Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10567 del 28/04/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 28/04/2017, (ud. 15/12/2016, dep.28/04/2017),  n. 10567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6554-2011 proposto da:

F.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GERMANICO 197, presso lo studio dell’avvocato MAURO MEZZETTI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO NOBILI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. SEDE LIVORNO – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale procuratore speciale della

CARTOLARIZZAZIONE CREDITI INPS S.C.C.I. S.P.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ENRICO

MITTONI, LELIO MARITATO, LUIGI CALIULO, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO

SGROI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 917/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/06/2010 R.G.N. 215/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato MEZZETTI ALBERTO per delega verbale Avvocato

MEZZETTI MAURO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo e

secondo motivo del ricorso assorbito il terzo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata in data 15/6/2010, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da F.D. contro la sentenza resa dal Tribunale di Livorno tra l’appellante, l’Inps e la Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps, che aveva rigettato l’opposizione proposta dalla F. contro la cartella di pagamento, notificata in data 10/10/2007 ed avente ad oggetto il pagamento di contributi previdenziali e somme aggiuntive relativi ai rapporti di lavoro subordinato intercorsi tra la società e tre lavoratrici.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che la valutazione compiuta dal primo giudice circa la natura subordinata dei rapporti fosse corretta e condivisibile, in considerazione del rilievo che il nomen iuris dato dalle parti ai contratti (di collaborazione coordinata e continuativa) non era vincolante per la loro qualificazione a fronte del concreto atteggiarsi dei rapporti da cui emergevano elementi tipici della subordinazione.

3. Contro la sentenza, la F. propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi illustrati da memoria, cui resiste l’Inps, anche quale procuratore speciale della Società di cartolarizzazione dei crediti, con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono tre.

1. Il primo ed il secondo motivo sono volti a censurare la sentenza per violazione dell’art. 246 c.p.c., per avere il giudice del merito fondato la sua decisione esclusivamente sulle testimonianze delle lavoratrici, le quali versavano in una situazione di incapacità testimoniale (primo motivo), nonchè per la omessa motivazione da parte della corte territoriale sul relativo motivo di gravame (secondo motivo). Entrambi i motivi sono infondati.

1.1. Sotto il profilo della violazione di legge, deve rilevarsi che l’eccezione di nullità della testimonianza per incapacità a deporre deve essere sollevata immediatamente dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del procuratore della parte all’incombente istruttorio, entro la successiva udienza, restando, in mancanza, sanata, senza che assuma rilievo l’eccezione d’incapacità a testimoniare che la parte abbia preventivamente formulato, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., la quale non include l’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione (in tal senso da ultimo, Cass. 19/08/2014, n. 18036). Alla stregua di tale principio, la parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare di avere eccepito la nullità delle contrastate deposizioni testimoniali all’atto stesso della loro assunzione, o immediatamente dopo (Cass. n. 8358 del 2007; Cass. n. 17713 del 2013), indicando in che termini, in quale atto processuale e in quale fase l’eccezione sarebbe stata sollevata, depositando altresì l’atto o il verbale di causa in cui ciò sarebbe avvenuto, apparendo del tutto insufficiente la generica deduzione di aver eccepito la violazione dell’art. 246 c.p.c..

1.2. Quanto al denunciato difetto di motivazione, soccorre anche in tal caso il principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, qualora, in sede di ricorso per cassazione, venga dedotta l’omessa motivazione del giudice d’appello sull’eccezione di nullità della prova testimoniale (nella specie, per incapacità ex art. 246 c.p.c.), il ricorrente ha l’onere, anche in virtù dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare che detta eccezione è stata sollevata tempestivamente ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, subito dopo l’assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346 cod.proc.civ., dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo (da ultimo, Cass. 23/11/2016, n. 23896).

1.3. Deve aggiungersi che l’eventuale nullità di un atto di acquisizione probatoria non comporta automaticamente la nullità (derivata) della sentenza, atteso che i rapporti tra atto di acquisizione probatoria nullo e sentenza non possono definirsi in termini di nullità derivata di quest’ultima, quanto, piuttosto, in termini di giustificatezza o meno delle statuizioni in fatto della sentenza stessa, la quale, cioè, in quanto fondata sulla prova nulla, è priva di (valida) motivazione, non già nulla a sua volta: infatti l’atto di acquisizione probatoria non fa necessariamente parte dell’iter procedimentale che conduce alla sentenza e il cui vizio determina la nullità, ma incide soltanto sul merito delle valutazioni in fatto compiute dal giudice, le quali, peraltro, possono essere sindacate in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. n. 17247 del 2006; conforme: Cass. n. 19072 del 2004). Nella specie l’istante si limita a denunciare la pretesa violazione della legge processuale, ma nel motivo non censura in concreto l’accertamento in fatto eseguito dalla Corte territoriale anche, ma non solo, sulla base delle deposizioni tacciate di nullità (così Cass. n.18036/2014, cit.). Sotto tale riguardo, la censura difetta anche di decisività.

2. E’ nel terzo motivo che la parte censura la sentenza per l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la natura giuridica del rapporto di lavoro.

2.1. Esso è infondato, oltre a presentare evidenti profili di inammissibilità. L’inammissibilità sta nel fatto che la parte non trascrive, se non per brevi stralci, le deposizioni testimoniali che sarebbero state male interpretate dai giudici di merito; non deposita i verbali di causa in cui esse sarebbero state raccolte, nè indica dove essi sarebbero attualmente rinvenibili. Il mancato assolvimento di questi oneri rende il ricorso non rispettoso del principio di autosufficienza (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; v. pure Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966).

2.2. Ma il motivo è anche infondato perchè la Corte ha compiutamente esaminato le prove acquisite nel giudizio e le ha valutate globalmente, analizzando la posizione delle lavoratori, le mansioni svolte, gli orari di lavoro, la sottoposizione alle direttive e al controllo del datore di lavoro. Ha poi correttamente rilevato come la semplicità e ripetitività delle mansioni assegnate nel contesto di un’attività, quale quella di addette alle pulizie, che si muove secondo schemi organizzativi standardizzati, comportano una minore incidenza del potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro, il quale non ha necessità di estrinsecarsi in ordini puntuali, quotidiani e dettagliati, dovendosi piuttosto apprezzare – al fine di accertare la natura del rapporto – l’inserimento del dipendente nell’organizzazione aziendale. Al riguardo la Corte ha sottolineato che il momento organizzativo saliente dell’attività di impresa era costituito dagli accordi che la odierna ricorrente prendeva con i committenti, circa il tipo di pulizia, i giorni e le ore in cui effettuarle, e che le tre lavoratrici sottostavano a questa organizzazione, senza alcun margine di autonomia nè assunzione di alcun rischio carattere economico, e verso un corrispettivo fisso su base oraria e dunque commisurato non già al risultato raggiunto ma alle ore lavorate.

2.3. Si tratta di una valutazione che, in quanto svolta nel rispetto dei criteri generali ed astratti elaborati dalla giurisprudenza di questa torte dai quali desumere la subordinazione, e sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, è incensurabile in questa sede, avendo la Corte territoriale dato adeguatamente conto del proprio convincimento con argomentazioni logiche e coerenti e supportate da evidenze istruttorie puntualmente indicate.

Al riguardo va ricordato che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass., 13 giugno 2014, n.13485; Cass., 10 giugno 2014, n. 13054; Cass., ord., 6 aprile 2011, n. 7921; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499; Cass., 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 7 agosto 2003 n. 11933).

3. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA