Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10579 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 28/04/2017, (ud. 26/01/2017, dep.28/04/2017),  n. 10579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24358-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso L’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE,

rappresentata e difesa dall’avvocato CLAVELLI ROSSANA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

C.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2531/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/04/2014 R.G.N. 6370/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2017 dal Consigliere Dott. DE MARINIS NICOLA;

udito l’Avvocato PASQUALE DI ISSO per delega verbale Avvocato

CLAVELLI ROSSANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 24 aprile 2014, la Corte d’Appello di Roma, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e accoglieva la domanda proposta da C.C. nei confronti di Poste Italiane S.p.A, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole per superamento del periodo di comporto, disponendone la reintegrazione e condannando la Società al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite dalla data del licenziamento.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione di tardività del gravame sollevata dalla C. allora appellata ed infondato nel merito il gravame medesimo a motivo della pacifica utilizzabilità di ferie residue al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto, richiesta avanzata dall’interessata il cui diniego da parte della Società non risulta sorretto da ragioni ostative al mutamento del titolo dell’assenza.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a due motivi. La C. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2109, comma 2, artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè dell’art. 43 del CCNL per i dipendenti di Poste Italiane del 2007, deduce l’incongruità della valutazione espressa dalla Corte territoriale in ordine alla inconfigurabilità a carico della ricorrente di un comportamento non improntato alla buona fede in relazione al breve anticipo, rispetto alla scadenza del periodo di comporto, con cui la lavoratrice ha inoltrato istanza di interversione del titolo dell’assenza da malattia a ferie.

Il secondo motivo, intitolato alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., imputa alla Corte di aver erroneamente addebitato alla Società il mancato assolvimento dell’onere della prova in ordine – al l’aliunde perceptum ai fini della detraibilità dello stesso dall’ammontare del risarcimento dovuto.

Il primo motivo deve ritenersi infondato avendo la Corte territoriale, da un lato, tenuto conto dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 5078/2009, Cass. n. 21385/2004 e Cass. n. 5521/2003, tutte citate in motivazione) che, nel riconoscere al lavoratore la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, subordinandola alla determinazione del datore, nel rispetto del diritto di scelta del tempo delle ferie al medesimo riservato, onera il datore stesso della prova di aver tenuto conto, nell’assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto e, dall’altro, congruamente motivato la conclusione cui perviene nel senso del mancato riscontro nella specie di un simile atteggiamento da parte della Società datrice in relazione alla ravvisabilità di un comportamento non improntato a buona fede a carico della Società medesima, che aveva inteso fondare il diniego del mutamento dell’assenza sul mero riferimento al ritardo nell’inoltro della richiesta da parte della lavoratrice, senza allegare alcun pregiudizio ad esso conseguente, del resto non riscontrabile stante la possibilità di organizzarsi con largo anticipo per tale evenienza, piuttosto che, come qui sostiene la Società ricorrente, a carico della lavoratrice che, appunto in relazione all’insussistenza di un evidente pregiudizio, neppure poteva prefigurarsi la propria richiesta come tardiva.

Parimenti infondato è il secondo motivo alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (vedi, da ultimo, Cass. n. 9616/2015 ma già Cass. n. 23226/2010) per il quale il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, della prova dell’aliunde perceptum o dell’aliunde percipiendum, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale mancata nuova assunzione a seguito del licenziamento riduttiva del danno patito, non avendo la Società datrice fornito a riguardo alcun elemento di prova.

Il ricorso va dunque rigettato, senza attribuzione di spese, non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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