Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10570 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/06/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 04/06/2020), n.10570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8817/2018 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente-

contro

FAPA 51 s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandra Stasi, con

domicilio eletto in Roma, viale Regina Margherita, n. 262, presso lo

studio dell’Avv. Luigi Marsico;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, n. 5/2018 depositata il 12 gennaio 2018.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 febbraio 2020

dal Consigliere Dott. Nicastro Giuseppe;

udito l’Avv. Luigi Marsico, per delega dell’Avv. Alessandra Stasi,

per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate rifiutò il rimborso dell’eccedenza trimestrale (1 trimestre 2005) di IVA di Euro 240.000,00 – relativa all’acquisto di un complesso immobiliare nello stesso anno – chiesto dalla FAPA 51 s.r.l., perchè, con un precedente avviso di liquidazione, aveva ritenuto che si fosse trattato di un acquisto di azienda soggetto a imposta proporzionale di registro.

2. Il rifiuto espresso del rimborso fu impugnato dalla FAPA 51 s.r.l. davanti alla Commissione tributaria provinciale di Foggia (hinc anche: “CTP”) che, con la sentenza n. 66/05/2008, depositata il 24 settembre 2008, accolse il ricorso della contribuente, adottando il dispositivo: “in accoglimento ritiene spettante il rimborso trimestrale IVA oggetto del contendere e ne dispone il rimborso”.

3. Avverso tale pronuncia della CTP, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Puglia (hinc anche: “CTR”) e la FAPA 51 s.r.l. propose appello incidentale sul capo della stessa pronuncia che aveva disposto la compensazione delle spese del giudizio.

Con la sentenza n. 287/25/11, depositata il 4 luglio 2011, la CTR, dopo avere affermato “che in questo procedimento debba ritenere illegittimo il rifiuto del rimborso richiesto”, rigettò sia l’appello principale sia l’appello incidentale.

4. Avverso tale pronuncia della CTR, l’Agenzia delle entrate propose ricorso per cassazione.

Con la sentenza 23/03/2016, n. 5755, questa Corte, letta l’istanza con la quale l’Agenzia delle entrate – premesso che, con la sentenza 02/04/2015, n. 6719, era stato respinto il ricorso per cassazione della stessa Agenzia concernente l’avviso di liquidazione che aveva riqualificato l’acquisto come una cessione di azienda – chiedeva di rinunciare al ricorso, nonchè l’istanza di rinuncia al ricorso depositata dall’Avvocatura generale dello Stato, dichiarò cessata la materia del contendere.

5. Dopo avere notificato all’Agenzia delle entrate l’atto di messa in mora cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 70, comma 2, la FAPA 51 s.r.l. propose ricorso alla CTR per l’ottemperanza della sentenza della stessa Commissione n. 287/25/11.

La CTR accolse il ricorso per ottemperanza.

La Commissione affermò che “(d)alla documentazione versata in atti risulta inconfutabilmente la piena legittimità e l’incontrovertibile diritto della società contribuente ad ottenere il rimborso dell’IVA richiesto di Euro 240.000,00, sulla base delle definitive statuizioni dei Giudici di merito che ne hanno disposto il rimborso”.

Secondo la stessa CTR, l’Ufficio, con la propria memoria – nella quale aveva asserito, tra l’altro, che “non vi è mai stato un esame concreto della provenienza, dell’effettività e della consistenza del richiesto rimborso, che a ben vedere è inesistente” – “pretende(va) di rimettere in discussione le ragioni del rifiuto al rimborso richiesto che però sono state oggetto di approfondimento e di trattazione nei due giudizi di merito, entrambi definiti con declaratoria di illegittimità del rifiuto opposto al rimborso IVA da parte dell’Ufficio che, dopo avere interposto ricorso per Cassazione, vi ha rinunciato, rendendo definitiva la statuizione dei Giudici di merito che, contrariamente a quanto affermato dall’U.F., ne hanno disposto il rimborso. Pertanto il tentativo di sottrarsi alle definitive statuizioni di rimborso dell’IVA per Euro 240.000,00 operato dall’U.F. in sede di giudizio di ottemperanza, non può essere condiviso in quanto illegittimo, giacchè non è consentita, in questa sede, la reintroduzione di questioni di merito già trattate e definite nei precedenti giudizi o peggio l’introduzione (…) di motivi nuovi estranei quanto inammissibili al giudizio di ottemperanza”.

Per tali ragioni, la CTR dispose “a carico dell’Agenzia delle entrare, D.P. di Foggia il rimborso dell’IVA relativa al 1 trimestre 2005, pari a Euro 240.000,00 (…), oltre intereressi di Legge maturati e maturandi in favore della società ricorrente FAPA 51 srl, entro e non oltre trenta giorni, decorsi inutilmente i quali, si riserva di delegare un proprio componente o di nominare un commissario”.

4. Avverso questa sentenza della CTR – depositata in segreteria il 12 gennaio 2018 e notificata il 18 gennaio 2018 – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 12/15 marzo 2018, a un unico motivo.

5. La FAPA 51 s.r.l. resiste con controricorso, notificato il 28 marzo/3 aprile 2018.

6. La FAPA 51 s.r.l. ha depositato una memoria.

7. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 10 febbraio 2020, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, commi 2 e 7, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 39, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 22, dell’art. 2220 c.c. e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, per non avere la CTR riscontrato l’esistenza della causa di improponibilità del ricorso per ottemperanza, eccepita dall’Ufficio, che l’obbligo derivante dalla sentenza n. 287/25/11 era stato già estinto in quanto la stessa eccedenza di IVA di Euro 240.000,00 chiesta a rimborso era stata anche indicata nella dichiarazione annuale come importo da riportare in detrazione o in compensazione, per essere poi utilizzata nei successivi periodi d’imposta (dal 2006 al 2010) dalla società contribuente, la quale, legittimamente richiesta – ai sensi della L. n. 12 del 2000, art. 10 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 39, comma 3 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, comma 2 – “di fornire la documentazione per verificare se il quantum originariamente richiesto (…) avesse subito una modifica a causa delle numerose compensazioni eseguite”, aveva rifiutato di farlo.

2. Preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità di tale unico motivo sollevata dalla controricorrente sull’assunto che esso esorbiterebbe dall’ambito dell’impugnativa per cassazione avverso le sentenze sull’ottemperanza costituito dalla denuncia dell'”inosservanza delle norme sul procedimento” (del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 10), atteso che, con lo stesso motivo, la ricorrente ha denunciato proprio l’inosservanza di norme sul procedimento di ottemperanza, in particolare, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, commi 2 e 7.

3. Il motivo è fondato.

3.1. Il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie disciplinato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 – proponibile a fronte dell’inerzia dell’amministrazione (e, ora, anche degli agenti incaricati della riscossione, dopo la modificazione apportata al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 2 dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. ii, n. 2) o della difformità dell’atto da essa adottato rispetto al giudicato – presenta connotati diversi rispetto al processo di esecuzione previsto dal codice di procedura civile.

Infatti, lo scopo del giudizio di ottemperanza disciplinato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva, tout court, del comando contenuto nella decisione passata in giudicato bensì quello di rendere effettivo quel comando, compiendo tutti – e soltanto – quegli accertamenti indispensabili a delimitare la reale portata precettiva della sentenza (Cass., 18/01/2012, n. 646, 20/06/2019, n. 16569).

Ne discende che, per un verso, il potere del giudice dell’ottemperanza riguardo al comando definitivo rimasto inevaso non può essere esercitato che entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alla parte diritti nuovi e ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire; per altro verso, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendone il reale significato (Cass., n. 646 del 2012, 29/07/2016, n. 15827, n. 16569 del 2019).

3.2. Nel caso in esame, la sentenza della CTR n. 287/25/11 – di cui era stata chiesta l’ottemperanza – avendo ritenuto che l’atto posto in essere non fosse un atto di acquisto di azienda (soggetto a imposta proporzionale di registro) ma un atto di acquisto di un complesso immobiliare soggetto a IVA, affermò il diritto della contribuente al rimborso dell’eccedenza trimestrale di imposta di Euro 240.000,00 relativa a tale operazione.

Nel successivo giudizio di ottemperanza, l’Agenzia delle entrate eccepì che la stessa eccedenza di IVA di Euro 240.000,00 era stata indicata nella dichiarazione annuale (per l’anno 2005) come da riportare in detrazione o in compensazione ed era stata poi utilizzata nei periodi d’imposta successivi computandola in detrazione (cosiddetta compensazione verticale o interna) o per estinguere debiti relativi ad altre imposte o a contributi (cosiddetta compensazione orizzontale).

Secondo la sentenza impugnata, con tale eccezione l’Agenzia delle entrate avrebbe illegittimamente “prete(so) di rimettere in discussione le ragioni del rifiuto al rimborso richiesto che (…) sono state oggetto di approfondimento e di trattazione nei due giudizi di merito”, non essendo “consentita, in questa sede, la reintroduzione di questioni di merito già trattate e definite nei precedenti giudizi o peggio l’introduzione (…) di motivi nuovi estranei quanto inammissibili al giudizio di ottemperanza”.

Così ritenendo, la sentenza impugnata ha violato e falsamente applicato del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, commi 2 e 7.

L’eccezione sollevata dall’Agenzia delle entrate avrebbe anzitutto richiesto che la CTR verificasse se la sentenza della stessa CTR n. 287/25/11, nel riconoscere il diritto al rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile, si fosse limitata ad accertare che l’atto di acquisto del complesso immobiliare era soggetto a IVA e non a imposta di registro. Tale verifica, in quanto finalizzata a delimitare e a precisare l’effettiva portata della sentenza da eseguire, rientrava a pieno titolo – per quanto si è sopra detto – nei poteri del giudice dell’ottemperanza.

Contrariamente a quanto reputato nella sentenza impugnata, nei poteri-doveri dello stesso giudice rientrava altresì, ad avviso del collegio, l’ulteriore accertamento richiesto dall’eccezione dell’Agenzia delle entrate – beninteso, ove non già eventualmente effettuato nella sentenza da eseguire – se la stessa eccedenza di IVA di Euro 240.000,00 chiesta a rimborso in relazione al 1 trimestre fosse stata anche indicata nella dichiarazione annuale come importo da riportare in detrazione o in compensazione, per essere poi utilizzata nei successivi periodi d’imposta.

Infatti, posto che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, il rimborso (nei casi, di cui al terzo e comma 4, in cui è consentito chiederlo) e il riporto in detrazione (a norma del comma 2) o in compensazione (a norma del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17) costituiscono modalità alternative di esercizio del “medesimo diritto” al “recupero” dell’eccedenza di IVA detraibile (Cass., 30/09/2011, n. 20040, 23/12/2014, n. 27292), è evidente che il riporto in detrazione o in compensazione della stessa eccedenza già chiesta a rimborso comporterebbe una duplicazione del “recupero” di essa; così come è evidente che l’esecuzione del rimborso di un’eccedenza che lo stesso contribuente abbia già utilizzato in detrazione o in compensazione si configurerebbe come esecuzione di un obbligo il cui corrispondente interesse – quello, appunto, al recupero dell’eccedenza di IVA detraibile – è stato già, in realtà, unilateralmente e direttamente soddisfatto dallo stesso contribuente.

Da tanto discende il potere-dovere del giudice tributario dell’ottemperanza di accertare, acquisendo la documentazione necessaria (del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 7), la sussistenza (o no) di tale circostanza di fatto – beninteso, ove eccepita – integrando essa una causa di improponibilità dell’azione di ottemperanza, ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 2, là dove stabilisce che “(i)l ricorso è proponibile (…) fino a quando l’obbligo non sia estinto”.

Tale conclusione non contrasta con l’orientamento di questa Corte – invocato dalla controricorrente – secondo cui, “(n)el giudizio di ottemperanza alle decisioni emesse dalle commissioni tributarie, il giudice non può dichiarare l’estinzione per compensazione del credito pecuniario accertato dalla sentenza in favore del contribuente, presupponendo una tale statuizione un’attività di accertamento del controcredito del Fisco (con riferimento alla relativa sussistenza, liquidità, esigibilità, epoca di insorgenza) che travalica i limiti fissati dal giudicato ed eccede l’ambito della cognizione fissato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 7, pur fatta salva la possibilità di dichiarare la predetta compensazione se sul punto non sia necessaria alcuna attività cognitiva, in quanto accettata sia dal Fisco, che dal contribuente, con riguardo alle reciproche pretese creditorie, ovvero quando il credito opposto dal Fisco promani a sua volta da sentenza passata in giudicato” (Cass., 25/05/2011, n. 11450, Rv. 618174-01; in senso sostanzialmente conforme, Cass., Sez. U., 23/12/2008, n. 30058 – anch’essa invocata dalla controricorrente – che ha affermato l’impossibilità per l’amministrazione di fare valere nel giudizio tributario di ottemperanza il cosiddetto “fermo amministrativo” del credito di rimborso del contribuente, del R.D. 19 novembre 1923, n. 2440, ex art. 69, in quanto istituto preordinato alla compensazione civilistica).

Infatti, anche a prescindere dall’opinibilità dell’assimilazione del riporto in detrazione (cosiddetta compensazione verticale o interna; id est: al meccanismo dell’IVA) all’istituto della compensazione, si deve rilevare che, diversamente dai due invocati precedenti, nella fattispecie in esame il giudice tributario dell’ottemperanza non è chiamato ad accertare un controcredito del fisco che dovrebbe essere compensato con il credito di rimborso del contribuente riconosciuto dalla sentenza da ottemperare – accertamento che Cass. n. 11450 del 2011 e Cass., Sez. U., n. 30058 del 2008 hanno ritenuto travalicherebbe l’ambito del giudizio tributario di ottemperanza – bensì, come si visto, ad accertare se il diritto al “recupero” dell’eccedenza di IVA detraibile da rimborsare sia già stato unilateralmente e direttamente soddisfatto dallo stesso contribuente mediante il riporto in detrazione o in compensazione della stessa eccedenza.

4. In conclusione, l’unico motivo di ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, affinchè, uniformandosi a quanto sopra statuito, esamini l’eccezione di improponibilità del ricorso per ottemperanza sollevata dall’Agenzia delle entrate e si pronunci sulla stessa e affinchè provveda, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 4 giugno 2020

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