Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10584 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/04/2017, (ud. 08/03/2017, dep.28/04/2017),  n. 10584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6715-2016 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 280/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/03/2017 dal Consigliere Dott. GHINOY PAOLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO0

che:

1. la Corte d’appello di Catania, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra Poste italiane s.p.a. e C.M.F. per il periodo dal (OMISSIS), dichiarava che il rapporto era sin dall’origine a tempo indeterminato e condannava Poste alla riammissione in servizio della lavoratrice ed a corrisponderle un importo pari a n. 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi di legge e rivalutazione monetaria.

2. La clausola limitativa del termine era stata apposta per “esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002”.

La Corte d’appello argomentava che, sebbene la causale fosse sufficientemente specificata con il riferimento agli accordi collettivi, tuttavia nel caso Poste non aveva fornito prova idonea a dimostrare l’effettiva ricorrenza in concreto delle dichiarate esigenze, e, segnatamente, la sussistenza del collegamento causale tra le richiamate procedure e l’assunzione dell’appellante nella specifica realtà produttiva di destinazione, ovvero il numero, reale o stimato, dei lavoratori da “riposizionare” nella provincia di Catania ed il numero di contrattisti a termine assunti, tra cui la C.. Riteneva poi che non potesse applicarsi la riduzione dell’indennizzo prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6, in quanto gli accordi sindacali prodotti da Poste riguardavano un periodo successivo all’instaurazione del giudizio di primo grado, sicchè non sussisteva la possibilità della lavoratrice di aderirvi in alternativa alla promozione del contenzioso giudiziario.

3. Per la cassazione della sentenza Poste italiane S.p.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi; C.M.F. è rimasta intimata. Poste ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma

semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. come primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 20, e degli artt. 2697 e 1362 c.c., assumendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova non tenendo conto del mutato quadro normativo di riferimento alla luce del quale il datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere probatorio circa le ragioni che avevano indotto le parti alla stipula di un contratto a termine, essendo ciò limitato esclusivamente alle esigenze legittimanti la (eventuale) proroga dello stesso. E, comunque, la sussistenza delle esigenze organizzative poste a fondamento del contratto a termine de quo sarebbe stata dimostrata attraverso il richiamo per relationem al contenuto degli Accordi aziendali indicati nella clausola appositiva del termine.

2. Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 244 e 253 c.p.c., art. 437 c.p.c., comma 2, nella parte in cui la Corte territoriale non ha ritenuto di ammettere la prova testimoniale dedotta nella memoria di costituzione di primo grado, reiterata in grado di appello, idonea a fornire adeguata dimostrazione delle concrete esigenze sottese alla singola assunzione, tenuto anche conto della facoltà concessa al giudice ex art. 253 c.p.c., di chiedere ai testi chiarimenti e precisazioni e del suo potere/dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione.

3. Come terzo motivo, Poste deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6 e dell’art. 1362 e ss. c.c. e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto inapplicabile il dimezzamento dell’indennità risarcitoria pur a fronte della produzione dell’accordo sindacale del 13/1/2006, cui la lavoratrice avrebbe potuto aderire, con conseguente rinuncia al giudizio ed inserimento nella graduatoria nazionale dalla quale Poste si impegnava ad attingere per la stipula di futuri contratti di lavoro a tempo determinato o indeterminato.

4. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

Questa Corte ha in più occasioni ribadito (Cass. 27/4/2010 n. 10033 e 11/02/2015 n. 2680) che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.

Con riguardo a questi ultimi, nei richiamati arresti si è altresì chiarito che “seppure nel nuovo quadro normativo… non spetti più un autonomo potere di qualificazione delle esigenze aziendali idonee a consentire l’assunzione a termine, tuttavia, la mediazione collettiva ed i relativi esiti concertativi restano pur sempre un elemento rilevante di rappresentazione delle esigenze aziendali in termini compatibili con la tutela degli interessi dei dipendenti, con la conseguenza che gli stessi debbono essere attentamente valutati dal giudice ai fini della configurabilità nel caso concreto dei requisiti della fattispecie legale”.

5. Tale attenta valutazione è stata effettuata dalla Corte di merito, che alla pg. 7 della sentenza ha evidenziato come dagli accordi aziendali richiamati nella clausola appositiva del termine si evincesse l’attivazione di processi di mobilità, realizzati al fine di riequilibrare la distribuzione su tutto il territorio nazionale del personale all’interno dell’azienda nonchè, quanto alle mansioni, da posizioni sovradimensionate, in genere di staff, verso il servizio di recapito, carente di personale. Si evinceva altresì che le parti collettive, pur a fronte della decisione di ricorrere all’assunzione gli apprendisti per le carenze del settore recapito a partire dal febbraio del 2002, avevano autorizzato Poste a continuare ad avvalersi delle assunzioni a termine durante tali processi. Ha tuttavia aggiunto che la società non aveva assolto l’onere probatorio a suo carico, in quanto si era limitata a dimostrare l’esistenza in generale della persistenza del processo di mobilità interna, ma non aveva fornito la prova dell’incidenza di tale situazione anche nella realtà produttiva di destinazione della lavoratrice. Nella specie, la ricorrente contesta la valutazione “di genericità” di un capitolo della prova testimoniale richiesta (il n. 32), che nella sentenza risulta giustificata da congrua e logica motivazione (in quanto il capitolo di prova non specificava quali o quanti dipendenti a tempo indeterminato dell’unità produttiva cui era addetto il lavoratore fossero coinvolti e con quali modalità nella fase attuativa della procedure di mobilità) sicchè la contestazione finisce con il risolversi nell’ inammissibile prospettazione di un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti (in fattispecie analoga così Cass. ord., 24/03/2016 n. 5942).

6. Infine, la Corte ha dato contezza del mancato esercizio dei poteri istruttori, argomentando che l’indispensabilità dell’iniziativa o officiosa deve essere volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa. Il motivo finisce quindi con l’esprimere un mero, quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze probatorie effettuate dalla Corte d’appello, anzichè evidenziare la scorrettezza giuridica e la incoerenza logica delle argomentazioni svolte nella impugnata sentenza.

7. Il terzo motivo è parimenti infondato, pur dovendosi correggere la motivazione adottata in proposito dalla Corte territoriale.

Questa Corte ha chiarito che “la presenza di contratti o accordi collettivi che prevedano l’assunzione anche a tempo indetetininato di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie deve essere effettiva in relazione alla fattispecie concreta, e non già ipotetica o astratta” (Cass. ord., 05/05/2016 n. 8999, Cass. 11/02/2014 n. 3027).

Nel caso, non ricorrevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 32 cit., comma 6, non avendo Poste Italiane s.p.a. provato l’operatività, in epoca successiva all’ entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, di specifici contratti ovvero accordi nazionali, territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali più rappresentative che prevedessero graduatorie per gli assunti a termine, alle quali attingere in caso di assunzioni a tempo indeterminato (v. sul punto v. Cass. 31/01/2017 n. 2369, ord.).

Gli accordi valorizzati da Poste erano stati stipulati infatti in data 13.1.2006, e dallo stesso testo riportato nel ricorso si evince che l’adesione doveva essere effettuata entro il 15 maggio 2006: non si trattava quindi di accordi stipulati ai sensi e per gli effetti della L. del 2010 o ancora operanti dopo la sua entrata in vigore, sicchè la lavoratrice non era stata posta concretamente in grado di scegliere se aderirvi o ottenere l’indennizzo in misura ridotta. Deve infatti rilevarsi che la Corte Costituzionale nella sentenza l’11 novembre 2011 n. 303 ha affermato che la dimidiazione del limite superiore dell’indennità ai sensi dell’art. 32, comma 6 si giustifica in ragione del favor del legislatore per i percorsi di assorbimento del personale precario disciplinati dall’autonomia collettiva, ma tale giustificazione può valere solo laddove la disposizione costituisca un incentivo all’utilizzo di tali percorsi di assorbimento ancora percorribile al momento dell’entrata in vigore della novella, altrimenti traducendosi in una sorta di penalizzazione per i dipendenti che non vi abbiano dato seguito, ignari di quelle che sarebbero state le conseguenze negative della mancata adesione, nè possano più farlo.

8. Segue coerente il rigetto del ricorso. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata.

9. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, del introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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