Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10563 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8571/2006 proposto da:

SIDERMETAL SPA già SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA AREZZO 38 presso lo

studio dell’avvocato MESSINA Maurizio, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CASTELLI TULLIO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 271/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 09/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MAFONTI ANTONIO per delega Avv.

MESSINA MAURIZIO, che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato GIACOBBE DANIELA, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’ufficio distrettuale delle II.DD. di Brescia, con distinti accertamenti conseguiti a un p.v.c. della G.d.F. di Milano, rideterminò il reddito ai fini Irpeg e Ilor della società Sidermetal s.r.l. (oggi s.p.a.) relativo agli anni 1994 e 1995, disconoscendo la deducibilità di costi risultanti da fatture ritenute soggettivamente false.

Ne derivarono due impugnazioni che, previa riunione, la commissione tributaria provinciale di Brescia accolse.

Codesta decisione venne riformata, su appello dell’amministrazione finanziaria, dalla commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, la quale, con sentenza 271/67/05, pubblicata in data 9.1.2006, ritenne provato, in base a elementi tratti dal p.v.c. suddetto, che la società Sidermetal fosse ricorsa ad acquisti di merce da fornitori esteri mediante il filtro di società italiane (Vimar s.r.l. e La Metalli) svolgenti funzione di semplici ed.

“cartiere”. In particolare la commissione trasse la riferita conclusione dalle seguenti circostanze: (1) l’essere emerso dal verbale della G.d.F. che la Vimar aveva iniziato l’attività il 20.5.1994 e presentato la dichiarazione dei redditi solo per gli anni in questione (1994 e 1995),- (2) l’essere stata questa società amministrata da una persona (tale S.M.A.) che aveva affermato, dinanzi alla G.d.F., di agire quale semplice prestanome, senza concreto svolgimento di attività gestoria (3) l’essere gli accertamenti fiscali contro la Vimar divenuti definitivi per mancata impugnazione; (4) l’essere risultata la società priva di documentazione contabile e di struttura operativa, con sede ubicata presso una mera società di servizi (Tiempo Nord s.p.a.); (5) l’essere l’altra società (La Metalli) risultata altrettanto priva di struttura operativa, e con attività limitata a soli cinque mesi (dalla data di inizio del 5.6.1996 a quella di cessazione del 16.11.1996). Ritenne quindi che le due anzidette società non avessero in verità fornito merce alcuna alla Sidermetal, essendosi limitate a emettere fatture per operazioni svolte da terzi. Affermato però che l’acquisto di merce presso terzi fosse stato in qualche modo dimostrato, ritenne di dover rideterminare il reddito applicando ai ricavi contabilizzati un ricarico del 10%, pari alla media del settore (variabile tra 8 e 12%).

Avverso questa sentenza la Sidermetal ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da due motivi e illustrato infine da memoria, cui gli intimati – Ministero dell’economia e agenzia delle entrate – hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile nella parte in cui coinvolge il Ministero dell’economia, giacchè questi, soggetto distinto dall’agenzia fiscale, ente a sua volta dotato di autonomia soggettiva di diritto pubblico ex D.Lgs. n. 300 del 1999, non fu parte degli anteriori gradi di merito (per tutte, sez. un. 2006/3116).

2. – La Sidermetal deduce, col primo motivo, vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), sotto il profilo di omissione e/o di insufficienza sul punto decisivo della ritenuta inesistenza soggettiva delle operazioni per le quali risultarono emesse le fatture (Vimar e La Metalli) portate a costo. In sintesi sostiene che, a fronte degli elementi di prova considerati dalla sentenza, altri si sarebbero dovuti prendere in considerazione, quali (a) l’assoluzione in sede penale di U.C., legale rappresentante di essa società, nel proc. n. 3050/04 presso il Tribunale di Brescia; (b) l’accertata, in sede di verifica tributaria, regolarità delle scritture contabili della società; (c) l’accertato compatibile ambito dell’oggetto sociale delle società tornitrici rispetto a quello di essa Sidermetal (d) l’inesistenza di accertamenti in ordine agli abituali fornitori esteri e non; (e) l’avvenuta produzione in giudizio, in allegato al ricorso di essa Sidermetal, dei documenti di acquisto della merce (fatture e bolle) e dei relativi pagamenti a mezzo assegni e bonifici (f) l’inesistenza di acquisti eseguiti presso la ditta La Metalli negli anni in contestazione.

Col secondo motivo deduce violazione di norme di diritto (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 72, 75, 81, 83 e 85 (T.U.I.R.), anche con riferimento agli artt. 86, 89, 115 e 118), oltre che vizio di motivazione, per avere la commissione rideterminato il reddito imponibile previa applicazione di un ricarico del 10%. Invero la commissione, limitandosi ad affermare che quella suddetta fosse la media del settore, avrebbe violato le disposizioni in materia, stante che il reddito, a fronte di una contabilità formalmente regolare, avrebbe dovuto essere semmai determinato in base alle risultanze contabili; mentre la percentuale di ricarico sarebbe stata fissata immotivatamente al 10%, nulla essendo stato indicato a sostegno dell’affermazione di essere – quella – la media del settore.

3. – Entrambi i motivi sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Quanto al primo, deve premettersi che nulla di specifico è indicato a proposito dell’oggetto del procedimento penale asseritamente definito con la richiamata sentenza del Tribunale di Brescia. Del tutto inidonea è l’affermazione (peraltro non riscontrata, nel ricorso, da un’esposizione autosufficiente) di essere stato il detto procedimento instaurato “in relazione agli acquisti effettuati presso la Vimar s.r.l. e la Metalli di Casatuto Giuseppe”.

Ciò stante, e richiamata invero la motivazione della sentenza impugnata, può osservarsi che la censura è diretta a sollecitare una revisione critica dell’iter del ragionamento che ha condotto il giudice di merito alla ritenuta conclusione di falsità soggettiva delle fatture in questione. Mentre va considerato che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciabile col ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.

Tali vizi, cioè, non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (Cass. n. 10657/2010; n. 8547/2010; n. 18119/2008; n. 15489/2007; n. 7972/2007). Giustappunto in tale ottica il motivo formulato si appalesa inammissibile, risolvendosi nella deduzione di un insieme di elementi che il giudice tributario avrebbe omesso di valutare, ma che, in realtà, come si evince dalla motivazione della sentenza, sono stati ritenuti ininfluenti a fronte della valorizzazione di altri elementi di prova, ritenuti invece decisivi in ordine alla inidoneità strutturale delle società apparentemente fornitrici. Nè l’impugnante evidenzia le ragioni che, nelle condizioni date, indurrebbero in contrario a ritenere tali, in vista di un ipotetico diverso giudizio sullo specifico profilo, i fatti (secondari) desumibili dalle circostanze nel ricorso enumerate.

Sicchè in definitiva, nel ragionamento del giudice di merito, non è riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, quanto indicato essendo, sebbene nella sua sinteticità, immune da vizi logici e congruente con la affermata conclusione.

4. – Quanto al secondo motivo, reputa il collegio di dover preliminarmente evidenziare che il vizio di violazione di legge consiste, come noto, nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una ben precisa norma. Quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, in relazione al quale sollecitare la funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione. Nel caso di specie nessun problema interpretativo è posto con la censura di violazione di legge, la quale si presenta del tutto generica non essendo dato ravvisare neppure la pertinenza dei riferimenti normativi richiamati rispetto alla questione della rideterminazione della percentuale di ricarico. Di contro può osservarsi che, in linea generale, l’accertamento di intervenuti acquisti non giustificati da idonea documentazione commerciale (tali essendo quelli dalla commissione ritenuti con riguardo agli effettivi fornitori di Sidermetal) fa legittimamente presumere che la società abbia effettuato operazioni non fatturate di acquisto e rivendita di beni (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53). E sostiene, quindi, la conclusione che tali merci siano state rivendute dalla società con la percentuale di ricarico normalmente applicata (cfr. Cass. n. 7813/2010), per la ricostruzione della quale è ben possibile far riferimento alla media aritmetica del settore, stante che a fornire la prova contraria deve essere il contribuente (v. già Cass. n. 26312/2009). Ciò in quanto non si può escludere a priori la valenza indiziaria del ricarico medio, in relazione alle vendite effettuate “a nero”, al fine di ricostruire i margini di guadagno realizzato su queste ultime, a meno che il contribuente non eccepisca, o comunque non risulti altrimenti in punto di fatto, che l’attività commerciale sottoposta ad accertamento abbia avuto a oggetto prodotti con notevole differenza di valore, e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quanto risultante dal ricarico medio. Nel caso di specie, la ricorrente si limita a dedurre una supposta insufficienza motivazionale in ordine alla accertata (dalla commissione) rispondenza della percentuale indicata (10%) al ricarico medio del settore, senza tuttavia addurre alcunchè a supporto di una diversa valorizzazione del parametro ovvero del margine in effetti praticato.

5. – In conclusione, pertanto, il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e lo rigetta nei confronti dell’agenzia delle entrate. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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