Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10577 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 28/04/2017, (ud. 26/01/2017, dep.28/04/2017),  n. 10577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5574-2013 proposto da:

P.P. c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

BASTIONI DI MICHELANGELO 5/A, presso lo studio dell’avvocato MONICA

SAVONI (STUDIO DIURNI), rappresentata e difesa dall’avvocato AUGUSTO

EUGENI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso

l’avvocato ROSSANA CLAVELLI DELL’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI

POSTE ITALIANE, al VIALE EUROPA 190 in ROMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato SERGIO GALASSI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 960/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/10/2012 R.G.N. 163/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2017 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO;

udito l’Avvocato AUGUSTO EUGENI;

udito l’Avvocato DI ISSO PASQUALE per delega verbale Avvocato SERGIO

GALASSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 960/2012, depositata il 3 ottobre 2012, la Corte di appello di Ancona, in accoglimento del gravame proposto da Poste Italiane S.p.A., respingeva la domanda, con la quale P.P. aveva chiesto al Tribunale di Ascoli Piceno di dichiarare la illegittimità ed inefficacia del licenziamento intimatole per superamento del periodo di comporto, sul rilievo che le assenze per malattia, che l’avevano determinato, erano da ritenersi causalmente ascrivibili all’assegnazione di mansioni (di recapito) incompatibili con il suo stato di salute.

1.1. La Corte di appello poneva a sostegno della propria decisione, rilevando trattarsi di fatti pacifici, la circostanza che la patologia sofferta non aveva carattere di evidenza e che l’unica comunicazione ricevuta dalla società era generica e inidonea ai fini dell’attribuzione di mansioni diverse e compatibili, limitandosi ad indicare la misura dell’invalidità civile della dipendente.

1.2. D’altra parte, notava ancora la Corte, quando la società era venuta a conoscenza della effettiva natura della malattia, aveva disposto, con provvedimento in data 6/7/2009, l’assegnazione della P. al servizio interno e richiesto altresì che del caso venisse effettuata una valutazione medica collegiale.

2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con due motivi; la società ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, P.P. censura la sentenza impugnata per avere la Corte, ponendo a fondamento della propria decisione una mera comunicazione interna tra uffici, omesso di procedere ad un vaglio delle risultanze probatorie complessivamente desumibili dai documenti tutti acquisiti al giudizio.

1.2. Con il secondo motivo, deducendo violazione ed erronea applicazione delle norme di diritto, nonchè omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale basato la riforma della sentenza di primo grado su un documento (“comunicazione interna” tra l’Ufficio di Fano e la Direzione di Ancona del 6/7/2009) non conferente ai fini della decisione, oltre che tardivamente depositato in grado di appello, e comunque senza procedere ad alcun riscontro delle circostanze in esso rappresentate.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Entrambi i motivi proposti, dolendosi la ricorrente di carenze motivazionali in cui sarebbe incorso il giudice di merito, non si conformano, infatti, allo schema normativo del nuovo vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata il 3 ottobre 2012 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366 c.p.c. comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

2.2. I motivi di ricorso risultano altresì palesemente inammissibili laddove richiamano il vizio di cui all’art. 360 n. 3, non specificando nè indicando in alcun modo quale sia la norma di legge che la Corte avrebbe violato nel pervenire alle proprie conclusioni.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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