Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10596 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/06/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 04/06/2020), n.10596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34820-2018 proposto da:

G.E., M.F., FINANZIARIA EDITORIALE SRL, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA APPIA NUOVA 103, presso lo studio

dell’avvocato GABRIELLA ARCURI, rappresentati e difesi dall’avvocato

TERESA MARIA FAILLACE;

– ricorrenti –

contro

M.L.F., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 47, presso lo studio

dell’avvocato FILIPPO LATTANZI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati AURELIA ZICARO, VALERIO ZICARO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 768/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che, con sentenza resa in data 19/4/2018, la Corte d’appello di Catanzaro, in accoglimento dell’appello proposto da M.L.F., e in riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato la Finedit Finanziaria Editoriale s.r.l., M.F. e G.E., in solido tra loro, al risarcimento, in favore del Marranghello, dei danni dallo stesso subiti a seguito della diffusione, sul Quotidiano della Calabria, di talune pubblicazioni offensive della relativa reputazione;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come le pubblicazioni diffuse nel periodico gestito dagli originari convenuti dovessero considerarsi, in ragione del carattere inve-ritiero delle notizie propalate e dell’oggettiva idoneità delle stesse a ledere la dignità e l’immagine pubblica del M., suscettibili di integrare l’illecito denunciato dall’attore, con la conseguente liquidazione, in suo favore, delle somme individuate a titolo risarcitorio;

che, avverso la sentenza d’appello, la Finanziaria Editoriale s.r.l., G.E. e M.F., propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

che M.L.F. resiste con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., i ricorrenti hanno presentato memoria;

considerato che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 331 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso pur avendolo essi ricorrenti sollecitato – di integrare il contraddittorio nei confronti del Comune di San Lorenzo del Vallo, originario attore, senza, peraltro, nulla osservare sulla ridetta sollecitazione;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, preliminarmente, osserva il Collegio come – secondo quanto emergente dalle stesse indicazioni contenute nella sentenza impugnata (cfr. folio 1) – il Comune di San Lorenzo del Vallo agì nell’odierno giudizio, unitamente al M. (agente anche in proprio), per la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni asseritamente subiti da entrambi gli attori;

che, ciò posto, varrà osservare come, in coerenza al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’ipotesi della solidarietà attiva o passiva, tra più soggetti agenti o convenuti nel giudizio di risarcimento del danno, non comporti alcuna inscindibilità delle cause in fase di impugnazione, e non dà luogo all’applicazione dell’art. 331 c.p.c., in quanto ciascun danneggiato, così come può agire separatamente dagli altri danneggiati – e/o nei confronti di ciascuno dei danneggianti – per ottenere l’integrale risarcimento, così può proseguire il giudizio senza gli altri danneggiati, e/o contro uno solo dei danneggianti, omettendo di proporre impugnazione nei confronti degli altri, con l’effetto di scindere il rapporto processuale (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15040 del 15/07/2005, Rv. 584742 – 01);

che, pertanto, in nessuna omissione deve ritenersi incorso il giudice a quo nella mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di San Lorenzo del Vallo ai sensi dell’art. 331 c.p.c.;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente percepito il contenuto delle pubblicazioni oggetto d’esame, scorrettamente attribuendovi carattere inveritiero e natura diffamatoria;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo osserva il Collegio come la censura illustrata dai ricorrenti non contenga alcuna denuncia del paradigma di cui all’art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;

che, sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma (cioè dichiarando di non doverla osservare), o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016) (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione);

che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che, con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1126,2059, 2697 e 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente liquidato in via equitativa i danni in favore del M. in assenza di alcuna prova concreta a fondamento degli stessi;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, sul punto, osserva il Collegio come, con riguardo al preteso illegittimo esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 24070 del 13/10/2017, Rv. 645831 – 01);

che, nella specie, il giudice a quo, nell’aver legato la determinazione dell’importo liquidato alle circostanze costituite: dalla diffusione del quotidiano in ambito locale, dalla rilevanza del fatto in sè considerato, dal ruolo pubblico del danneggiato e dal comportamento degli offensori dopo il fatto, risulta aver dato conto in modo sufficientemente congruo del peso specifico attribuito ad ognuno degli indici valorizzati, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito (cfr., sul punto, Sez. 3 -, Sentenza n. 22272 del 13/09/2018, Rv. 650596 – 01);

che, peraltro, proprio attraverso il richiamo ai rilevati parametri concreti della diffusione degli scritti, della rilevanza del fatto in sè considerato, del ruolo pubblico del danneggiato e del comportamento degli offensori dopo il fatto, la corte territoriale risulta essersi correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa, il danno all’onore e alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, identificandosi il danno risarcibile, non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicchè la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima (v. Sez. 3 -, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017, Rv. 646634 – 04; Sez. 3 -, Ordinanza n. 13153 del 25/05/2017, Rv. 644406 – 02);

che, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.600,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge, da distrarsi in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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