Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10568 del 20/05/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10568 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 27221-2014 proposto da:
CALLOCCHIA FRANCESCO, CRETELLA FRANCESCA,
elettivamente domiciliati in ROMA, V.GUIDO ALFANI 29, presso lo
studio dell’avvocato GIANMARCO PANETTA, rappresentati e difesi
dall’avvocato FABIO MASSIMO FAUGNO giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrenti –

POSTE

ITALIANE

SPA

97103880585,

in

persona

dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI HORILLO, che lo rappresenta e difende
giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controrieorrente e ricorrente incidentali –

Data pubblicazione: 20/05/2016

avverso la sentenza n. 5562/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 5/6/2013, depositata il 26/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
24/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.
Fatto e diritto

Poste Italiane s.p.a. e, confermata l’illegittimità del termine apposto al
contratto a tempo determinato intercorso con Francesca Cretella e
Francesco Calocchia e la disposta conversione del rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, ha riformato il capo della decisione di primo
grado relativo alla liquidazione del danno, applicando l’art. 32 della
legge n. 183 del 2010 e condannando la società a corrispondere ai due
lavoratori una indennità risarcitoria ex art. 32 della legge n. 183 citata
che quantificava nella misura di tre mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto percepita oltre rivalutazione monetaria ed interessi
legali a decorrere dal 30.9.2002 per la Cretella e dal 28.9.2002 per il
Calocchia.
Per la cassazione della sentenza ricorrono i due lavoratori denunciando
la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, e la carenza di
motivazione per contrasto anche con la normativa comunitaria e Carta
Europea dei Diritti dell’Uomo.
Assumono i ricorrenti che la norma avrebbe creato una disparità di
trattamento con riferimento alla tutela di cui godono il lavoratori
licenziati rispetto a coloro che sono allontanati indebitamente per il
raggiungimento del termine illegittimamente apposto al contratto, con
la violazione di principi costituzionali e dell’art. 47 Carta Europea dei
diritti dell’uomo.
Poste italiane si è costituita per resistere con controricorso ed ha
proposto anche ricorso incidentale con il quale ha chiesto la riforma
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La Corte di appello di Roma ha in parte accolto il ricorso proposto da

della decisione con riguardo alla decorrenza degli accessori liquidati
dalla Corte territoriale sull’indennità riconosciuta ai sensi dell’art. 32
della legge n. 183 del 2010.
Tanto premesso si osserva quanto segue.
Quanto alle censure formulate con il ricorso principale va rilevato che,

del 2015), le doglianze sono destituite di fondamento e devono essere
rigettate.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della L.
n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 7, dovendo in proposito rilevarsi
che, in ordine alla portata del comma 5, è intervenuta la disposizione di
interpretazione autentica di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13,
in base al quale “La disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010,
n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l’indennità ivi
prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese
le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso
fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il
quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
Premesso che la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, costituisce una
disposizione che di per sé, attraverso la forfetizzazione del danno,
inerisce a quei diritti retributivi e previdenziali di cui qui si eccepisce
l’ingiustificato sacrificio, ma della quale la Corte Costituzionale ha
ritenuto la ragionevolezza siccome “nell’insieme, adeguata a realizzare
un equilibrato componimento dei contrapposti interessi” (cfr., Corte
Costituzionale, n. 303/2011), è stato osservato come dalla
giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr.,

ex plurimis, Corte

Costituzionale, n. 257/2011) sono enucleabili i seguenti principi:
– il divieto di retroattività della legge non è stato elevato a dignità
costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell’art. 25
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in continuità con altre decisioni di questa Corte (cfr. da ultimo n. 6597

Cost., per cui il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare
sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano la portata
precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto
plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con
efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata

valori ed interessi costituzionalmente protetti;
– la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica non può
dirsi irragionevole qualora si limiti ad assegnare alla disposizione
interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come
una delle possibili letture del testo originario; – con riferimento ai
rapporti tra l’art. 117 Cost., comma 1, e le norme della CEDU, come
interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e, in particolare,
con riguardo all’art. 6 della CEDU, la Corte di Strasburgo non ha
inteso enunciare un divieto assoluto d’ingerenza del legislatore, dal
momento che, in varie occasioni, ha ritenuto non contrari al suddetto
art. 6 particolari interventi retroattivi dei legislatori nazionale,
affermando la regola (cfr la sentenza della seconda sezione in data 7
giugno 2011, in causa Agrati ed altri catalia) secondo cui, “Se, in linea
di principio, il legislatore può regolamentare in materia civile, mediante
nuove disposizioni retroattive, i diritti derivanti da leggi già vigenti, il
principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo
sancito dall’art. 6 ostano, salvo che per ragioni imperative d’interesse
generale, all’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia
allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia. L’esigenza
della parità delle armi comporta l’obbligo di offrire ad ogni parte una
ragionevole possibilità di presentare il suo caso, in condizioni che non
comportino un sostanziale svantaggio rispetto alla controparte”;

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giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri

- con la conseguenza che, anche secondo la suddetta regola, “sussiste
lo spazio per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva
(fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.). Diversamente, se ogni intervento
del genere fosse considerato come indebita ingerenza allo scopo
d’influenzare la risoluzione di una controversia, la regola stessa sarebbe

concreto” (cfr, Corte Costituzionale, n. 257/2011, cit. e, per il richiamo
a tali principi, Ca.ss. 21.3.2014 n. 6735).
Deve ritenersi, conformemente a quanto già rilevato da questa Corte,
che nel caso in esame la disposizione di cui alla L.
n. 183 del 2010,art. 32, comma 7, non incide, con efficacia retroattiva,
su diritti di natura retributiva e previdenziale già acquisiti dal
lavoratore, essendo destinata ad operare in relazione a situazioni
processuali ancora sub indice, per le quali deve quindi essere esclusa
l’avvenuta formazione del giudicato, onde risultano manifestamente
infondate le eccezioni di incostituzionalità svolte al riguardo (cfr. Cass.
6735/14 appena citata).
Nè, sulla base dei ricordati principi, possono ravvisarsi dubbi di
costituzionalità con riferimento alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma
13, poiché esso:
– costituisce una disposizione di carattere generale, che non favorisce
selettivamente lo Stato o altro ente pubblico (o in mano pubblica),
perché le controversie su cui essa è destinata ad incidere non hanno
specificamente ad oggetto i rapporti di lavoro precario alle dipendenze
di soggetti pubblici, ma tutti i rapporti di lavoro subordinato a termine;
– ha enucleato una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario
testo normativo, già accolta dalla giurisprudenza della Corte
Costituzionale (cfr, Corte Costituzionale, n. 303/2011, cit., secondo
cui “Un’interpretazione costituzionalmente orientata della novella,
Ric. 2014 n. 27221 sez. ML ud. 24-02-2016
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destinata a rimanere una mera enunciazione priva di significato

però, induce a ritenere che il danno forfetizzato dall’indennità in esame
copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che
corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità
di esso e dichiara la conversione del rapporto”) e dalla giurisprudenza
di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., riti. 3056/2012; 9023/2012);

ambiguo tenore, evidenziata dai diversi indirizzi interpretativi tra una
parte della giurisprudenza di merito e quella di legittimità testé
ricordata;
– non ha inciso su situazioni giuridiche, di natura retributiva e
previdenziale, definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di
una consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali che le abbia
riconosciute;
– non ha inteso realizzare una illecita ingerenza del legislatore
nell’amministrazione della giustizia, allo scopo d’influenzare la
risoluzione di controversie, posto che, in realtà, ha fatto propria una
soluzione già adottata dalla ricordata giurisprudenza costituzionale e di
legittimità;

non è dato ravvisarvi profili di irragionevolezza, posto che,

nell’esercizio del potere discrezionale in via di principio spettante al
legislatore, la finalità di superare un conclamato contrasto di
giurisprudenza, destinato peraltro a riproporsi in un gran numero di
giudizi, essendo diretta a perseguire un obiettivo d’indubbio interesse
generale qual’é la certezza del diritto, è configurabile come ragione
idonea a giustificare l’intervento di interpretazione autentica (così Cass.
6735/2014 cit.).
Peraltro, deve osservarsi che, con la sentenza Carratù (C 2361/2012) emessa il 12.12.2013 – la Corte di giustizia ha escluso un contrasto
dell’art. 32 con la disciplina sovranazionale, anche sotto il profilo della
Ric. 2014 n. 27221 sez. ML – ud. 24-02-2016
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– ha superato una situazione di oggettiva incertezza derivante dal suo

retroattività della norma, in quanto le questioni pregiudiziali sollevate
dal Tribunale di Napoli sotto questo specifico profilo sono state
dichiarate assorbite dal rilievo per cui l’Accordo quadro sul lavoro a
termine non impone di trattare in maniera identica l’indennità
corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto

a tempo indeterminato.
Pertanto, la norma in parola non appare in contrasto né con
l’ordinamento costituzionale, né con quello sovranazionale (cfr. Cass.
28.3.2014 n. 7372).
In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato.
E’ fondata, al contrario, la censura contenuta nel ricorso incidentale
proposto dalla Società Poste Italiane che ha ad oggetto la condanna
della società a corrispondere sull’indennità liquidata in tre mensilità di
retribuzione, anche gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalla
cessazione dei singoli rapporti di lavoro al saldo.
Sostiene la società che il carattere onnicomprensivo dell’indennità
prevista dall’art. 32 comma 5 della I. n. 183 del 2010, esclude la
possibilità di riconoscere su detti importi ulteriori somme a titolo di
accessori di legge ex art. 429 c.p.c. e, in ogni caso, mai prima della
sentenza di condanna al pagamento dell’indennità stessa.
Va rammentato infatti che l’indennità in esame deve essere annoverata
fra i crediti di lavoro ex art. 429, comma 3, cod. proc. civ. giacché,
come più volte affermato da questa Corte, tale ampia accezione si
riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a
quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i
crediti liquidati ex art. 18 legge n. 300 del 1970, Cass. 23 gennaio 2003
n. 1000; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159; per l’indennità ex art. 8 della
legge n. 604 del 1966, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme
Ric. 2014 n. 27221 sez. ML ud. 24-02-2016
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di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto

liquidate a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 cod. civ., Cass.
8 aprile 2002 n. 5024). D’altra parte l’indennità in esame rappresenta
comunque il ristoro (sia pure forfetizzato e onnicomprensivo) dei
danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di
lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla

Va, peraltro, precisato che dalla natura di liquidazione forfettatia e
onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli
accessori ex art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sono dovuti soltanto
a decorrere dalla data della sentenza che, appunto, delimita
temporalmente la liquidazione stessa.
Orbene, l’impugnata sentenza, che ha condannato Poste Italiane s.p.a.
al pagamento della indennità commisurata in tre mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto con gli interessi sulle somme via via
rivalutate dalla scadenza del termine al saldo, non ha correttamente
applicato il suddetto principio ( Cass. n. 7555 del 10 aprile 2014; Cass.
n. 7458 del 31 marzo 2014; Cass. n. 5287 del 6 marzo 2014).
Alla luce di quanto esposto, previa riunione dei ricorsi, va rigettato il
ricorso principale ed accolto il ricorso incidentale con ordinanza ex art.
375 n. 5 c.p.c..
La sentenza deve essere cassata limitatamente alla decorrenza degli
accessori che, con decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc.
civ., decorrono dalla data della sentenza che ha liquidato l’indennità
risarcitoria.
Ferme le spese dei gradi di merito, le spese del giudizio, liquidate in
dispositivo, vanno poste a carico del” parte ricorrenti principali
soccombente.
PQM

Ric. 2014 n. 27221 sez. ML – ud. 24-02-2016
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data della sentenza di conversione del rapporto.

La Corte, riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Accoglie il
ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla
censura accolta e decidendo nel merito condanna la società Poste
Italiane al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione
monetaria a decorrere dalla data della sentenza di primo grado che ha

Condanna le parti ricorrenti in via principale al pagamento in favore
di Poste Italiane s.p.a. delle spese del giudizio di legittimità che si
liquidano in

2500,00 per compensi professionali, € 100,00 per

esborsi, 15 °A) per spese forfetarie ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto

della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei.,
ricorrenti principalq dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma
dell’art.13 comma 1 bis del citato d.p.r..
Così deciso in Roma 11 24 febbraio 2016
residente

accertato l’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

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