Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10565 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1479/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 176/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 22/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con l’impugnata sentenza la commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, ha respinto l’appello proposto dall’agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 193/06/2000 con la quale la commissione tributaria provinciale della stessa città aveva accolto un ricorso di B.G. contro un avviso di accertamento per Irpef e Ilor dell’anno 1992.

Premesso che era stata nell’avviso recuperata a tassazione una cospicua somma (L. 164.500.000) quale elemento negativo di reddito non deducibile, siccome derivato dalla detrazione di fatture per operazioni inesistenti, la commissione regionale ha ritenuto che l’onere della prova, incombente sull’amministrazione, non fosse stato in effetti adempiuto. Ha osservato che l’accertamento era derivato da una verifica fiscale congiunta presso il B. e presso la ditta fornitrice Euroimpianti.

Mentre la verifica eseguita (dalla G.d.F. di Castelvolturno) presso la ditta Euroimpianti, emittente le fatture contestate, aveva portato ad affermare l’effettività di talune regolari operazioni accanto ad altre invece irregolari, perchè correlate a fatture “gonfiate” o perchè di per sè inesistenti, di contro la verifica fiscale eseguita in esito a quella anzidetta, presso il B., (dalla G.d.F. di Pisogne) aveva apoditticamente considerato tutte le fatture di Euroimpianti, emesse all’indirizzo del medesimo B., come relative a operazioni inesistenti, senza che dai verbali prodotti emergessero elementi a sostegno di tale conclusione.

Per la cassazione di questa sentenza ricorrono il Ministero dell’economia e l’agenzia delle entrate, articolando un motivo.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso proposto dal Ministero dell’economia e finanze è inammissibile, avendo nel giudizio di merito assunto la gestione della lite la sola agenzia delle entrate, ente dotato di autonomia soggettiva di diritto pubblico ex D.Lgs. n. 300 del 1999 (per tutte, sez. un. 2006/3116).

2. – Con unico articolato motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 56 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè vizio di motivazione, in ordine alla ripartizione inter partes dell’onere della prova circa l’effettività delle operazioni fatturate. Si sostiene che, essendo stato motivatamente disconosciuto un diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti, era onere del contribuente fornire la prova della effettività delle operazioni sottostanti le fatture.

3. – Il motivo, che contiene due censure, non può trovare consenso.

Vero è che secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 8073/2010; n. 11205/2007; n. 3106/2006; n. 17841/2004; 10802/2002) nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova in ipotesi di accertamento delle imposte sui redditi, spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata (fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile); mentre spetta al contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e/o a costi deducibili, e del requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa.

In questo senso non è in discussione la correttezza, in diritto, dell’affermazione iniziale della ricorrente, nel senso che, astrattamente parlando, ove la pretesa tributaria non derivi dall’attribuzione di maggiori entrate, sebbene dal disconoscimento di costi od oneri deducibili esposti dal contribuente, non è esattamente individuata nell’amministrazione la parte tenuta a dare la prova afferente, onde potersi desumere le conseguenze giuridiche derivanti dall’accertata inosservanza di detto onere. Sennonchè l’esattezza di simile rilievo nulla toglie al fatto che, ancora in base all’orientamento più consapevole di questa Corte, grava previamente sull’amministrazione l’onere di fornire adeguati elementi di supporto in ordine al fatto che le operazioni, oggetto delle esposte fatture, in realtà non sono state mai poste in essere. Solo ove l’amministrazione fornisca validi elementi per una tale affermazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. 2008/15395). Tanto costituisce il riflesso della regola generale di ripartizione dell’onere della prova in relazione ai fatti costitutivi dell’accertamento, in forza della quale – sia in tema di imposte dirette (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40) che in tema di Iva (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) – l’inesistenza di passività dichiarate (nel primo caso) o le false indicazioni messe al fondo di detrazioni indebite (nel secondo) debbono essere complessivamente supportate dagli elementi presuntivi innanzi tutto forniti dall’amministrazione; solo in un secondo momento, quindi, il giudice tributario, qualora possa ritenere tali elementi dotati di gravità, precisione e concordanza, è tenuto a dare ingresso alla valutazione della prova contraria di cui è onerato il contribuente, ai sensi degli artt. 2727 e segg. e art. 2697 c.c., comma 2, (cfr. ex multis Cass. 2010/9784; Cass. 2010/4306; Cass. 2008/15395).

4. – Nel caso di specie il giudice di merito ha ritenuto difettare giustappunto la condizione previa sopra riferita. Sebbene dinanzi all’accertata avvenuta emissione, da parte di Euroimpianti, di “fatture corrette, fatture gonfiate e fatture per operazioni inesistenti”, ha negato validità alla apodittica deduzione per cui tutte le fatture emesse nei confronti di B. dovessero considerarsi come afferenti a operazioni inesistenti.

Ha in tal modo reso un giudizio sorretto da base legale, dal momento che non è errata l’affermazione che – “ciò sarebbe stato possibile se Euroimpiati non avesse effettuato alcuna attività concreta”;

mentre – ha aggiunto la commissione – “non risulta nei verbali prodotti (..) su quali elementi sia fondata la conclusione che tutte le fatture emesse nei confronti del contribuente fossero inesistenti”.

Una simile valutazione, rientrando nell’alveo del giudizio di fatto, non contraddice la regula iuris appena sopra riferita, e, in quanto correttamente motivata, si sottrae al sindacato in sede di legittimità.

Da tanto discende il rigetto della complessiva censura.

Nulla per le spese in mancanza di costituzione del resistente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e rigetta quello dell’agenzia delle entrate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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