Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10593 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 22/04/2021), n.10593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34849-2018 proposto da:

M.I., A.S., A.M.A.,

C.P., P.D.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE SCIAMMARELLA;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, UNIVERSITA’

DEGLI STUDI DI MESSINA, in persona del Rettore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1132/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 22/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2002 A.S., A.M.A., C.P., P.D.L. e M.I. convennero dinanzi al Tribunale di Messina la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e l’Università di Messina, esponendo che:

-) dopo avere conseguito la laurea in medicina, si erano iscritti ad una scuola di specializzazione;

-) durante il periodo di specializzazione non avevano percepito alcuna remunerazione o compenso da parte della scuola stessa;

-) le direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE, avevano imposto agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta una adeguata retribuzione;

-) l’Italia aveva dato tardiva e parziale attuazione a tali direttive solo con la L. 8 agosto 1991, n. 257.

Conclusero pertanto chiedendo la condanna delle amministrazioni convenute al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della tardiva attuazione delle suddette direttive.

2. Con sentenza 28.4.2007 il Tribunale di Messina rigettò la domanda, ritenendo prescritto il diritto.

La suddetta sentenza fu appellata dai soccombenti.

3. Con sentenza 22.11.2017 n. 1132 la Corte d’appello di Messina accolse il gravame, e condannò la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dell’istruzione, in solido, al risarcimento del danno in favore degli attori, liquidato nella somma stabilita dalla L. n. 370 del 1999, art. 11.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dagli originari attori, con ricorso fondato su un solo motivo.

La presidenza del consiglio, il ministero dell’istruzione e dell’Università degli Studi di Messina hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.p.c.; nonchè “delle direttive 75 / 363 / CEE e 82/ 76/ CEE”.

Deducono che il criterio utilizzato dalla corte d’appello per la liquidazione del danno (e cioè quello previsto dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 pari ad Euro 6.713,94 per ogni anno di corso) sarebbe “in contrasto ed in violazione con il combinato disposto di cui agli artt. 2043 e 2056 c.p.c.”, nonchè col diritto comunitario e con la giurisprudenza della corte di giustizia dell’Unione Europea.

1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c..

La questione prospettata dai ricorrenti, infatti, da oltre dieci anni è stata ripetutamente affrontata e decisa da questa Corte in modo costante nel senso dell’infondatezza.

Già Sez. 3, Sentenza n. 21498 del 18/10/2011, stabilì che il risarcimento del danno dovuto ai laureati in medicina che, pur avendo frequentato il corso di specializzazione dopo il 31 dicembre 1982 (data di efficacia per gli Stati membri delle direttive comunitarie sopra ricordate), non percepirono alcuna remunerazione, “non può essere commisurato all’importo della borsa di studio così come introdotta e quantificata nel D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, che non ha acacia retroattiva ed è diretto ad individuare, secondo la discrezionalità del legislatore interno, la misura della retribuzione dovuta per le prestazioni fornite dai medici ipecializzandi. L’obbligazione scaturente dalla mancata attuazione di direttive, invece, non ha natura nè retributiva, nè risarcitoria, e non può dar luogo ad una riparazione integrale, desumibile dai criteri di calcolo della legge sopracitata. La suddetta obbligazione ha invece natura indennitaria e pararisarcitoria da quantificarsi scegliendo un parametro equitativo che sia fondato sul canone di parità di trattamento per situazioni analoghe. Tale parametro deve essere desunto dalle indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un parziale adempimento soggettivo nei confronti di tutte le categorie che, dopo il 31 dicembre 1982, si siano trovate nelle condizioni fattuali idonee all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, senza però essere ricompresi nel D.Lgs. n. 257 del 1991”.

In seguito, il principio è stato ribadito, ex multis, da Sez. L, Sentenza n. 10973 del 9.5.2013; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2689 del 6.2.2014; Sez. 3, Sentenza n. 8032 del 21.4.2016, e soprattutto dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 20348 del 31/07/2018).

Il ricorso trascura completamente di confrontarsi con le motivazioni contenute nelle suddette decisioni, e torna a riproporre senza alcun ulteriore sforzo argomentativo una tesi la cui infondatezza costituisce ormai ius receptum nella giurisprudenza di questa corte.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c..

2. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

La condanna va pronunciata unicamente nei confronti della Presidenza del consiglio e del Ministero dell’istruzione (con solidarietà attiva), dal momento che il difetto di legittimazione dell’Università degli Studi di Messina venne affermato dal giudice di merito con statuizione non impugnata, con la conseguenza che l’Ateneo non aveva interesse a resistere al ricorso per cassazione.

3. Il presente giudi7io è iniziato in primo grado nel 2002, ed il ricorso per cassazione è stato proposto nel 2018.

Ad esso pertanto è applicabile l’art. 385 c.p.c., comma 4, a norma del quale “quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all’art. 375, la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave”.

Tale norma è stata infatti aggiunta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 13 e, per espressa previsione dell’art. 27, comma 2, del medesimo decreto, si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, avvenuta il 2 marzo 2006.

L’art. 385 c.p.c., comma 4, è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 20.

Tuttavia, per espressa previsione dell’art. 58 della stessa legge, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile (..) si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, vale a dire dopo 4 luglio 2009.

Nel presente giudizio è pertanto applicabile ratione temporis l’art. 385 c.p.c., comma 4, (come già ritenuto da Sez. 3, Sentenza n. 22812 del 07/10/2013, Rv. 629023, in motivazione), in quanto:

(a) il ricorso per cassazione ha ad oggetto una sentenza pronunciata dopo il 2 marzo 2006;

(b) essendo il giudizio in primo grado iniziato prima del 4 luglio 2009, ad esso non si applica l’abrogazione dell’art. 385 c.p.c., comma 4, disposta dalla L. n. 69 del 2009.

V’è solo da aggiungere, per completezza ed a maggior conforto del principio di diritto che sarà espresso nei 55 che seguono, che il precetto già contenuto nell’art. 385 c.p.c., comma 4, per i giudizi introdotti dopo il 4 luglio 2009 non è stato soppresso, ma semplicemente trasferito nell’art. 96 c.p.c., comma 3 come novellato dalla citata L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12.

3.1. Chiarito ciò quanto alle norme applicabili, deve rilevarsi che gli odierni ricorrenti, nel proprio ricorso, hanno sostenuto una tesi giuridica contrastante con un consolidato e decennale orientamento di questa Corte, consolidatosi già sette anni prima dell’impugnazione per cassazione (notificata a novembre del 2018).

Azionare in giudizio una pretesa senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione; e comunque senza compiere alcun serio sforzo interpretativo, deduttivo, argomentativo, per mettere in discussione con criteri e metodo di scientificità il diritto vivente o la giurisprudenza consolidata, costituisce secondo questa corte una condotta gravemente colposa, per i fini di cui all’art. 385 c.p.c., comma 4 (ovvero, oggidì, art. 96, comma 3) (ex multis, Sez. U -, Sentenza n. 22405 del 13/09/2018, Rv. 650452 – 01; Sez. U -, Sentenza n. 9912 del 20/04/2018, Rv. 648130 – 02: Sez. 3 -, Sentenza n. 28658 del 30/11/2017, Rv. 646713 – 01).

Deve dunque concludersi che, dovendo ritenersi il ricorso oggetto del presente giudizio proposto quanto meno con colpa grave, i ricorrenti devono essere condannati d’ufficio al pagamento in favore delle amministrazioni intimate, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata in base al valore della controversia.

Tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. in misura di Euro 2.500, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna A.S., A.M.A., C.P., P.D.L. e M.I., in solido, alla rifusione in favore di Presidenza del consiglio e del Ministero dell’istruzione (in solido dal lato attivo) delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna A.S., A.M.A., C.P., P.D.L. e M.I., in solido al pagamento in favore di Presidenza del consiglio e del Ministero dell’istruzione (in solido dal lato attivo) della somma di Euro 2.500;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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