Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10577 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. III, 21/04/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 21/04/2021), n.10577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30915-2019 proposto da:

E.O., rappresentato e difeso dall’avv. VINCENZINA

SALVATORE, per procura speciale in atti ed elettivamente domiciliato

presso l’indirizzo PEC di questa;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 16/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. RUBINO LINA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

E.O., cittadino della Nigeria, propone ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno, notificato il 15.10.2019, articolato in tre motivi, avverso il Decreto n. 6539 del 2019 del Tribunale di Napoli, pubblicato in data 16.9.2019, con il quale il tribunale gli ha negato lo status di rifugiato e ha ritenuto non sussistere il suo diritto nè alla protezione sussidiaria nè alla protezione umanitaria.

Quanto alla propria vicenda personale e processuale, nella parte del ricorso dedicata alla esposizione sommaria, narra di essere di religione cristiana, di elevato livello di istruzione, avendo frequentato per quattro anni l’università, pur senza completare gli studi, proveniente dall’Edo State, orfano di padre fin da piccolo, e di essere fuggito dopo una lite con una gang locale in cui uno del gruppo avversario rimaneva ucciso; fuggiva insieme al cugino, anch’egli coinvolto, temendo di poter essere aggrediti in quanto ritenuti responsabili della morte del ragazzo del gruppo avversario.

Le sue domande, volte all’ottenimento delle varie forme di protezione internazionale, sono state tutte rigettate. Il tribunale, in particolare.

Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, nonchè della Convenzione di Ginevra: sostiene che il tribunale non avrebbe compiuto un autonomo esame della sua posizione, attingendo direttamente informazioni ed acquisizioni probatorie, ma si sarebbe appiattito sulle conclusioni della Commissione territoriale, limitandosi ad acquisirle e a farle proprie con la tecnica del “copia e incolla”. Non avrebbe valorizzato correttamente la situazione esistente nel paese di origine, limitandosi ad un giudizio di scarsa attendibilità del ricorrente.

Il motivo, che fonde in sè, confusamente, censure diverse e non adeguatamente esplicitate, è inammissibile. Ove avesse effettivamente voluto dimostrare che il tribunale non ha compiuto una propria valutazione autonoma, recependo acriticamente o addirittura copiando quella della Commissione territoriale, il ricorrente avrebbe dovuto quanto meno richiamare i passi di entrambe le decisioni, amministrativa e giudiziaria, dalle quali si evidenziasse tale mancanza di autonomia decisionale.

Le altre critiche, solo embrionalmente mosse (quella sulla propria personale inattendibilità, quella sulla non corretta valutazione della criticità della situazione in Nigeria, sono censure in fatto, in questa sede inammissibili).

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14, laddove il decreto impugnato ha negato il riconoscimento della protezione sussidiaria.

In particolare, critica la decisione impugnata affermando che avrebbe deciso sulla base di informazioni (rapporto Easo 2017) non aggiornate al momento della decisione (luglio 2019), in base alle quali ha affermato che in particolare la regione di provenienza del ricorrente, l’Edo State, non sarebbe soggetta ad un pericolo generalizzato di attacchi terroristici.

Critica la decisione contrapponendole un rapporto del Ministero degli esteri dell’agosto 2018, tratto dal sito “Viaggiare sicuri”, in cui la meta è sconsigliata sotto il profilo della sicurezza personale del turista o comunque del viaggiatore; il report indica anche che da informazioni acquisite, Boko Aram, la formazione terroristica operante in Nigeria, avrebbe intenzione di estendere le sue attività all’intero paese.

Il motivo è infondato.

In mancanza di altre indicazioni che consentano di ricondurre ad un diverso tipo di rapporto ufficiale predisposto dalla F. quanto riportato dal ricorrente, deve ritenersi che le informazioni provenienti dalla F. e riprodotte dal ricorrente siano tratte dal sito internet “viaggiare sicuri” gestito appunto dal Ministero degli Esteri, e deputato a fornire informazioni sulle condizioni dei vari paesi del mondo a quanti decidano, per diletto o per lavoro, di intraprendere un viaggio con quella destinazione. Proprio per la sua finalità, che è quella di preservare la sicurezza dei viaggiatori, per evitare che vadano per quanto possibile ad introdursi volontariamente e senza necessità in zone a rischio, e quindi una finalità ben diversa da quella di fotografare le condizioni sociali e politiche di un paese e le condizioni di vita dei suoi abitanti o in particolare degli appartenenti a determinate minoranze, questa Corte ha già numerose volte precisato che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Informations”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti, non potendo ritenersi tale il sito ministeriale “Viaggiare sicuri”, il cui scopo e funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti nei procedimenti indicati (in questo senso, tra le altre, Cass. n. 8819 del 2020).

Del resto la stessa informazione riportata, per il suo contenuto, non è contrastante con quelle acquisite dal giudice e poste a fondamento della sua valutazione, perchè fa riferimento ad una intenzione della formazione terroristica di estendere le sue attività fuori legge in tutto il paese, e non di una espansione già avvenuta dell’attività terroristica.

Il ricorrente non ha dimostrato, attraverso l’efficace indicazione che siano stati violati i parametri di legge per l’acquisizione delle informazione, o contrapponendo a quelle poste a fondamento della decisione, informazioni contrastanti, anch’esse attendibili e aggiornate, provenienti da altre fonti, che le COI pur citate non fossero idonee a supportare validamente la decisione.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè la nullità della motivazione, in relazione alla mancata concessione della richiesta protezione umanitaria.

Il motivo è infondato.

Il giudice di merito ha correttamente compiuto la sua valutazione, attraverso il giudizio di comparazione; all’esito di esso, come si riferisce in motivazione, considerata la sua situazione personale e individualizzata, il tribunale non ha ritenuto che il ricorrente fosse particolarmente vulnerabile, considerati vari fattori, quali l’età, il permanente radicamento in patria, la famiglia e dall’altra parte, il lavoro in Italia, che denota un inserimento ma non attesta di per sè la vulnerabilità in caso di rimpatrio: è un giudizio in fatto correttamente eseguito secondo i parametri di legge fatti diritto vivente dalla interpretazione di questa Corte, al quale non è consentito sovrapporsi in questa sede. Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale), a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater e commi 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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