Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10596 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 22/04/2021), n.10596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35761-2018 proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V. VITO GIUSEPPE

GALATI 100-C, presso lo studio dell’avvocato ENZO GIARDIELLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLA SILANO;

– ricorrente –

contro

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ E RICERCA, (OMISSIS), MINISTERO DEL LAVORO DELLA SALUTE

E DELLE POLITICHE SOCIALI, (OMISSIS), MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE, (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 2864/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2011 T.F. convenne dinanzi al Tribunale di Roma il Presidente del consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione, il Ministero del lavoro, il Ministero della salute ed il Ministero dell’economia, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza della tardiva attuazione, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie che avevano imposto agli Stati membri l’obbligo di introdurre norme che prevedessero un’adeguata remunerazione dei medici specializzandi.

2. Il Tribunale di Roma con ordinanza pronunciata ex art. 702 bis c.p.c. del 24 settembre 2011 dichiarò prescritto il diritto vantato dall’attore.

La sentenza venne appellata dal soccombente.

3. Con sentenza 3 maggio 2018 n. 2864 la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame.

Ritenne la Corte d’appello, per quanto in questa sede ancora rileva, che una volta eccepita la prescrizione da parte delle amministrazioni convenute, l’attore non avesse dimostrato di averla validamente interrotta, in quanto a tal fine si era limitato a depositare gli avvisi di ricevimento di due raccomandate, spedite da un avvocato e non dal diretto interessato, dai quali non poteva desumersi la loro riferibilità alla posizione dell’appellante.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da T.F., con ricorso fondato su un solo articolato motivo.

Le amministrazioni sono rimaste intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, a violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo, solo formalmente unitario, sono formulate tre diverse censure così riassumibili:

-) una volta sollevata l’eccezione di prescrizione dalle amministrazioni convenute, l’attore aveva replicato ad essa depositando due atti interruttivi, rappresentati da due raccomandate spedite dai propri avvocati il 23 ottobre 1999 ed il 10 dicembre 2009; l’efficacia e la validità di tali atti interruttivi non era stata contestata specificamente da nessuno dei convenuti, sicchè l’avvenuta interruzione della prescrizione dovevano darsi per ammessa;

-) in ogni caso la Corte d’appello non poteva rilevare d’ufficio l’inidoneità o la insufficienza dei suddetti atti a dimostrare l’interruzione della prescrizione;

-) era irrilevante la circostanza (valorizzata invece dalla Corte d’appello) che i suddetti atti interruttivi fossero stati spediti non dall’interessato, ma da un avvocato, in quanto la prescrizione è sempre interrotta anche se la costituzione in mora del debitore avvenga a cura dell’avvocato, pur in assenza di una formale procura.

1.1. La prima delle suesposte censure è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6.

Denunciare infatti l’omesso rilievo, da parte del giudice di merito, di una condotta acquiescente della propria controparte processuale è un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda”sugli atti processuali nei quali la controparte prestò quell’acquiescenza che si assume erroneamente negletta dal giudice di merito.

Quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

Di questi tre oneri, il ricorrente non ha assolto validamente alcuno.

Il ricorso, infatti, non riassume nè trascrive i termini in cui le amministrazioni convenute replicarono – nella comparsa conclusionale di primo grado od in qualsiasi altro scritto difensivo – alla controeccezione di interruzione della prescrizione.

1.2. Ritiene il collegio opportuno aggiungere, ad abundantiam, che in ogni caso la censura di cui si discorre sarebbe stata anche infondata. Stabilire, infatti, se un atto dimostri o non dimostri che la prescrizione sia stata interrotta è una valutazione c.d. “mista di fatto-diritto”, perchè a tal fine è necessario valutare se è avvenuta una manifestazione di volontà (questione di fatto), e se essa sia conforme al modello legale (questione di diritto).

Per le questioni miste di fatto-diritto le SS.UU. hanno stabilito che “il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di meccanica conformazione” da parte del giudice al fatto non contestato; e che in ogni caso, “se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, a fortiori ciò vale per la valutazione della mancata contestazione” (così le Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016, p. 56 dei “Motivi della decisione”).

Pertanto la mancanza di contestazione sulla ricezione degli atti interruttivi non impediva al giudicante di valutare se i documenti prodotti del creditore fossero sufficienti a dimostrare l’interruzione della prescrizione.

1.2. Anche la seconda delle suesposte censure è infondata.

L’eccezione di interruzione della prescrizione, infatti, diversamente da quella di prescrizione, è un’eccezione in senso lato, e in quanto tale può essere rilevata anche d’ufficio (ex multis, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 14755 del 07/06/2018, Rv. 649249 – 01; Sez. L -, Ordinanza n. 9226 del 13/04/2018, Rv. 648637 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 18602 del 05/08/2013, Rv. 627483 – 01).

Se dunque è rilevabile d’ufficio l’avvenuta interruzione della prescrizione, allo stesso modo a fortiori, una volta che il creditore abbia replicato all’eccezione di prescrizione adducendo di averla interrotta, sarà consentito al giudice rilevare d’ufficio sia, in facto, l’assenza della prova di una effettiva interruzione; sia, in iure, l’inidoneità a produrre l’effetto interruttivo degli atti invocati a tal fine dal creditore.

1.3. La terza delle suesposte censure è inammissibile per difetto di rilevanza.

Vero è, infatti, che la prescrizione può essere interrotta anche da un incaricato o da un mandatario del creditore. Ma nel caso di specie la Corte d’appello non si è limitata a negare efficacia agli atti interruttivi sol perchè sottoscritti da un avvocato invece che dal creditore.

La Corte d’appello, invece, ha ritenuto carente la prova dell’avvenuta interruzione del decorso del termine di prescrizione per una ragione ben diversa, e cioè ritenendo che non fosse possibile stabilire se le lettere interruttive della prescrizione depositate dall’appellante, e spedite dall’avv. Forgione, si riferissero effettivamente ad un credito vantato da T.F., oppure a crediti vantati da altre persone.

E poichè tale ratio decidendi, per quanto detto, resiste alle altre censure contenute nel ricorso, diventa irrilevante la questione di diritto se la prescrizione possa essere interrotta dall’avvocato del creditore: anche a rispondere affermativamente, infatti, ciò non comporterebbe la cassazione della sentenza.

2. Non è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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