Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10580 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 30/04/2010), n.10580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

L.L., residente in via (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 27/07/06, depositata in data 30.8.06,

notificata il 19.9.2006, della Commissione tributaria regionale della

Sardegna udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 22.10.09 dal Consigliere Dott. CARLEO Giovanni;

Udito il P.G. in persona del Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.L., medico – libero professionista, premesso di aver presentato quattro distinte istanze volte ad ottenere il rimborso delle somme versate a titolo di Irap dal 1998 al 2001 presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Cagliari avverso il relativo silenzio – rifiuto serbato dall’Amministrazione.

La Commissione adita rigettava il ricorso.

Proponeva appello il contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Sardegna accoglieva l’impugnazione.

Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima doglianza, svolta dall’Agenzia, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, commi 1 e 3, art. 18, commi 3 e 4), si fonda sulla premessa che sia nel primo grado di giudizio che nel secondo non era stato rilasciato al difensore alcun mandato e che alla mancanza di procura conseguiva il difetto di sottoscrizione del ricorso introduttivo.

Ne’ valeva eccepire che l’atto recasse la sottoscrizione anche del contribuente posto che trattandosi di causa di valore superiore a Euro 2.582,00 il ricorso avrebbe dovuto essere necessariamente sottoscritto da un difensore abilitato.

La doglianza non coglie nel segno.

Al riguardo, a parte la circostanza che, nel processo tributario, la mancanza di autenticazione, da parte del difensore, della firma apposta dal contribuente per procura in calce od al margine del ricorso introduttivo non determina la nullita’ dell’atto, a meno che la controparte non contesti espressamente l’autenticita’ della sottoscrizione (Cass. 6591/08), giova aggiungere che l’assistenza di un difensore tecnico non e’ condizione di ammissibilita’ degli atti processuali, ma e’ solo fonte di un dovere per il giudice adito di invitare le parti a munirsi di idonea assistenza, derivando l’inammissibilita’ solo dall’inottemperanza di detto ordine;

ne consegue che la sentenza che accolga il ricorso del contribuente, senza rilevare il difetto di rappresentanza, non e’ nulla, in quanto il solo contribuente ha un interesse giuridicamente tutelato a rilevare la mancata emanazione dell’invito (Cass. n. 5255/08).

Del resto, in ordine alle conseguenze giuridiche ricollegabili alla presentazione del ricorso tributario che introduca controversia di valore eccedente cinque milioni delle vecchie lire, le Sezioni Unite, hanno ribadito la validita’ della soluzione interpretativa, offerta dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 189 del 13/06/2000 e n. 520 del 2002 e con l’ordinanza n. 158 del 2003, secondo la quale l’inammissibilita’ del ricorso deve intendersi riferita soltanto all’ipotesi in cui sia rimasto ineseguito l’ordine dei Presidente della Commissione, della sezione o del collegio, rivolto alle parti diverse dall’amministrazione, di munirsi, nel termine fissato, di assistenza tecnica, conferendo incarico a difensore abilitato,(Cass. n. 21459/09).

Passando all’esame delle due successive doglianze, deve rilevarsi che la prima di esse, articolata sotto il profilo della il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 144, D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36) nonche’ dell’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio, si fonda sulla premessa che la C.T.R. avrebbe errato in quanto il presupposto impositivo dell’Irap dell’autonoma organizzazione non implica necessariamente l’impiego di capitali e beni strumentali e/o lavoro altrui.

Inoltre, — ed in tale rilievo si sostanzia la successiva doglianza, articolata sempre sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 4 e 8) – la C.T.R. avrebbe errato perche’ la sua interpretazione comporterebbe l’esclusione dalla soggettivita’ passiva IRAP di tutte le attivita’ protette determinando una inammissibile riduzione della portata della norma per circoscriverne la portata ai soli casi in cui l’esercizio della professione costituisca elemento di un’attivita’ organizzata in forma di impresa.

I due motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo sostanzialmente profili di censura connessi fondati sul comune presupposto dell’erroneita’ della valutazione effettuata dalla Commissione di merito circa l’insussistenza di autonoma organizzazione da parte del contribuente.

Cio’ posto, premesso che il presupposto dell’imposta in esame deve essere individuato nella capacita’ produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista, cioe’ in quella struttura organizzativa che – al di la’ dei mezzi indispensabili al mestiere – risulti in grado di realizzare un “incremento potenziale” della produttivita’ derivante dalla mera “auto organizzazione” del lavoro personale (Cass. 7899/07), mette conto di sottolineare che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, “il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita’ ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni. (Sez. Un. n. 12113/09, n. 12108/09, n. 8177/07, n. 3677/07).

Cio’ premesso, giova sottolineare che nella vicenda in esame il giudice di merito ha escluso la ricorrenza delle condizioni in parola con accertamento congruamente motivato, fondato non solo sull’assenza di collaboratori e dipendenti ma anche sulla carenza di elementi significativi di organizzazione.

Ora, attenendo la valutazioni degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti al libero convincimento del giudice di merito, deve ritenersi preclusa ogni possibilita’ per questa Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.

Resta da esaminare l’ultima doglianza, articolata sotto il profilo della nullita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per aver il giudice dei merito omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilita’ dell’appello, eccezione basata sulla considerazione che il contribuente lungi dal l’evidenziare specifici vizi della sentenza di primo grado, nell’impugnare la decisione, si sarebbe limitato a ripetere che la sua attivita’ era svolta senza l’ausilio di dipendenti e collaboratori.

La censura e’ inammissibile per difetto di autosufficienza.

A riguardo, e’ opportuno premettere che la sentenza impugnata non contiene il minimo accenno alla questione, sollevata dalla ricorrente. La premessa torna utile perche’ la ricorrente in questa sede avrebbe dovuto riportare, nei suoi esatti termini, il contenuto della eccezione formulata provvedendo, all’occorrenza, alla sua trascrizione.

E cio’, in quanto anche in materia di violazione delle regole processuali, per le quali la Corte di cassazione e’ giudice anche del fatto processuale, il potere dovere del giudice di legittimita’ di esaminare direttamente gli atti processuali e’ condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice una loro autonoma ricerca, ma solo una loro verifica”. (Sezioni Unite 7930/08).

Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, il ricorso per cassazione, proposto dall’Agenzia, siccome manifestamente infondato, deve essere rigettato, senza che occorra provvedere sulle spese in quanto la parte vittoriosa, non essendosi costituita, non ne ha sopportate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso dell’Agenzia.

Nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

 

 

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