Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10582 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 13/05/2011), n.10582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

N.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 87/2005 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 09/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’ufficio distrettuale delle imposte dirette di Bologna, sulla premessa che N.R. non aveva presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno 19 84, accertò, con metodo sintetico, il reddito complessivo del medesimo, per l’anno in questione, in L. 295.000.000, pari al 50% del documentato valore di acquisto di un appezzamento di terreno con sovrastanti fabbricati colonici, posto in (OMISSIS).

N. propose dapprima ricorso contro l’avviso di accertamento, con esito negativo, e quindi appello avverso la decisione della commissione tributaria provinciale di Bologna, deducendo in tal caso, e per quanto unicamente ancora rileva, che l’investimento dovesse andare spalmato in quote costanti nell’anno in questione e nei cinque anni anteriori.

In parte qua l’appello venne accolto dalla commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, la quale, con sentenza in data 9.9.2005, applicato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, rideterminò in euro 50.785,00 il reddito complessivo di N. relativo all’annualità in contestazione.

Per la cassazione di questa sentenza propongono ricorso il Ministero dell’economia e l’agenzia delle entrate, articolando un motivo di censura. L’intimato non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – E’ inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’economia e finanze, che non fu parte degli anteriori gradi di merito e che è soggetto distinto dall’agenzia fiscale, ente a sua volta dotato di autonomia soggettiva di diritto pubblico ex D.Lgs. . 300 del 1999.

Risulta dalla sentenza esservi stata, negli anteriori gradi di merito, assunzione in via esclusiva, da parte dell’agenzia delle entrate, della gestione del contenzioso, con conseguente spettanza a essa soltanto dell’esercizio dei correlati poteri processuali in ordine all’impugnazione in sede di legittimità (per tutte, sez. un. 2006/3116).

2. – Con unico motivo parte ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 dell’art. 11 preleggi e dell’art. 3 dello statuto del contribuente.

Ascrive alla commissione territoriale di aver errato nell’applicare alla fattispecie una norma non in vigore ratione temporis, siccome vigente dal 1.1.1992; mentre afferma che, per l’anno in contestazione, nessun limite normativo era apposto al risultato dell’accertamento sintetico, legittima essendo finanche l’imputazione dell’intero reddito al periodo di manifestazione della capacità di spesa.

3. – Il motivo è fondato.

La fattispecie che ne occupa, siccome relativa a un accertamento sintetico attinente all’anno d’imposta 1984 (chiaramente affetto da errore materiale essendo, alla luce della narrativa contenuta, il frontespizio dell’impugnata sentenza, là dove è mentovato un avviso di accertamento “Irpef + Ilor 1994”), è soggetta al disposto D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, nella sua versione originaria, a fronte del testo invece emendato dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1.

Trattandosi di norma di carattere sostantivo, nessun rilievo possiede la circostanza, valorizzata dal giudice di merito, di essere stato il rapporto (processuale) pendente alla data di entrata in vigore della riferita modifica.

Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, nel testo (applicabile ratione temporis) anteriore alle modifiche introdotte L. 30 dicembre 1991, n, 413, non conteneva alcuna previsione in ordine alle modalità di imputazione del reddito accertato in via sintetica, sulla base di fatti certi derivanti da spese per incrementi patrimoniali. E nella giurisprudenza della Corte è netta l’affermazione che, pertanto, a differenza dell’attuale disciplina di cui all’art. 38 cit., comma 5 – la quale prevede una presunzione di imputabilità, salvo prova contraria, in quote costanti, all’anno in cui la spesa è stata effettuata e ai cinque precedenti – qualunque imputazione del maggior reddito (al periodo d’imposta in cui il fatto certo si fosse verificato, ovvero a periodi precedenti) risultava, alla luce di quel testo, in astratto legittima, “potendo l’ufficio avvalersi di ragionevoli ipotesi circa l’entità del reddito occulto, anche in relazione alla quota del reddito stesso verosimilmente destinata al risparmio, secondo un criterio orientativo pratico in base al quale le spese effettuate dal contribuente in un determinato anno sono imputabili a redditi conseguiti negli anni precedenti (principio della cosiddetta quota risparmio)” (v. Cass. n. 14093/2007; n. 6618/2002). In tale contesto, era difatti comunque consentita al contribuente la possibilità di offrire la prova contraria, che la capacità di effettuare una determinata spesa potesse attribuirsi, con eguale probabilità, non al reddito prodotto nello stesso anno (o comunque nello stesso periodo d’imposta) dell’accertamento fiscale, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti (v. già Cass. n. 10979/1990).

4. – Nella specie, l’amministrazione non ha imputato per intero la spesa (L. 590.000.000) all’anno in cui è stata effettuata, ma l’ha distribuita in due anni, ponendo in essere l’accertamento sintetico per il 1984 con imputazione a questo del 50% di quella spesa.

Così facendo, l’amministrazione finanziaria ha rispettato il senso della disposizione in essere, stante che nessun obbligo di distinta imputazione essa aveva con riferimento all’anno di accertamento, e posto che gravava sicuramente sul contribuente l’onere di provare come e perchè quell’incremento patrimoniale (certo nella sua esistenza) si fosse verificato in anni ancora anteriori.

Appare in siffatta prospettiva essenziale la considerazione che la sentenza ha affermato – con accertamento di fatto immune da censura (da parte dell’interessato N.) – che la dichiarazione genitoriale, allegata all’appello, intesa a evidenziare un intervento finanziario della famiglia a favore del figlio, era da ritenere “priva di pregio perchè non supportata da alcun riscontro documentale”.

5. – il ricorso per cassazione va quindi accolto per le ragioni sopra esposte.

Alla pronuncia può conseguire la decisione di questa Corte nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 c.p.c., comma 2).

L’impugnazione contro l’avviso di accertamento deve, in tal senso, essere rigettata.

Le spese processuali, nel rapporto con l’agenzia, seguono la soccombenza, potendo essere invece compensate, per giusti motivi, quelle del giudizio di cassazione nel rapporto col Ministero.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e finanze, compensando le spese del giudizio di cassazione nel rapporto con l’intimato;

accoglie il ricorso dell’agenzia delle entrate; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione avverso l’avviso di accertamento;

condanna l’intimato alle spese processuali sostenute dall’agenzia delle entrate, che liquida in Euro 1.800,00 (di cui Euro 1.000,00 per onorari) per ciascuno dei gradi di merito e in Euro 6.000,00 per il giudizio di cassazione, oltre in tutti i casi al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio Sezione Quinta Civile, il 9 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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