Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10564 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9104/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

PARTENO GROUP SRL, in persona dell’Amministratore e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

CAMILLO SABATINI 150 (V.B.5/1) presso lo studio dell’avvocato

CEPPARULO ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato AMATUCCI

Andrea, procura speciale Dr. GIULIANO SCARDACCIONE in NAPOLI REP.

27608 del 21/02/2007;

– resistente –

avverso la sentenza n. 31/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 07/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIACOBBE DANIELA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato AMATUCCI ANDREA, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con due avvisi di accertamento, l’agenzia delle entrate di Napoli recuperò a tassazione costi non inerenti e relativi a operazioni inesistenti e ricavi non contabilizzati della s.r.l. Partenogroup, accertando, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, maggiori redditi imponibili ai fini Irpeg e Ilor per gli anni 1997 e 1998, oltre a un maggior valore di produzione ai fini dell’Irap. Basò le conclusioni dell’accertamento su una documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica fiscale.

La società propose separati ricorsi dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Napoli, che li accolse con sentenze nn. 238 e 239 del 3.5.2002.

Queste sentenze, previa riunione dei relativi appelli interposti dall’amministrazione finanziaria, vennero confermate dalla commissione tributaria regionale della Campania, con motivazione articolata sui seguenti passaggi:

(a) la documentazione extracontabile, nella specie rappresentata da fogli manoscritti e strutturata come un conto economico a costi e ricavi, con attestazione dei dati di bilancio con segni “meno” e “più”, non potevasi da sola ritenere sufficiente a dimostrare la contabilizzazione di costi relativi a operazioni inesistenti, essendo l’ufficio accertatore tenuto, sulla base della citata documentazione, a svolgere ulteriore attività istruttoria tesa a verificare la concretezza degli elementi emersi;

(b) correttamente i primi giudici avevano ritenuto inidonea la metodologia usata dagli accertatori per provare l’indeducibilità dei costi relativi a operazioni inesistenti, dal momento che l’inesistenza era stata dedotta da un controllo a scandaglio su circa trecento fornitori, evidenziante probabili sovrafatturazioni senza tuttavia indicazione analitica delle fatture ritenute tali;

(c) era in questo senso onere dell’ufficio impositore individuare esattamente le fatture (riferite a operazioni inesistenti) e tutti i corrispondenti fornitori, al fine di “ricercare ulteriori elementi probatori (movimentazioni bancarie, dati e documenti rinvenuti presso terzi ecc.) che rafforzassero tali presunzioni”;

(d) egualmente scorretta era da ritenere la metodologia usata per la prova del conseguimento di ricavi non contabilizzati nel conto economico, dal momento che l’ufficio non aveva provveduto a eseguire alcuna successiva verifica contabile, essendosi limitato a ritenere “l’infedeltà della dichiarazione da elementi inidonei e da argomentazioni apodittiche dei funzionari verbalizzanti”; mentre i primi giudici avevano correttamente confutato (1) l’assunto circa il recupero di costi connessi a un rapporto di collaborazione (con tale D.L.), in ragione della corretta data del relativo contratto;

(2) l’assunto circa il coinvolgimento della società accertata nelle fatturazioni eseguite in favore della società Intratech, in ragione della mancanza di prova della effettiva emissione delle relative fatture e dell’incasso delle corrispondenti somme.

Avverso questa sentenza, pubblicata il 7.4.2005 e non notificata, l’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sorretto da due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva, salvo il deposito di procura speciale per la discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, l’amministrazione finanziaria deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, artt. 323 e 352 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 52, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Assume di aver puntualmente appellato la sentenza di primo grado sostenendo che questa aveva omesso di analizzare gli elementi posti al fondo degli analitici recuperi, con particolare riguardo (a) alle spese telefoniche non di pertinenza; (a) ai costi di cancelleria e stampati; (c) alla contabilizzazione di spese di manutenzione e riparazione di automezzi mai effettuate e comunque non sorrette da idonea documentazione. Censura la sentenza per aver omesso ogni analisi dei motivi di appello anche alla luce dei principi che governano la ripartizione dell’onere della prova, e di essersi invece limitata a una pedissequa ripetizione, con sovrapposizione di periodi motivanti, del contenuto sostanziale della pronuncia di primo grado.

Donde, in definitiva, era mancato del tutto il riesame della relativa decisione sulla base dei motivi di gravame.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 42, nonchè degli artt. 2637, 2727 e 2730 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che, ancora, vizio di motivazione, per avere la sentenza violato i principi che governano la ripartizione dell’onere della prova in tema di accertamento tributario.

La ricorrente premette che, salvo che per i recuperi di costi per la prestazione di collaborazione mentovata in narrativa (attinente a D. L.), e per il recupero di ricavi presuntivamente conseguiti in esito alle fatturazioni concernenti la società Intratech, la sentenza ha omesso di esaminare i rilievi posti a base della operata rettifica fiscale, con confusa enunciazione di principi di diritto estranei al sistema. In particolare la ricorrente sostiene che non incombe all’ufficio finanziario l’onere di fornire prove “indiscutibilmente certe” a sostegno delle sue pretese, essendo consentito l’uso di presunzioni (art. 39, comma 1, cit.) purchè fondate su elementi gravi, precisi e concordanti; e che, in tal guisa, anche un solo elemento indiziario è sufficiente allo scopo. E il rinvenimento di documentazione extracontabile presso l’imprenditore può essere ritenuto “sufficiente (..) a far ritenere l’esistenza dei maggiori redditi da essa risultanti, specie se (come avvenuto nel caso di specie) l’analitica documentazione (..) attesti la tenuta di una vera e propria contabilità parallela che, con minuzia ragionieristica, dia conto sia dei ricavi non contabilizzati sia dei costi fittizi (..) e se il contribuente non fornisca nessuna plausibile giustificazione di tale documentazione, dei suoi dati e dei suoi simboli”.

2. – E’ assorbente e meritevole di accoglimento il secondo motivo.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di ritenere che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, la documentazione extracontabile, costituita da appunti e annotazioni personali, ovvero agende o brogliacci dell’imprenditore, da cui si desumano attività non dichiarate, rappresenta un grave indizio dell’incompletezza, della falsità o dell’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione, e consente all’amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica del reddito d’impresa su base presuntiva (cfr. per tutte Cass. n. 24206/2008; Cass. n. 10137/2010).

Reputa in questo senso il collegio di porsi nel solco dell’orientamento riferito, per cui la c.d. contabilità in nero, costituita da appunti personali e informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, cit. (art. 39), “dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c., e segg., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria” (Cass. n. 25610/2006).

Alla luce dei riferiti criteri di giudizio, non è dubitabile che il ritrovamento, da parte dell’amministrazione finanziaria, di una “contabilità parallela” a quella tenuta ufficialmente legittima, di per sè, e a prescindere dalla sussistenza di qualsiasi altro elemento, la rettifica della dichiarazione ai sensi della disposizione citata, restando impregiudicata soltanto la verifica in sede contenziosa della concreta riscontrabilità, nella cennata documentazione, dei requisiti suscettibili di configurare i presupposti per l’esercizio del potere di accertamento (v. tra le tante Cass. n. 1575/2007; n. 2217/2006).

3. – Il giudice di merito non si è attenuto alle coordinate del ripetuto insegnamento.

Infatti, sebbene avendo affermato che “gli avvisi di accertamento si fondano, nella fattispecie, (..) sul rinvenimento di documentazione extracontabile, rappresentata da alcuni fogli manoscritti, strutturata come un conto economico a costi e ricavi”, e sebbene avendo descritto le caratteristiche della riferita documentazione in termini coerenti col concetto di “contabilità parallela” – nel senso cioè della idoneità della documentazione ad attestare “i dati di bilancio con annotazioni di variazioni con segno meno e segno più”, ha ritenuto la detta documentazione insufficiente a fondare l’inferenza della avvenuta contabilizzazione di costi per operazioni inesistenti e della omessa contabilizzazione di ricavi. Tanto sul rilievo di un supposto e inesistente onere aggiuntivo dell’ufficio finanziario, “di ricercare ulteriori elementi probatori” rafforzativi della presunzione (movimentazioni bancarie, riscontri documentali presso terzi, e così via).

Il secondo, assorbente, motivo di ricorso va pertanto accolto, e la sentenza impugnata cassata.

4. – Non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto. Dalla sentenza non risulta invero in alcun modo riscontrata l’affermazione della società in ordine alla funzione di “bilancio previsionale” della documentazione de qua, anche prescindendo dalla inspiegata ragione dell’uso di un mero brogliaccio al riguardo, anzichè degli ordinar criteri di predisposizione di un documento contabile ufficiale. Notasi che la proiezione dell’andamento sociale in futuro viene normalmente inserita, semmai, nella relazione sulla gestione degli amministratori (art. 2428 e 2429 bis c.c., nel testo in vigore al momento dei fatti), ovvero divulgata a mezzo di informazione nel corso dell’assemblea dei soci. Cosa, nella specie, neppure dedotta.

La Corte può quindi decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’impugnazione a suo tempo proposta contro gli avvisi di accertamento.

Le spese processuali seguono la soccombenza, previa liquidazione di quelle dei gradi di merito secondo il principio di globalità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo; dichiara assorbito il primo;

cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione avverso gli atti impositivi. Condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidando dette spese in complessivi Euro 4.600,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, quanto ai gradi di merito, nonchè in Euro 10.000,00 quanto al giudizio di cassazione, oltre in entrambi i casi alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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