Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10562 del 30/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2010, (ud. 03/02/2010, dep. 30/04/2010), n.10562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’Avvocato FASANO MASSIMO con studio in MELISSANO, VIA

LEONARDO DA VINCI 21 (ex art. 135 disp. att. c.p.c.) giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GALLIPOLI in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CATTARO 28 presso lo studio dell’Avvocato

SCHIFONE PIETRO, rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCI

VITANTONIO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 66/2004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata il 17/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2010 dal Consigliere Dott. SCARANO Luigi Alessandro;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’inammissibilita’

del ricorso e in subordine per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17/5/2004 la Commissione Tributaria Regionale della Puglia respingeva il gravame interposto dalla contribuente sig. C.M.D. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce di rigetto dell’opposizione proposta in relazione ad avvisi di liquidazione dell’I.C.I. per l’anno d’imposta 1998.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la C. propone ora ricorso per Cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Gallipoli.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilita’ della produzione documentale ex art. 372 c.p.c. nel caso dalla ricorrente effettuata mediante invio a mezzo posta, non risultando data relativa comunicazione a controparte mediante notificazione (cfr, da ultimo, Cass., 2/5/2007, n. 10122), e non essendo la medesima intervenuta all’udienza di discussione (cfr. Cass., 10/7/2003, n. 10904).

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello non si sia pronunciato, cosi’ come gia’ quello di prime cure, in ordine alla dedotta doglianza circa la mancanza di motivazione dell’avviso di accertamento ICI impugnato.

Con il 3 complesso motivo la ricorrente denunzia violazione ed erronea applicazione della L. n. 342 del 2000, art. 74 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa pronuncia su punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice dell’appello non si sia pronunciato, cosi’ come gia’ quello di prime cure, in ordine alla dedotta doglianza circa le sanzioni, non dovute in difetto di prova – spettante al Comune – della conoscenza dell’attribuzione della rendita.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va posto anzitutto in rilievo come risponda a principio consolidato in giurisprudenza di legittimita’ che l’omesso esame di una domanda ovvero la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e’ deducibile con ricorso per Cassazione esclusivamente quale error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n. 7049) (nullita’ della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non anche, come nella specie, sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e a fortiori del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701).

Al riguardo questa Corte ha altresi’ avuto modo di porre in rilievo che la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si coglie laddove nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attivita’ di esame del giudice asseritamente difettante non concerne direttamente la domanda o l’eccezione bensi’ una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione, e quindi su uno dei fatti c.d. principali della controversia (v. Cass., 30/5/2008, n. 14468; Cass., 14/3/2006, n. 5444).

Non puo’ per altro verso sottacersi che la ricorrente omette di debitamente riportare nel ricorso le conclusioni asseritamente rassegnate (v. Cass., 16/3/2000, n. 3040), con indicazione della domanda o dell’eccezione asseritamente formulata, in violazione pertanto anche del sopra richiamato principio di autosufficienza (v.

Cass., 19/3/2007, n. 6361).

Come questa Corte ha ripetutamente affermato allorquando viene denunziato il vizio ex art. 112 c.p.c. va invero specificamente indicato anche l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualita’ e la tempestivita’, e, in secondo luogo, la decisivita’ (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimita’ giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere – dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilita’ diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicche’ esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Diversamente, questa Corte non viene posta nella condizione di effettuare il richiesto controllo, anche in ordine alla tempestivita’ e decisivita’ dei denunziati vizi (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158;

Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Con il 2 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice dell’appello abbia ritenuto legittimo l’atto impugnato “poiche’ il Comune si era attenuto al disposto di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5”, laddove “non opera un automatismo blindato, nel senso che se l’interessato prova che la rendita e’ stata impugnata, allora e’ chiaro che non si puo’ pretendere che il contribuente paghi sulla base dell’atto presupposto non definitivo”.

Il motivo e’ inammissibile.

Come questa Corte ha gia’ avuto piu’ volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificita’, della completezza, e della riferibilita’ alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a se’ stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, e’ tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonche’ delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessita’ di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998). E’ cioe’ indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Allorquando con quest’ultimo viene come nella specie in particolare denunziato il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non e’ infatti sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimita’ di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata e’ fatta oggetto di censura (v.

Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 15/2/2003, n. 2312; Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Orbene, nel caso il motivo non offre, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonche’ delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, ne’ viene precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito, ne’ viene delineata la diversa regola che,se applicata, avrebbe condotto il giudice ad assumenre una diversa decisione.

A tale stregua non ne risulta ben comprensibile il significato e la portata, non evincendosi invero nemmeno la formulazione di una precisa e specifica censura.

All’inammissibilita’ ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2010

 

 

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