Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10593 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/04/2017, (ud. 05/04/2017, dep.28/04/2017),  n. 10593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29579/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’ AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati MASSIMO BOCCIA NERI,

ELISABETTA LANZETTA, CHERUBINA CIRIELLO e SEBASTIANO CARUSO;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO DA

CARPI, 6, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PIERPAOLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO CRESCIMBENE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 122/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 12/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte d’Appello di Perugia rigettava il gravame dell’INPS avverso la decisione di primo grado che aveva riconosciuto il diritto di C.S. all’assegno ordinario di invalidità dal novembre 2009, in dichiarata adesione alle conclusioni della relazione medico-legale d’ufficio espletata in seconde cure. La Corte addiveniva a tale decisione sul rilievo che l’assicurato presentava una riduzione a meno di un terzo della capacità lavorativa con riferimento alle mansioni anche da ultimo espletate (mansioni diverse da quelle che comportavano un costante contatto il pubblico) e che la patologia neoplastica diagnosticata, oltre che comportante un deficit di fonazione, incideva a livello socio relazionale per la tipologia ad evoluzione prognostica;

che di tale sentenza chiede la cassazione l’Inps, affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui ha opposto difese il C., con con troncorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2. che il ricorrente adduce che la sentenza impugnata è viziata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 222 del 1984, art. 1), in quanto la Corte d’appello di Perugia ha riconosciuto come attitudini valutabili ai fini dell’accertamento della riduzione della capacità lavorativa quelle correlate alle mansioni svolte in passato dal ricorrente e che hanno dato luogo alla posizione assicurativa dello stesso, e, in secondo luogo per avere tenuto conto delle tabelle ministeriali in materia di invalidità civile;

3. che il ricorso è qualificabile come inammissibile alla luce della recente pronunzia di questa Corte in relazione alla portata applicativa dell’art. 360 bis c.p.c. (Cass. s.u. 7155/2017);

che, invero, deve osservarsi che la capacità di lavoro dell’assicurato, alla quale fa riferimento la L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, ai fini della valutazione della sussistenza del requisito sanitario richiesto per l’attribuzione della prestazione previdenziale dell’assegno di invalidità, consiste nella idoneità a svolgere, in primo luogo, il lavoro di fatto esplicato (capacità specifica), ed inoltre tutti i lavori che l’assicurato per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali sia in grado di svolgere (capacità generica), i quali vengono in considerazione soltanto in caso di accertata inidoneità dell’assicurato allo svolgimento del lavoro proprio;

che la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, va, dunque, verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute. In tal senso si è già espressa in precedenza questa Corte (Cass. sez. lav. n. 3519 del 9/3/2001, Cass. 14.6.2002 n. 8596, Cass. 6.7.2007 n. 15265, Cass. 14.3.2011 n. 5964) che, tra l’altro, ha anche avuto modo di aggiungere che, ove la capacità dell’assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l’obbligo – prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali – di accertare anche l’incapacità dell’assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini;

che, in ogni caso, è costante l’orientamento della Corte in base al quale, ove nel giudizio in materia di invalidità pensionabile il giudice del merito si basi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e quella della parte;

che, pertanto, quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessita di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese e che nella specie l’accertamento della residua capacità lavorativa è stato correttamente eseguito dal Ctu officiato in seconde cure con riferimento alle diverse mansioni d’ufficio cui il C. era stato destinato in sostituzione di quelle svolte in passato (funzionario INPS alle convenzioni internazionali, addetto all’accoglienza e consulenza al pubblico e, successivamente all’intervento chirurgico di cordo-comrnisurectomia destra del settembre 2009, collocato ad un’attività d’ufficio in relazione alla quale erano state ugualmente riscontrate dall’ausiliare difficoltà connesse alla facile esauribilità vocale, con difficoltà a rispondere frequentemente alle telefonate ed a parlare con i colleghi e difficoltà socio relazionale quale conseguenza di una neoplasia grave per tipologia ed evoluzione prognostica);

che, quanto alla seconda censura, l’erroneo utilizzo delle tabelle di invalidità civile non viene adeguatamente censurato, rinvenendosi evidenti profili di inammissibilità nella mancanza di ogni riproduzione della parte della ctu nella quale asseritamente sarebbe stato fatto riferimento a tali parametri valutativi, senza considerare che ogni rilievo a ciò relativo avrebbe dovuto costituire l’oggetto di specifiche contestazioni mosse alla consulenza d’ufficio di secondo grado;

4. che, nella specie, il decisum della Corte territoriale, è coerente con il principio giurisprudenziale richiamato e che, pertanto, essendo da condividere nella sostanza la proposta del relatore, anche tenuto conto del contenuto della memoria del ricorrente, il ricorso va dichiarato inammissibile con ordinanza, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.;

5. che le spese del presente giudizio vanno poste a carico dell’INPS, soccombente, con attribuzione al difensore del C. dichiaratosi antistatano;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all’avv. Paolo Crescimbeni.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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