Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10594 del 07/05/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10594 Anno 2013
Presidente: MIGLIUCCI EMILIO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

Esecuzione in
forma specifica —
Prescrizione diritto

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6364/07) proposto da:
COSTA BENEDETTO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avv.to Andrea Caronna del foro di Palermo e domiciliato presso la cancelleria della corte di
cassazione in Roma, piazza Cavour n. 1;
– ricorrente –

contro
DI GIORGIO GIOACCHINO, rappresentato e difeso dall’Avv.to Sebastiano Sanguedolce del foro
di Palermo, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, e domiciliato presso
la cancelleria della corte di cassazione in Roma, piazza Cavour n. 1;
– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1137 depositata il 7 novembre 2006.

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Data pubblicazione: 07/05/2013

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30 gennaio 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 15 febbraio 2001 Benedetto COSTA evocava, dinanzi al
Tribunale di Termine Imerese — Sezione distaccata di Corleone, Gioacchino DI GIORGIO
esponendo che il convenuto, con preliminare del 6.11.1987, gli aveva promesso in vendita la
metà indivisa di un immobile, sito in Bisacquino — Discesa Trappeto 5, per il prezzo di £.
25.000.000, interamente corrisposto alla data della stipula, e poiché il promittente venditore non
aveva voluto concludere l’atto pubblico, nonostante i ripetuti inviti e diffide, chiedeva pronuncia
costitutiva ex art. 2932 c.c., oltre alla condanna dello stesso al risarcimento dei danni.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale eccepiva la prescrizione dei
diritti nascenti dal preliminare per avere l’attore chiesto la stipula del definitivo solo in data
20.12.2000, il giudice adito, in accoglimento dell’eccezione, rigettava la domanda attorea.
In virtù di rituale appello interposto dal COSTA, con il quale lamentava che il giudice di primo
grado non avesse ritenuto valida ai fini dell’interruzione della prescrizione la diffida del 16.2.1998
(per errore materiale riportato l’anno 1988), la Corte di appello di Palermo, nella resistenza
dell’appellato, respingeva il gravame.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che la raccomandata del
9.2.1998, inviata dall’Avv.to Caronna al DI GIORGIO e a Lo Voi Angela faceva generico
riferimento a più scritture private stipulare fra le parti il 6.11.1987, né dal tenore della stessa
poteva evincersi una esplicita richiesta di adempimento del preliminare de quo. Ne conseguiva

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Capasso, che — in assenza delle parti costituite – ha concluso per il rigetto del ricorso.

che alla data del 20.12.2000 il termine decennale decorrente dal 28.2.1988 — data concordata
dalle parti per la stipula del definitivo — era ampiamente decorso.
Concludeva che del pari era da condividere la non ammissione della prova testimoniale articolata
dall’attore in primo grado giacchè mirava unicamente a provare la gestione da parte del DI

ininfluente ai fini del decidere il possesso del bene da parte del promittente venditore.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per
cassazione il COSTA, articolato su due motivi, al quale ha resistito il DI GIORGIO con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione per ciò che
attiene alla interpretazione della raccomandata inviata il 9.2.1998, perché avulsa dal contesto del
caso concreto, dovendosi interpretare l’espressione ‘definizione bonaria’ nel senso
dell’adempimento dell’obbligazione assunta, ossia la stipula dell’atto pubblico.

Premesso che la problematica relativa all’esposizione del c.d. momento di sintesi (omologo del
quesito: così Cass. 3 luglio 2011 n. 17950; Cass. 12 aprile 2011 n. 8315; Cass. Sez. Unite 20
maggio 2010 n. 12339; Cass. SS.UU. 25 novembre 2008 n. 28039; Cass. 7 aprile 2008 n. 8897;
Cass. 2007 n. 20603), necessario ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del
2006, art. 6, va ritenuta assolta nella “considerazioni conclusive” di cui alla pag. 13 del ricorso,
nel merito, la censura è priva di pregio.

La valutazione della corte territoriale in ordine alla efficacia interruttiva della lettera raccomandata
del 9 febbraio 1998, inviata dal COSTA ai DI GIORGIO-LO VOI, si fonda sul contenuto della
missiva, definita un “riferimento generico a più scritture private stipulate fra le parti il 6.11.1987”,
priva di esplicita richiesta di adempimento del contratto preliminare de quo. Le ulteriori

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GIORGIO del frantoio sito all’interno del fabbricato oggetto del preliminare, circostanza del tutto

circostanze menzionate dal ricorrente (quanto all’incertezza soggettiva, l’invio della lettera anche
alla LO VOI era giustificato dalla pattuizione con la stessa di convenzioni regolanti la costituzione
di una società di fatto avente per oggetto la proprietà e la gestione di un frantoio oleario, per cui
solo la richiesta inviata al DI GIORGIO aveva ad oggetto il rapporto de quo) non appaiono

costituenti presupposti della ritenuta prescrizione, si tratta di elementi che di per sè non
varrebbero ad escluderla, sempreché le espressioni usate nella lettera fossero tali da esplicitare
la chiara e univoca volontà del promissario acquirente diretta ad esigere l’adempimento
dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo.

Infatti, affinché un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione, a norma dell’art.
2943, quarto comma, c.c., esso deve contenere anche l’esplicitazione di una pretesa, vale a dire
una intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà
del titolare del credito, anche tramite il suo rappresentante, di far valere il proprio diritto nei
confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’efficacia interruttiva della prescrizione di un
atto proveniente dalla parte, che invochi la realizzazione di una propria pretesa, costituisce
indagine di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata (Cass. 19
gennaio 1993 n. 612, 19 gennaio 1995 nn. 561 e 563, 13 maggio 1999 n. 4749, 24 settembre
1999 n. 10504; anche Cass. 542 del 23 gennaio 1984, nn. 3096 del 1985, 12422 del 1995,
11318 del 1996), per cui non può essere sotto tale aspetto censurato l’assunto dei giudici
distrettuale, che hanno interpretato la missiva non come manifestazione inequivoca della volontà
di agire in giudizio, ma come generica richiesta per una “soluzione bonaria”, non idonea ad
integrare la costituzione in mora di cui all’art. 2943 1 c.c., la quale ha necessariamente carattere
istantaneo (ancora Cass. 1976/69, 9000/95; 11318/96).

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risolvere la questione nei termini prospettati dal COSTA, in quanto seppure indicano condizioni

Il primo motivo di ricorso deve essere dunque rigettato.

Il secondo motivo, con il quale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli
artt. 91 e 92 c.p.c. in quanto le spese processuali avrebbero dovuto essere poste a carico del

“Stabilisca la corte di cassazione se costituisce violazione dell’art. 92 c.p.c. la mancata
compensazione delle spese”.
Anche questa censura va rigettata.
Va innanzitutto chiarito che il testo dell’art. 92 c.p.c. che trova applicazione nella specie, ratione
temporis, è quello anteriore sia alla formulazione introdotta dalla legge n. 69 del 2009 sia nel
testo modificato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), (necessità di
esplicitare i giusti motivi), per cui la scelta discrezionale di compensare le spese processuali è
riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito (v. Cass.
SS.UU. 30 luglio 2008 n. 20598), anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni
specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso
siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a
sostegno della statuizione di merito (o di rito), che può essere censurata in sede di legittimità
quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione e tali da
inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale.
Nella specie, la motivazione data dai giudici di merito – che per entrambi i gradi di giudizio si sono
conformati al principio della causalità e soccombenza – si sottrae alle censure sollevate, avendo
fatto buon governo dei criteri affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, condivisa da
Collegio, secondo la quale, “In tema di regolamento delle spese processuali, e con riferimento
alla loro compensazione, poiché il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti
violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte
vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la

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promittente venditore o al più compensate per intero, pone il seguente quesito di diritto:

valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi
di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi.
Va altresì specificato che il giudice di merito può compensare le spese di lite per giusti motivi
senza obbligo di specificarli, e la relativa statuizione non è censurabile in Cassazione, poiché il

fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della
controversia” (v. Cass. 31 luglio 2006 n. 17457).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
Cassazione, che liquida in complessivi €. 1.700,00, di cui €. 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 30 gennaio 2013.

riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della

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