Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1060 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1060

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7384-2018 proposto da:

F.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO

PRATICO’;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (C.F. (OMISSIS)), in persona del Ministro

pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1772/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 31/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Paola

Vella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Torino, su appello del Ministero dell’Interno, ha riformato la decisione con cui il Tribunale di Torino aveva rigettato le domande di protezione internazionale e sussidiaria, accogliendo però quella di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari del cittadino maliano F.A.: le prime due, perchè invocate sulla base di una intricata vicenda personale, ritenuta poco credibile e di tipo privato, e sulla base della situazione politica dello Stato di provenienza, dove i focolai residui di instabilità e di violenze non riguardavano l’area di sua provenienza (città di (OMISSIS), regione (OMISSIS)); la terza, perchè il richiedente si era ormai integrato in Italia, dove aveva studiato la lingua, frequentato una scuola di falegnameria e trovato lavoro presso una cooperativa.

1.1. Secondo il giudice del gravame, andava respinta anche la richiesta di protezione umanitaria, atteso che la vicenda narrata non era credibile e, comunque, non poteva formarne oggetto il suo inserimento lavorativo e l’acquisita conoscenza della lingua italiana.

1.2. Avverso tale provvedimento il sig. F.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese, limitandosi a depositare un “atto di costituzione” ai soli fini di partecipare all’eventuale pubblica udienza.

1.3. Depositata la proposta ex art. 380 bis c.p.c. e fissata l’adunanza in camera di consiglio, con ordinanza interlocutoria n. 18725/2019 è stato disposto rinvio a nuovo ruolo, in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla “questione dell’inserimento sociale e lavorativo del richiedente asilo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ove la pregressa disciplina sia applicabile nonostante il ius superveniens”.

1.4. All’esito del deposito di nuova proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata nuovamente fissata adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. Preliminarmente occorre dare atto che, con sentenza n. 29459 del 13/11/19, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato (tra l’altro) che “il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domanda saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno ‘per casi speciali” previsto dal suddetto D.L., art. 1, comma 9″.

3. Occorre altresì considerare che la nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 130 del 2020 – in vigore dal 22/10/2020 – convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, non risulta trovare immediata applicazione nei giudizi pendenti in cassazione alla predetta data, avuto riguardo al tenore letterale delle disposizioni transitorie dettate dal citato D.L., art. 15 (Cass. 28316/2020).

3.1. Ciò premesso, con il primo motivo si deduce “difetto di motivazione per illogicità, omesso esame di elementi decisivi… violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dell’art. art. 8 Conv. Europea dei Dir. dell’Uomo”, per avere la Corte d’appello escluso la tutela umanitaria, valorizzando la “mancanza di credibilità del racconto del richiedente” (mentre il Tribunale l’aveva accordata sulla base di diversi elementi, “quali la maturata integrazione sociale e della situazione socio-politica di instabilità e insicurezza in Mali”), escludendo la rilevanza dell’inserimento sociale (da tutelare “sotto il profilo del diritto al rispetto della vita privata e familiare”) e omettendo di valutare la rilevanza dell’insicurezza e violenza diffusa esistenti in Mali.

3.2. Con il secondo mezzo si prospetta difetto di motivazione e omesso esame delle doglianze sul giudizio di non credibilità formulato dal tribunale, solo implicitamente confermato dal giudice d’appello.

3.3. Il terzo motivo denunzia la violazione dell’art. 5 TUI, comma 6, e l’omesso esame di fatti decisivi, poichè la “minaccia all’incolumità individuale del richiedente”, pur non rientrando a stretto rigore nella protezione umanitaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex “art. 14, lett. a) e b) (che infatti non era stata direttamente invocata)”, poteva “giustificare la protezione di tipo umanitaria”, “in considerazione del contesto familiare e sociale” del ricorrente.

3.4. Con il quarto mezzo ci si duole della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e in subordine dell’art. 5 TUI, comma 6, nonchè dell’omesso esame dei motivi di appello e dei fatti decisivi prospettati in punto di “violenza indiscriminata da conflitto armato in Mali e irrilevanza dell’eventuale esistenza di talune zone sicure”.

4. Diversamente da quanto prospettato nella proposta ex art. 380-bis c.p.c., il Collegio ritiene che i motivi – esaminabili congiuntamente, in quanto connessi – non possano trovare accoglimento.

5. In primo luogo, tutte le censure motivazionali da essi veicolate risultano inammissibili, in quanto formulate senza l’osservanza dei canoni imposti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5), per cui il ricorrente è tenuto a indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nonchè la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020).

6. Circa il diniego di protezione sussidiaria (contestato con il quarto motivo), all’esclusione, nella zona di provenienza del ricorrente (Mali meridionale) di situazioni di conflitto armato interno o internazionale generanti una condizione di violenza indiscriminata, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) – fondata dal giudice d’appello sulle COI (Country of Origin Informations) tratte dal “report Unhcr del 2014 (non seguite da altre di diverso segno)” e dal “sito di Amnesty International” (attualizzato al giugno 2017) – il ricorrente si limita a contrapporre, trascrivendoli, due precedenti di merito nei quali si fa riferimento a COI ancor più datate.

6.1. Al riguardo, questa Corte ha più volte osservato – financo nei casi di omessa indicazione delle fonti informative dalle quali il giudice ha tratto il suo convincimento – che è onere del ricorrente indicare, a pena di inammissibilità, “le COI che secondo la sua progettazione avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio” (Cass. 22769/2020), purchè esse siano “aggiornate, attendibili e dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato”, nonchè “di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c.” (Cass. 21932/2020).

6.2. In mancanza, l’accertamento dell’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato “costituisce un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità” con deduzioni “finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio” (Cass. 32064/2018, 21584/2020).

7. Quanto al giudizio di “assoluta inverosimiglianza del racconto”, censurato con il secondo motivo, questa Corte ha ripetutamente evidenziato che solo nell’impossibilità per il richiedente di provare i fatti costitutivi del diritto – debitamente allegati – il principio dispositivo può trovare deroga, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e l’adozione del criterio di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare; sempre che costui, oltre ad essersi attivato tempestivamente per la proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva, condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (explurimis, Cass. 6936/2020, 15794/2019).

7.1. Si è anche osservato come la valutazione di affidabilità del dichiarante sia il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 – oltre che dei criteri generali di ordine presuntivo idonei a consentire la valutazione giudiziale della veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019) – dovendo il giudice sottoporre le dichiarazioni non suffragate da prove a un controllo di coerenza intrinseca (con riguardo al racconto) ed estrinseca (con riguardo alle informazioni generali e specifiche di cui si dispone) nonchè a una verifica di plausibilità della vicenda narrata a fondamento della domanda, sotto il profilo della logicità e razionalità delle dichiarazioni (Cass. 21142/2019).

7.2. Tale valutazione sulla credibilità del racconto – nel caso di specie svolto a pag. 4 e 5 della sentenza impugnata – costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero per assoluta mancanza, apparenza o perplessità della motivazione, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza motivazionale e l’ammissibilità di una prospettazione alternativa sul significato delle dichiarazioni rese (Cass. 13578/2020, 6897/2020, 5114/2020, 33858/2019, 21142/2019, 20580/2019, 11925/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 16925/2018).

7.3. Più in generale, anche il massimo organo nomofilattico ha di recente ribadito come sia “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

8. Quanto al diniego di protezione umanitaria (censurato con i motivi primo e terzo), si osserva innanzitutto che, sebbene il giudizio di inattendibilità espresso ai fini della protezione internazionale non precluda ex se la valutazione della protezione umanitaria (Cass. 2960/2020, 2956/2020, 8020/2020, 7985/2020, 10922/2019), è pur vero che esso può influire su quest’ultima, qualora le circostanze ritenute non credibili esauriscano il quadro fattuale sulla cui base deve effettuarsi il “riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 1040/2020, 23778/2019).

8.1. Nel caso di specie, la motivazione del giudice d’appello non si arresta al rilievo della non credibilità del ricorrente ma evidenzia, a pag. 5 e 6 della sentenza impugnata, l’insussistenza di seri motivi di carattere umanitario connessi a specifici profili di vulnerabilità personale, così come l’inidoneità, ad integrarli, della sola “situazione politico-economica del Mali” e l’insufficienza, ai fini del giudizio comparativo, della “documentazione attestante la frequentazione della scuola secondaria, la partecipazione al corso di formazione in falegnameria e la dichiarazione di un tirocinio presso la cooperativa (OMISSIS)”.

8.2. Tale motivazione risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere concesso solo “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019, Cass. 4455/2018, 630/2020) “atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6″ (Cass. 21584/2020, 4455/2018)”.

9. L’assenza di difese esonera dalla pronuncia sulle spese.

10. Ricorrono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater (Cass. Sez. U, 4315/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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