a nonna dell’arti i O cod.proc.civ.,il processo deve essere proseguito dal
successore universale o nei suoi confronti”.); la sentenza n. 10748/92 (“le frazioni del Comune che, di nonna costituiscono una mera entità naturale di fatto caratterizzata dalla presenza dello

abitati dell’ente locale e dotata di interessi, sempre di fatto, legati a circostanze di ordine
economico, storico, sociale e religioso – hanno tuttavia, in materia di amministrazione di beni
assoggettati ad uso civico della popolazione frazionaria, una soggettività diversa da quella
dell’ente di appartenenza ed autonomamente esercitabile, anche ai fini del recupero del perduto
possesso di detti beni, attraverso un apposito comitato per l’amministrazione separata, da
nominarsi secondo le previsioni dell’art. 26 della legge 16 giugno 1927 n. 1766 e del relativo
regolamento di esecuzione di cui al R.D. 26 febbraio 1928 n. 332, come successivamente
modificato e integrato”);

la sentenza 11127/94 (“Le frazioni dei Comuni, per costituendo

circoscrizioni amministrative del Comune, possono essere titolari di beni di proprietà o uso
collettivo, come quelli destinati ad uso civico, perché tale autonoma soggettività, rispetto a quella
dell’ente di appartenenza, risulta attribuita alle comunità delle frazioni sia dalla legge 16 giugno
1927 n. 1766, che, nell’art. 8, prevede la comunione di diritti tra Comune e frazioni o tra frazioni
dello stesso Comune, nell’art. 11 presuppone la possibilità che i terreni gravati da uso civico
appartengano o siano posseduti anche dalla frazione e nell’art. 25 prevede il trasferimento ai
Comuni o alle frazioni dei terreni delle associazioni agrarie che vengono sciolte, sia dalla legge 17
aprile 1957 n. 278, che attribuisce a comitati eletti dalle comunità delle frazioni l’amministrazione
dei beni, la quale, per sua natura comporta anche il compimento di atti giuridici eventualmente
costitutivi di obbligazioni, e la rappresentanza in giudizio delle comunità frazionali”); da ultimo, la
sentenza n. 21488/12 (“In tema di usi civici, la qualità dei comuni di enti esponenziali degli
interessi delle popolazioni amministrate nell’ambito dei rispettivi territori conferisce ai medesimi
enti territoriali, come anche alle amministrazioni separate costituite ai sensi della legge 16 giugno
1927, n. 1766 e del relativo regolamento, proprio al fine di assicurare l’amministrazione e la
rappresentanza dei beni di uso civico delle popolazioni frazionarie, la legittimazione sostanziale e
processuale a far valere i diritti appartenenti a dette collettività, e quindi a dolersi in giudizio dei
vizi procedimentali del provvedimento autorizzativo dell’alienazione.”).

Per l’applicazione dei

medesimi principi nell’ambito della legislazione della Provincia Autonoma di Bolzano, si veda,
infine, la sentenza n. 5405/89: “qualora, con riguardo a beni di uso civico appartenenti a frazione

insediamento di una parte della popolazione comunale in una località staccata da altri nuclei

di un comune, venga costituita un’amministrazione separata, affidata ad apposito comitato, ai sensi
dell’art. 11 lett, a della legge 16 giugno 1927 n. 1766, il presidente di detto comitato ha la
rappresentanza, pure processuale, dell’amministrazione medesima. Tale principio opera anche
nell’ambito della provincia di Bolzano, in base alla legge provinciale 12 giugno 1980 n. 16 (e poi
della legge provinciale 23 dicembre 1987 n. 34).

Con il settimo motivo di ricorso i ricorrenti censurano l’affermazione della sentenza gravata
secondo la quale l’impugnato contratto di compravendita sarebbe nullo in ragione della mancata
allegazione al medesimo della documentazione attestante l’avvenuto sgravio dall’uso civico del
terreno che ne formava oggetto e, conseguentemente, della perdurante incommerciabilità di tale
terreno. In proposito i ricorrenti lamentano, con riferimento ai nn. 4 e 5 dell’articolo 360 cpc,
l’errore motivazionale in cui la Corte sarebbe incorsa non rilevando che la stessa ASUC di
Preghena, nella delibera di autorizzazione alla vendita del terreno, aveva altresì deliberato di
richiedere “l’emanazione del decreto di sgravio del diritto di uso civico”.
11 motivo va disatteso perché attinge una argomentazione priva di portata decisoria, in quanto
estranea alla ratio decidendi e dichiaratamente enunciata solo ad abundantiam (cfr. pag. 11, rigo 2,
della sentenza gravata). Questa Corte ha infatti reiteratamente affermato (tra le tante, sentt.
13068/07, 22380/14) che è inammissibile in sede di legittimità il motivo di ricorso che censuri
un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam” e, pertanto, non costituente
una “ratio decidendi” della medesima.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali si articola.

Le spese si compensano, in considerazione dell’esistenza di divergenti prassi amministrative.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2016
II Cons. estens e

Il Presidente

I tre motivi in esame vanno quindi, conclusivamente, rigettati.

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