Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1060 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1060

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1996-2015 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S.TOMMASO

D’AQUINO 104, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GATTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROSALIA ELIANA RAFFA giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), PRESIDENZA DEL

CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 747/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/07/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

CONSIDERATO

Che:

A.G. conveniva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, l’Università degli studi di Messina e quella di Roma La Sapienza, esponendo di essersi laureato in medicina e chirurgia per poi specializzarsi nel 1985 in idrologia medica presso l’ateneo romano, e in seguito, nel 1992, in biologica clinica presso quello siciliano. Chiedeva la condanna delle controparti al pagamento della giusta retribuzione non percepita per il periodo di frequenza delle scuole di specializzazione, negli anni 1983-1991, quale infine prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991 n. 257, ovvero al risarcimento dei danni da tardiva o incompleta attuazione delle direttive CEE n. 75/362, 75/363, 82/76, 93/16;

il tribunale rigettava la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti, con pronuncia riformata dalla corte di appello che richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui la prescrizione era non quinquennale ma decennale – da inadempimento di una specifica obbligazione “ex lege” di natura indennitaria stante l’antigiuridicità alla stregua del solo ordinamento comunitario – decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 che aveva solo parzialmente colmato la lacuna determinando la borsa di studio spettante ai soli beneficiari, anteriori al recepimento dell'”acquis communautaire”, che fossero stati riconosciuti tali delle sentenze irrevocabili del giudice amministrativo. La corte territoriale desumeva quindi il parametro indennitario dalle indicazioni del citato decreto legislativo, e liquidava le somme annuali conseguenti, per la frequenza della scuola di specializzazione romana negli anni accademici 1983-1985. Rigettava, invece, per quanto qui rileva, la domanda quanto alla seconda specializzazione, ottenuta il 23 ottobre 1992, osservando che nè dalla citazione nè dagli ulteriori atti difensivi si poteva evincere in quali anni accademici fosse stata frequentata la relativa scuola. Rigettava, infine, la domanda nei confronti degli enti universitari ritenuti carenti di legittimazione passiva, confermando la complessiva compensazione delle spese statuita in prime cure, compensandole per il secondo grado nei rapporti con le Università, e facendole accedere alla soccombenza nel resto;

avverso questa decisione ricorre per cassazione A.G. formulando tre motivi e depositando memoria;

non hanno svolto difese gli intimati.

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., art. 116 c.p.c., artt. 1 e 2preleggi, art. 437 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 257 del 1991 e alla L. n. 370 del 1999, poichè la corte di appello, nel rigettare la domanda relativamente alla frequenza della scuola di specializzazione universitaria messinese per mancata specificazione del relativo periodo, avrebbe omesso di rilevare che quest’ultimo era determinato normativamente dal D.P.R. 11 marzo 1980 n. 353, contenente lo statuto dell’università in parola, con cui era stata stabilita la frequenza obbligatoria e almeno quadriennale ai fini in questione. Il giudice di secondo grado avrebbe pertanto potuto e dovuto desumerne quanto necessario, tenendo conto per un verso che la frequenza della suddetta scuola era stata successiva a quella della specializzazione conseguita a Roma nel 1985, e per altro verso che il diploma di specializzazione conferito a Messina era dell’ottobre del 1992. Ne deriverebbe anche l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, tenuto conto che in sede di appello, e relativa comparsa conclusionale, erano stati indicati gli anni coinvolti, dal 1987 al 1991. Infine, in caso di incertezza probatoria, il giudice di merito avrebbe potuto e dovuto esercitare in via integrativa i poteri istruttori officiosi;

con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, poichè la circostanza afferente alla durata del secondo corso di specializzazione e agli anni di suo svolgimento, comunque indicata in sede di appello secondo quanto riportato nella prima censura, non sarebbe stata oggetto di contestazione, in specie dall’Università interessata;

con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione degli artt. 91 e 116 c.p.c., poichè la riduzione del “quantum” rispetto al richiesto aveva determinato un contenimento delle spese, e poichè la corte di appello avrebbe errato nel confermare, senza motivazione, la compensazione delle spese del primo grado le quali avrebbero dovuto seguire la soccombenza secondo l’esito complessivo della lite;

Rilevato preliminarmente che:

il ricorso per cassazione è stato notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, all’avvocatura dello Stato distrettuale e non generale, con conseguente nullità della stessa notificazione, in assenza di svolgimento delle difese da parte degli intimati, e possibilità di suo rinnovo (Cass., Sez. U., 15/01/2015, n. 608);

al contempo, in forza del principio di ragionevole durata del processo, non deve disporsi la suddetta rinnovazione, poichè il ricorso dev’essere rigettato, secondo quanto rilevato di sèguito (cfr., ad esempio, Cass., 27/02/2017, n. 4917);

Rilevato altresì che:

i primi due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

parte ricorrente invoca, come visto, il principio “iura novit curia” in relazione al D.P.R. n. 353 del 1980, recante lo statuto dell’Università di Messina, contenente le descritte indicazioni sulla durata e sulla modalità di frequentazione del corso di specializzazione in discussione;

gli statuti universitari, anche prima della Legge di riordino 9 maggio 1989 n. 168, hanno natura regolamentare, essendo espressione dell’autonomia attuativa riconosciuta agli enti universitari dall’art. 33 Cost., comma 6 (cfr. Cass., Sez. U., 20/10/2017, n. 24876, pagg. 18-20);

ciò posto, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la natura di atto amministrativo osta all’applicabilità del principio “iura novit curia”, sicchè spetta alla parte interessata l’onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (Cass., 02/07/2014, n. 15065);

ne deriva che la produzione e correlativa allegazione solo in questa sede del regolamento statutario in parola, non può sopperire alle pregresse mancanze inerenti agli oneri assertivi e istruttori della parte;

la mancata allegazione rende irrilevante l’assunto afferente alla prospettazione inerente all’esercizio dei poteri giudiziali d’integrazione probatoria, sottesi all’art. 437 c.p.c., neppure applicabile non vertendosi in tema di rito del lavoro;

quanto all’ipotizzato omesso esame dell’allegazione indicata come avvenuta in appello – fermo che la corte territoriale ne rileva il difetto sin dalla citazione – collocato nella cornice dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la deduzione, mescolata ai diversi motivi, è comunque inammissibile perchè avrebbe integrato, in tesi, un errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4, qui non prospettabile, concretando un preteso errore percettivo su punto che il ricorso non dimostra essere stato discusso dalle parti, anzi presupponendone, proprio perciò, la mancata contestazione su cui si sta per dire;

tale mancata contestazione, al contempo, è oggetto di censura “parte qua” inammissibile, posto che non si specificano in ricorso – in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, – gli elementi da cui desumere le condotte processuali nelle quali si sarebbe concretata la non contestazione stessa, ad opera delle controparti, in specie di quelle riconosciute come destinatarie passive della eventuale obbligazione (Cass., 09/08/2016, n. 16655, punto 10, in un caso analogo);

ne discende che non vi è alcuna delle violazioni di legge prospettate;

va d’altra parte ribadito il principio per cui in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli invocati artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass., 12/10/2017, n. 23940) che qui si è visto non essere stato oggetto di idonea censura;

parimenti, è opportuno sottolineare che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura solamente se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 35). Profilo che, come visto, nella fattispecie deve del tutto escludersi;

il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

la prima parte della censura presuppone l’accoglimento delle prospettazioni dell’originario attore, che non vi era stato in sede di appello, come non vi è stato in questa sede;

la parte della censura afferente alla conferma della compensazione delle spese in primo grado, è invece preclusa dalla mancata impugnazione specifica della motivazione espressa sul punto dalla corte territoriale (cfr. pag. 14, primo capoverso, del ricorso, e punto 5 della sentenza impugnata). Motivazione peraltro ampiamente idonea, nel regime “ratione temporis vigente” (trattandosi di processo iniziato nel 2003), in quanto riferita all’evoluzione giurisprudenziale in materia, indice di difficoltà interpretative;

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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