Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10593 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10593 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 28825-2014 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tcmpore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
SIMONE GIOVANNI, SIMONE ROSA, elettivamente domiciliati in
ROMA, V.LE DEI QUATMO VENTI 162, presso lo studio
dell’avvocato LAURA LUCIDI, che li rappresenta

e difende

Data pubblicazione: 23/05/2016

unitamente all’avvocato MARINA DE SIENA giusta procura in calce
al ricorso;

controticorrenti
avverso il decreto n. 55093/2010 R.G.V.G. della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/03/2016 dal Consigliere Dott. FELICE NIANNA.

kic. 2014 n. 28825 sez. M2 – ud. 08-03-2016

-2-

D’APPELLO di ROMA del 10/02/2014, depositato il 17/04/2014;

IN FATTO
Con ricorso del 21.5.2010 Giovanni e Rosa Simone adivano la Corte
d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al
pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo

avevano instaurato innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 17.4.2014 la Corte territoriale accoglieva la domanda,
condannando il Ministero al pagamento della somma di E 4.762,32 per
ciascun ricorrente, oltre interessi dalla domanda e spese.
Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero della Giustizia, in base
a tre motivi.
Resistono con controricorso Giovanni e Rosa Simone.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa
applicazione degli artt. 132 e 135 e.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 e.p.c.,
perché il decreto impugnato, sottoscritto dal presidente e dal consigliere
estensore, non reca in alcuna sua parte l’indicazione del secondo componente
del collegio giudicante.
1.1. – 11 motivo è infondato.
In più occasioni questa Corte ha avuto modo di distinguere, ai fini della
validità della sentenza, tra mancata o diversa partecipazione al collegio del
componente non tenuto alla sottoscrizione e omessa riproduzione del
nominativo di lui nell’epigrafe del provvedimento stesso.

3

2001, n. 89, a causa della durata irragionevole di una causa civile che essi

E’ stato, infatti, affermato che (anche nel procedimento tributario) la
mancata indicazione, in sentenza, per errore o caso fortuito, di un componente
il Collegio giudicante, non incide sulla giuridica esistenza e validità della
sentenza stessa, la quale risulta solo affetta da mero errore materiale

contemplata dagli artt. 287 e 288 c.p.c. (Cass. n. 546/01).
E ancora, che la nullità della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli
che hanno assistito alla discussione, che è insanabile e rilevabile d’ufficio ai
sensi dell’art. 158 c.p.c., può esser dichiarata solo quando vi sia la prova della
non partecipazione al collegio deliberante di un giudice che aveva invece
assistito alla discussione della causa e tale prova non può evincersi dalla sola
omissione, nella intestazione della sentenza, del nominativo del giudice non
tenuto alla sottoscrizione, quando esso sia stato invece riportato nel verbale
dell’udienza di discussione, sia perché l’intestazione della sentenza non ha
una sua autonoma efficacia probatoria riproducendo in effetti i dati del
verbale d’udienza, sia perché da quest’ultimo, facente fede fino a querela di
falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva espressa degli
stessi giudici a fine udienza di prendere la decisione in camera di consiglio,
nasce la presunzione della delibera della sentenza da parte degli stessi giudici
che avevano partecipato all’udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla
circostanza che, ai sensi dall’art. 276 c.p.e., tra i compiti del Presidente del
collegio vi è quello di controllare che i giudici presenti nella camera di
consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione. Ne
consegue che la omissione nella intestazione della sentenza del nome di un
giudice, indicato invece nel verbale anzidetto, si presume determinata da

eliminabile – come tale – con il ricorso alla procedura della correzione

errore materiale emendabile ai sensi degli articoli 287 e 288 c.p.e. (Cass. nn.
15879/10, 12352/09 e 2815/95).
In base a questi precedenti deve ribadirsi il principio per cui allorché
nell’intestazione della sentenza non sia stato riprodotto il nominativo del terzo

discussione o di precisazione delle conclusioni), non si configura alcuna causa
di nullità, quest’ultima potendosi ricollegare solo alla dimostrazione della
mancata partecipazione di lui alla decisione; il che però non corrisponde al
caso di specie.
2. – Il secondo motivo denuncia, in subordine, la violazione o falsa
applicazione degli artt. 75 e 101 c.p.c., in relazione all’art.360, n. 4 e.p.c., in
quanto nelle conclusioni dell’atto introduttivo del procedimento è stata chiesta
la condanna del Ministero al pagamento dell’equo indennizzo in favore di “De
Fazio Pietro”, persona diversa dai ricorrenti e che non risulta abbia mai preso
parte al giudizio presupposto. Di qui la nullità del ricorso per assoluta
incertezza sul soggetto agente.
2.1. – Il motivo è infondato, poiché prospetta null’altro che un errore
materiale, visto che non è in discussione né che la domanda di equa
riparazione sia stata proposta da Giovanni e Rosa Simone, né che il decreto
impugnato abbia provveduto solo in loro favore.
3. – Il terzo motivo, ulteriormente subordinato, lamenta la violazione degli
artt. 2 legge n. 89/01 e 112 c.p.e., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. Ove il
riferimento a “De Fazio Pietro” dovesse intendersi quale mero errore
materiale, il decreto impugnato risulterebbe altrimenti erroneo, poiché dagli
atti di causa risulta pacificamente acquista la circostanza che i ricorrenti
5

componente del collegio indicato nel verbale d’udienza (secondo i casi, di

avrebbero agito non già uti singuli, ma unitariamente e indistintamente quale
unica parte processuale nella sede del giudizio presupposto, stante l’identità
della posizione ivi assunta. Di conseguenza, il decreto impugnato, avendo
riconosciuto l’equo indennizzo in favore di ciascuno dei ricorrenti, è incorso

3.1. – Anche tale censura non ha pregio.
In materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, il
pregiudizio non patrimoniale eventualmente subito da più persone lese, che
non siano considerate dall’ordinamento come un soggetto unico ed autonomo,
non può essere liquidato unitariamente, poiché detto pregiudizio è qualificato
come personale dall’art. 6 par. I della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, sicché la relativa riparazione deve avere luogo in favore di
ciascuno dei danneggiati. (Cass_ mi. 3519/15 e 18683/05).
4. – In conclusione il ricorso va respinto.
5. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del
Ministero ricorrente, con distrazione in favore dei difensori antistatari.
6.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del

contributo, non si applica l’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito
dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12 (peraltro neppure applicabile alle
amministrazioni dello Stato: cfr. Cass_ nn. 1778/16 e 5955/14).

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero della Giustizia alle
spese, che liquida in C 700,00, di cui 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie
ed accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori antistatari.

t\

nel vizio di ultrapetizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile –

2 della Corte Suprema di Cassazione, P8.3.2016.

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