Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10578 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 30/04/2010), n.10578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.G., B.L., B.F.,

C.R., F.M., F.S., M.F.,

M.S., M.M., Ca.Ro., N.G.,

P.S., P.A., R.A., S.F., S.C.,

C.L., elettivamente domiciliato in Roma alla via della

Giuliana 74 presso lo studio dell’avv Camillo Loriedo e

rappresentati e difesi giusta procura speciale in calce al ricorso

dall’avv. NENCINI PIETRO del Foro di Siena;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– resistente tard. Costituita –

avverso la sentenza n.76/9/05, depositata in data 20.9.05, della

Commissione tributaria regionale della Toscana;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.3.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udita la difesa svolta per conto di parte ricorrente che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza

impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle

spese processuali;

sentita la difesa svolta per conto di parte resistente, che ha

concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese;

Udito il P.G. in persona del Dott. Wladimiro De Nunzio che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso con le pronunce

consequenziali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 11.11.2002 gli epigrafati ricorrenti, liberi professionisti, si opponevano al silenzio – rifiuto formatosi sulle istanze di rimborso delle somme versate a titolo di acconto e saldo Irap per gli anni dai 1998 al 2001, deducendo la carenza di un’attività autonomamente organizzata. Si costituiva l’Agenzia delle Entrate di Poggibonsi eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso cumulativo presentato dai ricorrenti e deducendo nel merito l’infondatezza delle richieste di rimborso.

La Commissione provinciale di Siena accoglieva il ricorso. Proponeva appello l’Agenzia ribadendo le tesi esposte in primo grado. I contribuenti presentavano memoria ribadendo l’eccezione di carenza di assistenza tecnica dell’Amministrazione e chiedendo la conferma della sentenza. La CTR della Toscana accoglieva il gravame dichiarando l’inammissibilità del ricorso in primo grado.

Avverso la detta sentenza i contribuenti hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, in relazione agli artt. 82 e 86 c.p.c., nonchè la nullità della sentenza per omessa pronuncia, i ricorrenti, premesso di avere espressamente sollevato eccezione di carenza di assistenza tecnica della Agenzia delle Entrate di Poggibonsi per aver quest’ultima ” impugnato la sentenza di primo grado in persona del proprio direttore prò tempore e dunque priva di un difensore abilitato alla assistenza tecnica”, hanno lamentato che il giudice di secondo grado avrebbe omesso di pronunciarsi sulla sollevata eccezione di rito, da ritenersi preliminare rispetto alla cognizione del merito delle censure contenute nell’atto di appello, mentre avrebbe dovuto invece dichiarare la nullità dell’atto di impugnazione in quanto sottoscritto da soggetto privo di ius postulando Invero – così continuano i ricorrenti con il secondo profilo di censura afferente più strettamente al merito dell’eccezione – a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, le Agenzie fiscali non possono stare in giudizio in persona del proprio direttore prò tempore senza il ministero di un difensore abilitato all’esercizio della professione forense.

Il primo profilo della doglianza, riguardante l’asserita omessa pronuncia dei giudici di seconde cure, è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Ed invero, i ricorrenti hanno evitato di specificare in ricorso il preciso contenuto della questione sollevata mediante una sintetica ma esauriente esposizione, così come si sono ben guardati dal provvedere alla integrale trascrizione del brano contenente l’eccezione, indispensabile nel caso di specie, al fine di consentire a questa Corte di esaminarne il preciso contenuto nei suoi termini esatti e di verificarne la correttezza e la ritualità. Ed è appena il caso di sottolineare come la circostanza che in ipotesi di denunzia di un error in procedendo questa Corte sia anche giudice del fatto processuale ed abbia il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa non elimina l’onere della parte di indicare nel ricorso tutti gli elementi di fatto necessari ad individuare la dedotta violazione processuale, giacchè il riesame del fatto processuale non implica che questa Corte debba ricercare il fatto o gli atti processuali, colmando con indagini integrative le lacune nell’indicazione delle circostanze rilevanti per la valutazione della decisività della questione. In ossequio al principio (art. 366 cit.) di specificità ed autosufficienza del ricorso per Cassazione – il quale deve consentire a questo giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale – il ricorrente che denunzi un error in procedendo, quindi, è tenuto, non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma pure a specificare le ragioni, anche fattuali, della violazione denunziata. Il mancato assolvimento di tale onere comporta l’inammissibilità del profilo di doglianza in esame. Il secondo profilo di censura è invece infondato. Ed invero, non merita di essere condivisa la tesi formulata dai ricorrenti, secondo cui per incompatibilità con il sistema, risultante dall’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, sarebbero rimaste abrogate, sia pure implicitamente, le norme di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10, 11 e 12, le quali prevedono rispettivamente che parte in giudizio dinanzi alle commissioni tributarie è l’ufficio del Ministero delle Finanze che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto; che l’Ufficio del Ministero sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso e senza necessità di assistenza tecnica.

Al contrario, deve ritenersi che tale sistema sia stato invece mantenuto dalla nuova disciplina, con la sostituzione dell’Agenzia al Dipartimento delle Entrate in tutte le funzioni, anche contenziose, di competenza di questo. Con la conseguenza che agli uffici periferici del Ministero sono subentrati gli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate. Del resto, come hanno già avuto modo di statuire le Sezioni Unite di questa Corte, l’Agenzia delle Entrate e i relativi uffici periferici, i quali costituiscono un’unica persona giuridica, hanno la medesima legittimazione processuale che in passato spettava al Ministero delle Finanze e ai relativi uffici periferici, rispettivamente nel giudizio di cassazione e nelle precedenti fasi, dinanzi alle commissioni tributarie. (Sez. Un. 3118/06). Si deve pertanto concludere per la persistente vigenza del sistema delineato dagli artt. 10,11 e 12 citati, fermo restando che relativamente “alla difesa tecnica dell’Agenzia nel giudizio di Cassazione, non essendo espressamente prevista – come per il giudizio dinanzi alle commissioni – la difesa da parte di funzionari dell’ente, la stessa potrà essere affidata, oltre che all’Avvocatura dello Stato, a professionisti esterni” (cfr sul punto Sez. Un. 3118/06).

Passando all’esame delle due successive doglianze, deve premettersi che la prima di esse, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10, 18 e 29, e art. 103 c.p.c., si fonda sulla considerazione che la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere l’inammissibilità del ricorso congiunto. E ciò, perchè non sussisterebbe alcun impedimento alla possibilità, da parte di una pluralità di contribuenti, di proporre un unico ricorso cumulativo contro diversi atti tributari che conserverebbero la loro autonomia. Ed invero – così continuano i ricorrenti – ricorrerebbero i presupposti richiesti dall’art. 103 c.p.c., sussistendo sia l’identità di petitum in quanto tutti i provvedimenti richiedono la condanna dell’Amministrazione a rimborsare le somme versate a titolo di Irap sia l’identità di causa petendi in quanto la richiesta di tutti i contribuenti è fondata sull’accertamento della sussistenza dei medesimi fatti costitutivi posti a fondamento della domanda. Senza considerare che il litisconsorzio facoltativo può essere anche improprio quando la decisione dipende dalla soluzione di identiche questioni. Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia l’ultima doglianza per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione – la CTR non avrebbe chiarito le ragioni per cui aveva ritenuto sussistere un’assoluta incertezza in ordine agli elementi richiesti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, lett. d) ed e), dalla cui valutazione ha fatto poi discendere la declaratoria di inammissibilità.

I motivi in questione vanno trattati congiuntamente, proponendo profili di doglianza sostanzialmente connessi, ciascuno dei due volto a censurare le due diverse rationes decidendi su cui i giudici di seconde cure hanno fondato la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Ed invero, a ben vedere, la Commissione di appello ha fondato la sua decisione su due distinte ragioni: la prima, perchè il ricorso congiunto sarebbe di per sè inammissibile nel rito tributario, la seconda perchè nel caso di specie ricorrerebbe una “assoluta incertezza circa gli elementi essenziali del ricorso (causa di inammissibilità del ricorso di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 4) con particolare riferimento al citato art. 18, lett. d) ed e)”.

Al riguardo, ancor prima di esaminare il merito delle censure, deve sottolinearsi come sia estranea alla fattispecie in esame la recente decisione con la quale le Sezioni Unite hanno riconosciuto l’ammissibilità, in materia tributaria, del ricorso cumulativo. Ed invero, la decisione indicata concerne l’ipotesi di un ricorso soltanto cumulativo, e non anche collettivo, proposto avverso più sentenze, emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima “ratio”, in procedimenti formalmente distinti ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d’imposta, pur se riferiti a diverse annualità, e ne ha riconosciuto l’ammissibilità sempre che i procedimenti medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d’imposta (cfr Sez. Un. 3692/09). Ne deriva l’inapplicabilità della decisione in parola in un’ipotesi in cui il rapporto giuridico di imposta non presenti la necessaria identità degli elementi costitutivi, attenendo invece a soggetti diversi, così da doversi ritenere insussistente il pericolo di contrasto di giudicati.

Esaurita tale premessa, passando all’esame delle questioni dedotte, mette conto di rilevare introduttivamente che il procedimento tributario così come delineato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, non contiene alcuna norma in ordine al cumulo dei ricorsi prevedendo, solo all’art. 14, l’ipotesi del litisconsorzio necessario, se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, nonchè l’intervento, volontario o per chiamata, dei soggetti che insieme al ricorrente sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso. Il panorama normativo si completa quindi con la menzione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, che contiene il rinvio alle norme del codice di procedura civile per quanto non disposto dal decreto e nei limiti della loro compatibilità con le norme dello stesso.

Ciò posto, deve richiamarsi l’attenzione sulla considerazione che, giusta l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, l’ipotesi di litisconsorzio tributario si configura sempre che “per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato”. (Sez. Un. n. 1052/07).

E’ la domanda, infatti – così continua la Corte – a determinare l’oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della causa tra più soggetti. E ciò, in quanto il processo tributario è strutturato secondo le regole proprie del processo impugnalorio di provvedimenti autoritativi (ex plurimis, Cass. nn. 9999 e 3532 del 2006; 28680 del 2005).

Ora, il fatto che il giudizio tributario rivesta carattere impugnatorio di atti amministrativi, risolvendosi tale carattere nella indispensabilità di uno specifico, preciso e concreto, nesso tra il singolo atto autoritativo di imposizione e la contestazione del singolo contribuente, pur non ostando in linea di principio all’applicabilità dell’art. 103 c.p.c., invocato dai ricorrenti, soprattutto sub specie del litisconsorzio improprio, ne limita però, in buona sostanza, l’applicazione circoscrivendone irriducibilmente la portata e gli effetti al concreto atteggiarsi nel processo del rapporto tra atto autoritativo e relativa impugnazione.

Ed invero, se nell’ipotesi del litisconsorzio facoltativo improprio, disciplinato dalla processualistica civile, le cause possono avere tra loro un rapporto di mera affinità derivante dalla comunanza anche parziale di una o più questioni, nel processo tributario, l’indispensabilità dello specifico e concreto nesso tra atto e/o oggetto di ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, e la contestazione del contribuente, richiesta invece dalla peculiarità del relativo giudizio, postula necessariamente che intercorrano, tra le cause, questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto ma consistano altresì in un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti. Infatti, solo allorchè i provvedimenti impugnati, pur formalmente autonomi, si risolvano nel loro concreto articolarsi in un unico fatto storico nei confronti dei più contribuenti, e questi versando in un’analoga situazione muovano anche solo in parte identiche contestazioni, può ritenersi che la definizione delle questioni comuni abbia carattere pregiudiziale rispetto alla decisione di tutte le cause, cosi da consentire l’ammissibilità, nel processo tributario, di un ricorso al tempo stesso collettivo (proposto da più contribuenti) e cumulativo (nei confronti di più atti impugnabili).

Nel caso di specie, secondo la valutazione operata dalla Commissione di merito, difettavano invece i presupposti richiesti ostandovi la concreta diversità delle situazioni di fatto e di diritto in cui versavano i numerosi ricorrenti, ben diciassette, i quali non solo svolgevano, alla stregua della documentazione in atti, professioni ed attività diverse, con un’organizzazione lavorativa, volta per volta diversa, che comportava indagini di fatto differenti in relazione al diverso articolarsi delle vicende concrete, ma avevano presentato le richieste di rimborso separatamente, in date diverse, con riferimento ad anni di imposta differenti, e soprattutto con riferimento a silenzi-rifiuti maturatisi in momenti e con modalità storicamente diversi nonchè in ordine a situazioni dissimili. E ciò, senza considerare che per almeno due dei ricorrenti – così continua la CTR – non era “chiaramente individuabile l’attività da essi svolta”.

Dal che derivava altresì – e tale rilievo sostanzia l’ulteriore ratio decidendi posta dalla CTR a base della decisione – l’assoluta incertezza circa gli elementi essenziali del ricorso con particolare riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, lett. d) ed e), non avendo taluni ricorrenti fornito le necessarie indicazioni nè riguardo ai silenzi – rifiuti formatisi sulle rispettive istanze di rimborso nè in merito alla loro organizzazione lavorativa nè riguardo alle ragioni delle contestazioni che intendevano muovere.

Ed è appena il caso di sottolineare a riguardo come la valutazione delle risultanze processuali, effettuata dal giudice di merito, sia di per sè incensurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio motivazionale, essendo preclusa ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa. Del resto, alla stregua delle considerazioni esposte deve escludersi il vizio motivazionale dedotto dai ricorrenti, non emergendo nel ragionamento del giudice di merito alcun insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate nè mancando tra le premesse e la conclusione poi adottata dal giudice il necessario rapporto di consequenzialità logica, che deve essere a base del corretto procedimento sillogistico. Ed è appena il caso di aggiungere che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto estranea alla natura del giudizio di cassazione.

Tutto ciò premesso, considerato che la sentenza impugnata appare in linea con i principi richiamati, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

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