Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10564 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 21/04/2021), n.10564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano P. – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4089-2016 proposto da:

Z.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO

SIACCI, 38, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GIUSSANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUCIANO SCRIVANO;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA QUINTINO SELLA

41, presso lo studio dell’avvocato CAMILLA BOVELACCI, rappresentato

e difeso dagli avvocati ALBERTO LEONE, ANNA IPPOLITA SCHIAVI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 653/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/08/2015 R.G.N. 620/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BARBARA PICCINI, per delega Avvocato LUCIANO

SCRIVANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

che, con sentenza del 10 agosto 2015, la Corte d’Appello di Bologna confermava la decisione resa dal Tribunale di Bologna e accoglieva la domanda proposta da M.R. nei confronti di Z.S., che alle dipendenze del primo operava come impiegata amministrativa, avente ad oggetto la restituzione del complessivo importo di Euro 104.030,00, di cui la stessa si era appropriata nel corso del rapporto di lavoro, nel periodo dal (OMISSIS), mediante incasso di n. 59 assegni compilati e con firma di traenza e girata del titolare falsificati e falsificazione della stessa firma nelle distinte di presentazione degli effetti allo sportello della banca, con condanna della Z., di cui accoglieva la sola domanda svolta in via riconvenzionale concernente il pagamento della mensilità di ottobre 2006 e del TFR, compensando gli accertati controcrediti, per complessivi Euro 98.820,00;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto che l’accertamento a carico della Z. della debenza della somma complessiva di cui – derivandola dall’episodio fatto oggetto di denuncia penale con riferimento al quale le veniva imputata la sottrazione di un assegno, l’apposizione su questo della firma di traenza ed il tentativo di porlo all’incasso per estendere poi, sul piano meramente disciplinare, l’addebito concernente l’aver tenuto, nel periodo indicato, analogo comportamento relativamente ad altri 58 assegni di cui il M. sosteneva mancassero le matrici, le si addebita di essersi appropriata – discendeva essenzialmente dall’essere risultato comprovata, tramite CTU grafico-grafologica, espletata in prime cure e regolarizzata, quanto al contraddittorio tra il consulente d’ufficio ed i consulenti di parte, innanzi alla stessa Corte territoriale, che, del primo, disponeva l’audizione a chiarimento, valutando esaustive e convincenti le risposte fornite, la riferibilità di tutte le scritture e sottoscrizioni, non al M. ma alla Z., esito non scalfito dal risultato dell’analoga perizia svolta in sede penale riferita al solo assegno da ultimo falsificato e conclusosi con un giudizio, insufficiente in quell’ambito, di dubbia riferibilità alla Z. di scritture e sottoscrizioni e così provato altresì che il prelievo fosse stato effettuato dalla Z. medesima, accertamento da considerarsi, stante il carattere solidale della responsabilità, non inficiato dalla mancata indagine a carico della banca, corresponsabile degli ammanchi subiti dal M. per aver negoziato gli assegni con firma apocrifa, banca, peraltro, neppure evocata in giudizio dalla Z., e che, a fronte di tali elementi, doveva considerarsi non aver la Z. fornito la prova, sulla stessa incombente, di aver, volta per volta, consegnato le somme prelevate al M., non essendo sufficiente l’invocare in senso contrario le prove indirette sul tenore di vita della lavoratrice o sul mancato transito delle somme oggetto di appropriazione sui conti bancari personali, nè valendo, al fine di indurre perplessità in ordine all’effettività della mancanza, il ritardo con cui il M. assumeva di essere venuto a conoscenza del fatto;

che per la cassazione di tale decisione ricorre la Z., affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resiste, con controricorso, M.R.;

che la ricorrente ha poi depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2729 c.c.art. 113 c.p.c., comma 1, art. 115 c.p.c., comma 2 e art. 116 c.p.c., comma 1, lamenta l’incongruità dell’iter logico seguito dalla Corte territoriale per addivenire al convincimento dell’imputabilità alla ricorrente del prelievo delle somme e dell’appropriazione delle stesse, in quanto assume aver la Corte medesima derivato impropriamente quel convincimento dall’accertamento della falsificazione degli assegni negoziati a carico della Z., accertamento, a suo dire, per di più smentito dall’esito della CTU espletata in sede penale, così da non essere quel convincimento neppure desumibile in via di presunzione;

che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2721,2726 e 2729 c.c. in relazione con l’art. 100 c.p.c., lamenta a carico della Corte territoriale il malgoverno delle regole in materia di onere della prova laddove, per effetto dell’accertato prelievo delle somme da parte della Z. che aveva falsificato gli assegni che le recavano, riteneva incombere alla stessa la prova dell’avvenuta consegna delle somme stesse al M., tanto più che in sede penale era stata esclusala prova dell’appropriazione;

che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2721,2726 e 2729 c.c. è prospettata con riferimento all’impossibilità nella specie di surrogare la prova scritta (la ricevuta delle somme consegnate al M.), la sola che sarebbe valsa ad attestare l’avvenuta consegna al M. delle somme prelevate con la prova per presunzioni;

che con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 652 e 530 c.p.p., imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione dell’esito del giudizio penale definito con sentenza di assoluzione della Z. per non aver commesso il fatto, per non aver tratto dal percorso motivazionale seguito dal giudice in quella sede argomenti per negare anche in sede civile la responsabilità della ricorrente per gli addebiti mossi;

– che con il quinto motivo si deduce il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla mancata considerazione del dato emerso nel giudizio penale della negata contraffazione dell’unico assegno oggetto di quel giudizio e dell’irrilevanza di quel dato sulla valutazione della CTU espletata in sede civile;

– che nel sesto motivo il vizio di motivazione ex art. 111 Cost., comma 6, è dedotto con riferimento alla mancata esposizione delle ragioni di deroga al divieto di applicazione della presunzione semplice ad una fattispecie che la escludeva per essere inammissibile la prova del fatto che la presunzione è stata chiamata ad inverare;

– che tutti gli esposti motivi – i quali possono essere qui trattati congiuntamente costituendo essi esclusivamente l’articolazione di una argomentazione che fa da sfondo alla complessiva impugnazione proposta per la quale l’attribuzione di responsabilità alla ricorrente dell’appropriazione delle somme che il datore assume essergli state sottratte attraverso la negoziazione presso lo sportello della banca, nel periodo compreso tra il (OMISSIS), di n. 59 assegni, derivando ciò dall’episodio da ultimo verificatosi e sfociato nella denuncia penale per cui la Z. era stata imputata di essersi impossessata di un assegno di aver contraffatto la firma di traenza e di aver tentato di incassarlo presso la banca, è fondata su una prova presuntiva che ripete la sua validità dalla rilevanza probatoria attribuita all’esito della CTU grafico-grafologica espletata in prime cure e ridiscussa in sede di gravame, per il quale era riferibile alla ricorrente la falsificazione delle scritture e delle sottoscrizioni recate dagli assegni e dalle distinte bancarie, validità che, viceversa, non sussiste per essere stato quell’esito smentito dalla perizia espletata nell’ambito del giudizio penale che negava l’essere la ricorrente autrice di quella contraffazione tanto da concludersi con sentenza di assoluzione per non aver la Z. commesso il fatto – devono ritenersi infondati atteso che, come puntualmente rilevato nella motivazione dell’impugnata sentenza, al di là della circostanza, ammessa dalla stessa ricorrente, per cui la CTU espletata nel giudizio penale era limitata al solo assegno oggetto della denuncia, non vi è contraddizione alcuna tra le due CTU, non essendo risultata all’esito di quella espletata in sede penale negata la falsificazione da parte della Z. ma semplicemente incerta l’attribuzione alla medesima, incertezza che non ha impedito in ambito civile l’addebito della stessa alla Z., ma solo diversità di impatto, trattandosi in sede penale di attribuire con certezza la commissione di un reato, laddove, in sede civile, è in gioco l’esigenza di preservare la parte di una relazione negoziale dal pregiudizio proveniente dall’altro contraente ove di tale condotta lesiva possa ritenersi, sulla base di un’adeguata motivazione, raggiunta la prova, e sta di fatto che, nella specie, la ricorrente, mentre non nega di aver avuto in disponibilità le predette somme e di averle acquisite attraverso la falsificazione degli assegni negoziati in banca e dunque non nega il fatto causativo del danno causato al M., dato dall’ammanco creato nei conti bancari del medesimo, non offre prova della ricorrenza del fatto impeditivo di quel pregiudizio, come ai sensi del 2697 c.c. le incombeva, dato dall’aver così operato su indicazione del datore e di aver provveduto alla consegna al medesimo delle somme prelevate, il che sottrae la sentenza impugnata ad ogni censura, risultando il fatto lesivo, dato dall’aver la Z. negoziato in banca gli assegni con firma apocrifa, provato non in via presuntiva, come erroneamente sostiene la ricorrente (derivandone l’infondatezza delle censure di cui al terzo e sesto motivo relative al divieto di valersi a fini probatori delle presunzioni allorchè sia richiesta la prova scritta del fatto su cui la presunzione invocata si fonda) bensì all’esito dell’accertamento istruttorio, che ben poteva fondarsi sulla CTU, trattandosi, come correttamente afferma la Corte territoriale, di verificare situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche;

– che il ricorso va dunque rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo; che sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, ove spettante (conformemente all’orientamento di cui a Cass., SS.UU., 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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