Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10599 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. III, 30/04/2010, (ud. 22/01/2010, dep. 30/04/2010), n.10599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11571/2005 proposto da:

BO.GI. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato SASSANI

Bruno Nicola, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MORI FIEKGIOVANNI con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.R. (OMISSIS), C.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO 107, presso lo studio dell’avvocato NICOSTA Pietro,

rappresentati e difesi dall’avvocato MAGNOLFI ALBERTO con delega in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

B.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1341/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Prima Civile emessa il 21/05/2004; depositata il 29/09/2004;

R.G.N. 2345/A/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza de

22/01/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato BRUNO NICOLA SASSANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

Con atto di pignoramento trascritto nel (OMISSIS), la Cassa di Risparmio di Prato, titolare di un diritto di ipoteca volontaria dell’importo di L. 150 milioni, intraprese una procedura esecutiva nei confronti di due dei propri condebitori, B.R. e C.T..

A distanza di circa un anno, l’immobile oggetto di esecuzione venne acquistato da B.S., così che, il 27 settembre del 1994, l’istituto di credito dichiarò di rinunciare all’esecuzione, autorizzando, il successivo 17 ottobre, la cancellazione dell’ipoteca.

Alcuni giorni prima (il 20 settembre 1994) era peraltro intervenuta nella procedura Bo.Gi., anch’essa coobbligata nei confronti della Cassa, sostenendo di aver pagato a quest’ultima l’importo dovutole e di volersi conseguentemente surrogare nei diritti di quest’ultima verso gli altri condebitori, con riserva di depositare nel prosieguo la necessaria documentazione.

Il 21 ottobre 1994 l’acquirente dell’immobile, B.S., propose opposizione di terzo chiedendo la declaratoria di nullità e di inefficacia dell’intervento in quanto successivo al suo acquisto.

Nel prosieguo, ella eccepirà, in data 30.11.1995, la nullità dell’intervento Bo. per insussistenza del credito, poichè la quietanza prodotte nelle more da quest’ultima a dimostrazione del proprio credito risultava rilasciata per atto notarile datato 12.1.1995, in epoca, dunque, successiva di oltre tre mesi rispetto alla data dell’intervento.

Il contraddittorio venne esteso agli originari debitori esecutati, che, da un canto, contestarono entrambi l’ammissibilità dell’intervento della Bo., negando la veridicità della circostanza dell’avvenuto pagamento, da parte di quest’ultima, in favore della banca (onde l’impredicabilità di un suo diritto di rivalsa nei loro confronti), dall’altro, proposero opposizione ex art. 615 c.p.c. (trattata e decisa separatamente), ottenendo nelle more la sospensione dell’esecuzione.

Il giudice di primo grado dichiarò inammissibile l’intervento della Bo. e la nullità dei successivi atti processuali in quanto, all’epoca dell’intervento stesso, il credito non era ancora insorto, ritenendo nel contempo carente di legittimazione attiva Stefania B..

L’impugnazione proposta da Bo.Gi. (cui avrebbero resistito B.R. e C.M., mentre B. S. resterà in quel grado contumace) fu rigettata dalla corte di appello di Firenze.

La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi e illustrato da memoria.

Resistono con controricorso C.M. e B.R..

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il prima motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per omesso pronuncia su questione rilevabile d’ufficio e contestuale violazione dell’art. 324 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 342 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe “dichiarato estranea all’oggetto dell’appello la dirimente questione della concreta censurabilità dell’intervento esecutivo della ricorrente per violazione del termine perentorio previsto dal l’art. 617 c.p.c.”; prosegue poi specificando ancora che “la contestazione della ritualità dell’intervento era stata sollevata, molto tempo dopo l’intervento della Bo. nel processo esecutivo, da B. R. e C.M. a mezzo di domanda riconvenzionale nel giudizio di opposizione ex art. 619 c.p.c., instaurato da B. S. e conclusosi con declaratoria di carenza di legittimazione dell’opponente”.

Tanto premesso, il motivo scandisce il proprio iter argomentativo assumendo:

– Che la sentenza di primo grado si era limitata a dichiarare inammissibile l’intervento di Bo.Gi. motivando esclusivamente sulla mancanza, in capo ad essa, della titolarità del credito alla data dell’intervento;

– Che nessun giudicato, parziale o implicito, si era formato sulla questione del mancato rispetto del termine ex art. 617 c.p.c. (scilicet, della domanda riconvenzionale spiegata in primo grado dal B. e dalla C. che, contestando la legittimità dell’intervento Bo. nella procedura esecutiva, avrebbe dovuto seguire le forme – e rispettare i termini – dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., anzichè essere proposta in forma riconvenzionale) questione riproposta dall’appellante oggi ricorrente soltanto con la comparsa conclusionale e non con l’atto di appello, e per l’effetto ritenuta tardivamente proposta dal giudicante di secondo grado;

– Che, viceversa, la questione de qua era caratterizzata dalla sua irredimibile rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 499, 617 e 619 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Il motivo ripropone, illustrandola compiutamente, la questione della rilevabilità ex officio della decadenza conseguente al mancato rispetto del termine perentorio per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi.

Le doglianze, da esaminarsi congiuntamente attesane la intrinseca connessione, non meritano accoglimento.

Va preliminarmente condotta una operazione ermeneutica “ortopedica” dell’incipit del primo motivo, nella parte in cui la difesa Bo. discorre di “censurabilità dell’intervento esecutivo della ricorrente per violazione del termine previsto dall’art. 617 c.p.c.”.

Al di là della non felicissima esposizione letterale – che parrebbe riferire alla ricorrente tanto l’intervento esecutivo quanto la violazione del termine previsto dall’art. 617 c.p.c. – ritiene la corte che la questione di diritto oggi sottoposta al suo esame attenga alla ritualità quoad tempus dell’opposizione a tale intervento, spiegata, con domanda riconvenzionale, dagli odierni resistenti.

Posta in questi termini, la quaestio iuris pur acutamente e suggestivamente sollevata dalla difesa Bo. è priva di pregio.

La contestazione mossa all’intervento da parte del B. e della C., difatti, non può legittimamente ascriversi alla categoria dell’opposizione agli atti esecutivi – quella che legittima il debitore ad insorgere avverso l’intervento di un creditore in seno al procedimento di esecuzione sotto il profilo del mancato deposito del titolo giustificativo dell’intervento, così discutendosi esclusivamente della ritualità di un atto del procedimento (Cass. Sez. 1^, 3.7.1979, n. 3730) -, essendo stata, viceversa, sollevata, nella specie, una vera e propria quaestio nullitatis il cui contenuto si pone del tutto fuori dall’orbita delle contestazioni formali del titolo giustificativo del credito, afferendo di converso alla, stessa (in) esistenza del credito stesso astrattamente vantato dell’interveniente (inesistenza che induce il giudice d’appello a paventare addirittura la consumazione di una condotta penalmente rilevante in capo all’interveniente).

Ne consegue che, posta in tali termini, l’opposizione in riconvenzione proposta dai condebitori risulta del tutto svincolata dai termini iugulatori di cui all’art. 617 c.p.c., come correttamente opinato dal giudice toscano, al di là ed a prescindere, dunque, dalla doglianza di intempestività (doglianza di cui la corte fiorentina predica ad abundantiam l’inammissibilità per essere stata sollevata soltanto in comparsa conclusionale), al di là ed a prescindere dalla rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado dell’inosservanza del termine decadenziale de quo, al di là ed a prescindere da ogni questione sulla formazione, o meno, di una preclusione da giudicato (parziale) implicito formatosi all’esito del deposito della sentenza di primo grado.

Alle considerazioni suesposte consegue il rigetto per assorbimento del terzo motivo di ricorso, predicativo di una presunta preclusione processuale formatasi all’esito dell’intervento (in ipotesi, non tempestivamente opposto) della Bo. nel processo esecutivo.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 4200,00 di cui Euro 200,00 per spese generali/compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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