Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10590 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/04/2017, (ud. 08/03/2017, dep.28/04/2017),  n. 10590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5834/2015 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIPRO 77,

presso lo studio dell’avvocato GERARDO RUSSILLO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO, dell’azienda,

rappresentata e difesa dall’avvocato STELLARIO VENUTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5942/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’8/03 /2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. con ricorso al Giudice del lavoro di Roma, D.R. conveniva in giudizio la Poste Italiane S.p.A. chiedendo l’accertamento della nullità del tennine apposto al contratto di lavoro concluso inter partes – per il periodo 9.11.2010 – 31.1.2011, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per lo svolgimento dell’attività di “portalettere junior”;

2. il primo Giudice rigettava la domanda e la Corte di appello di Roma (erroneamente indicando, nell’intestazione della sentenza impugnata, ” D.R.”), confermava tale pronuncia;

3. ritenevano i giudici di appello che, con l’introduzione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, il Legislatore, salvaguardando il principio di regola-eccezione, avesse solo previsto precisi limiti temporali e quantitativi nonchè obblighi di comunicazione, nella specie rispettati;

4. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la ricorrente propone ricorso per cassazione fondato su due motivi;

5. Poste Italiane S.p.A. resiste con controricorso;

6. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

7. è manifestamente infondato il primo motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 2, comma 1-bis nonchè della direttiva 1999/70/CE, assumendo che la Corte capitolina avrebbe errato nel ritenere che quella prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, costituisca una disciplina speciale tale da rendere non necessaria la specificazione delle ragioni dell’assunzione a temine e che tale disposizione, così come interpretata, oltre a costituire una forma di abuso di posizione dominante, si porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria in materia come contenuta nell’Accordo Quadro (ed in particolare nella clausola di non regresso di cui al punto 8 n. 3) realizzando un arretramento di tutela per i lavoratori a tempo determinato;

8. la sentenza impugnata risulta corretta alla luce dei principi affermati da questa Corte in materia (tra le più recenti, v. Cass. sez. sesta-L 22 dicembre 2016, n. 26678), e cioè che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, aggiunto dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558, ha introdotto, per le imprese operanti nel settore postale, un’ipotesi di valida apposizione del termine autonoma e speciale rispetto a quelle stabilite dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1;

9. come precisato da questa Corte (cfr. da ultimo Cass., Sez. U., 31 maggio 2016, n. 11374) le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del comma 1 dell’art. 1 del medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata “ex ante” direttamente dal legislatore. Così, al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali, percentuali (sull’organico aziendale) e di comunicazione previsti del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non operando l’onere di indicare sotto il profilo formale e di rispettare sul piano sostanziale la causale, oggettiva e di natura temporanea, giustificatrice dell’apposizione di un termine al rapporto (Cass. 26 luglio 2012, n. 13221; Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2324nonchè la già citata Cass., Sez. un., 31 maggio 2016, n. 11374);

10. del pari è stato, già, evidenziato come una tale interpretazione della norma abbia trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, la quale ha ritenuto la stessa conforme all’ordinamento comunitario ed escluso ogni manifesta irragionevolezza della norma in questione nonchè ogni profilo di incostituzionalità rispetto ai principi di cui all’art. 3 Cost., proprio sottolineando che la garanzia alle imprese, nei limiti percentuali previsti, di una sicura flessibilità dell’organico, è direttamente funzionale allo scopo previsto nella direttiva 1997/67/CE (distinto da quello dell’attuazione dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE) ed all’onere gravante su tali imprese di assicurare al meglio lo svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonchè la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica i quali costituiscono attività di preminente interesse generale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio);

11. tale impostazione ha trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea – cfr. ordinanza n. 20 dell’11 novembre 2010 – Vino Cosimo Damiano contro Poste Italiane S.p.A.);

12. la legittimità della norma in esame è stata ritenuta conforme anche ai canoni costituzionali (artt. 101, 102 e 104 Cost.), essendo stato osservato che la norma censurata si limita a richiedere requisiti diversi rispetto a quelli valevoli in generale (non già l’indicazione di specifiche ragioni temporali, bensì il rispetto di una durata massima e di una quota percentuale dell’organico complessivo), per cui il giudice ben può esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza in concreto di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale;

13. nelle sopra citate decisioni della Corte di legittimità è stato, altresì, evidenziato che il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1-bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, ciò in coerenza con la “ratio” della disposizione, nei termini sopra specificati;

14. manifestamente infondato è anche il secondo motivo, con il quale la parte ricorrente, denunciando violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, in riferimento al limite “percentuale circa la valutazione della prova”, assume che la Corte territoriale avrebbe violato la norma del codice civile sulla distribuzione dell’onere della prova con riferimento al rispetto di tale clausola, cioè alla percentuale massima di assunzioni a tempo determinato fissata dalla legge ed in particolare sostiene che i giudici di appello, affermando che la lavoratrice non avrebbe formulato alcuna eccezione in ordine al rispetto del limite percentuale imposto dalla legge, si sarebbero posti in contrasto con la giurisprudenza di legittimità per cui è onere del datore di lavoro, ex art. 2697 c.c., trattandosi di fatto costitutivo del potere di assumere a termine col regime di favore adottato, fornire la prova del rispetto della percentuale di contingentamento del quindici per cento; evidenzia, infine, sul punto che nessuna valida prova era stata fornita da chi ne era onerato e che in particolare non era stato verificato il rispetto della percentuale in rapporto all’organico aziendale inteso quale “full time equivalent”;

15. nella sentenza della Corte di appello non si sostiene nè che l’onere della prova del rispetto dei limiti in percentuale delle assunzioni a termine non fosse a carico del datore di lavoro, nè che la lavoratrice ricorrente avesse l’onere di eccepire il superamento di detto limite e non avesse formulato tale eccezione;

16. la sentenza si limita a ricordare che il giudice di primo grado aveva ritenuto provato il rispetto del limite relativo alla percentuale massima di assunzioni a termine previsto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, sulla base della documentazione prodotta dalla società rispetto) alla quale la ricorrente si era limitata ad una contestazione del tutto generica e che le critiche al criterio di calcolo utilizzato dal Tribunale non risultavano efficacemente e tempestivamente formulate;

17. a fronte, dunque, della produzione di documentazione da parte della società oneratane, andava fatta applicazione della regola processuale secondo la quale, nel processo civile (così come nel rito del lavoro) non occorre la prova dei fatti che, allegati da una parte, non siano stati espressamente contestati dalla controparte (Cass. 4 dicembre 2007, n. 25269) (cfr., Cass., sez. sesta-L n. 26678/2016 cit.);

18. il ricorso va rigettato;

19. le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della parte ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo;

20. il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità per l’anno 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”;

21. la suddetta condizione sussiste nella fattispecie in esame.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come

per legge e rimborso spese forfetario nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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