Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10575 del 28/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 28/04/2017, (ud. 25/01/2017, dep.28/04/2017),  n. 10575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22844-2014 proposto da:

M.F., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CLAUDIA CONIDI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

METALTECNO IMPIANTI S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO SACCHI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 239/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 25/03/2014 R.G.N. 1268/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 25 marzo 2014, la Corte d’appello di Catanzaro condannava Metaltecno Impianti s.r.l. al versamento, in favore del dipendente M.F., di un’indennità pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece condannato la prima alla corresponsione, in favore del secondo, di un’indennità pari a sei mensilità, in accoglimento in parte qua del suo appello incidentale, invece rigettato in relazione alla pronuncia di illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa; con reiezione integrale dell’appello principale del lavoratore avverso la condanna al pagamento, in favore della società datrice a titolo risarcitorio per sottrazione di beni aziendali, della somma di Euro 57.776,58.

Sotto quest’ultimo profilo, la Corte territoriale riteneva infatti pienamente provata la sottrazione oggetto di condanna risarcitoria, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie.

Parimenti, essa escludeva la legittimità del licenziamento, sia pure per giusta causa, in quanto disciplinare e pertanto anch’esso soggetto alle garanzie prescritte dalla L. n. 300 del 1970, art. 7 non osservate nel caso di specie; ravvisava invece equa la riduzione dell’indennità stabilita dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 tenuto conto della durata del rapporto, delle dimensioni dell’impresa e della reiterata grave condotta illecita del lavoratore.

Con atto notificato il 19 e 30 settembre 2014, M.F. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste Metaltecno Impianti s.r.l. con controricorso.

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 4, art. 295 c.p.c., art. 211 disp. att. c.p.p., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per mancata sospensione (nonostante la sua richiesta in primo grado) del giudizio civile, avente ad oggetto l’accertamento della giusta causa del licenziamento intimatogli e la condanna risarcitoria basati su fatto illecito integrante reato (appropriazione indebita p. e p. dall’art. 646 c.p.), ancora sub iudice penale, per la ricorrenza, pure nella tendenziale autonomia dei due giudizi, di “un rapporto di pregiudizialità… in via astratta e di principio”, in vista della prevenzione di una contraddittorietà di giudicati.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la condanna risarcitoria pronunciata dal Tribunale (con sentenza confermata dalla Corte d’appello) per sottrazione di beni aziendali, ritenuta non integrare dallo stesso giudice giusta causa di licenziamento.

3. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 4, art. 295 c.p.c., art. 211 disp. att. c.p.p., per mancata sospensione del giudizio civile di accertamento di giusta causa di licenziamento e di condanna risarcitoria basati su fatto illecito integrante reato ancora sub iudice penale, è inammissibile.

3.1. Ed infatti, la questione (peraltro infondata, per il principio di separatezza dei giudizi civile e penale, salva la sospensione del primo di danno solo quando l’azione civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo la sentenza penale di primo grado, a norma dell’art. 75 c.p.p., atteso che esclusivamente in tali casi, nella specie non documentati, si verifica una concreta interferenza del giudicato penale nel giudizio civile, ostativa ad un esito anticipato potenzialmente difforme da quello penale in ordine alla sussistenza di uno o più dei comuni presupposti di fatto: Cass. 17 novembre 2015, n. 23516; Cass. 1 ottobre 2013, n. 22463; Cass. 17 febbraio 2010, n. 3820) è nuova.

La sentenza impugnata non l’ha trattata, nè il ricorrente ha indicato in quali atti abbia devoluto la questione alla Corte territoriale: sicchè, la mancata allegazione, nè tanto meno trascrizione, dell’istanza di sospensione del giudizio, si riflette all’evidenza sul principio di autosufficienza del ricorso, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; 11 gennaio 2007, n. 324).

4. Il secondo motivo, relativo ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza del Tribunale, è parimenti inammissibile.

4.1. Il suo vizio non consiste soltanto (il che sarebbe già sufficiente) nella inconfigurabilità della denuncia alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la cui riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: e pertanto la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Ma, ancora prima, nell’improponibilità con il ricorso per cassazione di censure, per tale ragione inammissibili, direttamente volte contro la sentenza di primo grado, atteso che oggetto del suddetto ricorso è, al di fuori dei casi eccezionali previsti dalla legge, normalmente la sentenza di secondo grado (Cass. 21 marzo 2014, n. 6733; Cass. 15 marzo 2006, n. 5637).

5. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

6. L’attuale condizione del ricorrente di ammesso (per decreto del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro del 7 ottobre 2014) al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Cass. 15 ottobre 2015, n. 20920; Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna M.F. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

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